mercoledì 31 ottobre 2007

Una discussione "certa"

Certamente ieri sera abbiamo discusso. Non c'è dubbbio, si potrebbe sostenere che era solo un sogno, che non c'eravamo. O che eravamo lì e nello stesso tempo da un'altra parte. Che, insomma, il vecchioAri(stotele), con il suo principio di noncontraddizione è roba 
per coloro
 che oggettivano 
tutto, che si 
chiudono la porta alle sorprese, alla creatività che scorre, dentro di 
noi, con un'infinita di 
contraddizioni comunicative, non verbali e persino logiche. Il muro 
che Alberto 
avrà trovato 
all'uscita (a sinistra o a destra?) era reale o si poteva attraversare con l'auto?
Chissà. Alberto,
se
è
arrivato integro a casa, (se leggi è ormai inutile che ti tocchi), ci racconterà
come ha affrontato la cosa. O forse non ci dirà niente. Il muro era lì in quel
momento o dall'altra parte della strada? Quesito senza soluzione, anche per chi ha
bevuto ieri sera solo coca cola. A proposito. Sul tavolo c'erano cose da bere  o  soltanto il realismo senza inventiva di chi aveva sete o pensava di sentire questo bisogno le ha viste?
 Mi sembra di poter dire che è proprio il principio di 
noncontraddizione che ci consente di
vivere con 
serenità la nostra dimensione di libertà, ancorati come siamo, 
vorrei
dire piantati, che lo vogliamo ammettere o no, alle radici della quotidianità 
che è una garanzia,
non banale ma profonda, per il nostro vivere e per il nostro filosofare. 
 

lunedì 29 ottobre 2007

Ho trovato questo riferimento in internet e lo riporto, perchè pur non essendo una trattazione dotta ed esaustiva, mi pare interessante rispetto a quello che è stato portato fin'ora nel Blog. Spero possa ravvivare ed ampliare la discussione, e farci tirar fuori i nostri convincimenti personali a proposito di numeri, per capire da dove derivano (le nostre idee, non i numeri!).


I numeri, creazione degli dei o creazione dell’uomo?
Articolo tratto da:
http://www.mtb.netsons.org/2004/06/12/i-numeri-creazione-degli-dei-o-creazione-delluomo/
Venerdi 16 Gennaio 2004 ore 23:08:14


Secondo il matematico tedesco Leopold Kronecker “Dio ha creato i numeri naturali, il resto è opera degli uomini”.
Invece per il suo contemporaneo Richard Dedekind i numeri “sono una libera creazione della mente umana”.Non a caso una sua opera, pubblicata nel 1888, s’intitola Che cosa sono i numeri e a che cosa servono?
Da allora matematici, logici, filosofi, etnologi hanno formulato numerose teorie che tentano di rispondere a queste domande fondamentali, ciascuna delle quali si propone di stabilire con certezza le fondamenta dell’impero dei numeri.Nessuna teoria è riuscita a tanto, nessuna ha ottenuto un generale consenso.
Una definizione impossibile
Dopo sei millenni di familiarità quotidiana con il numero, l’uomo non è ancora capace di darne una definizione soddisfacente.
Nella sua disarmante semplicità, il numero sfugge a tutti i tentativi di ridurlo a una definizione che renda conto in modo completo della sua essenza, e appare quindi come un irriducibile del pensiero, un costituente primario.
Già nel V secolo a.C. il filosofo greco Filolao affermava:”Senza il numero, non comprendiamo e non conosciamo nulla”.
Venticinque secoli dopo, il filosofo Alain Badiou controbatte con questa affermazione, che ci appare condivisibile:” Il contenuto di verità fedele di un avvenimento non può mai essere contato e non ha mai potuto esserlo”.
(Da L’impero dei numeri di Denis Guedj)

Questi sono gli interrogativi: ma provate ad entrare nel mondo dei numeri. E’ una fantastica avventura senza ritorno!

domenica 28 ottobre 2007

A proposito di arte




Rispondo ad Alberto che chiedeva, in un commento ad un precedente post, dove avessi preso lo sfondo di una foto; in effetti è stato lo sfondo a prendere me.
E' un'opera ancora esposta, sino all'11 novembre, alla Biennale di Venezia, che a me, credo ormai sia abbastanza chiaro, piace sempre vedere ogni volta che mi è possibile. Aggiungo un'altra opera dello stesso autore, che però non ricordo. Si, perchè quello che mi piace di questa mostra è la quantità enorme di cose esposte, spesso con l'autore in un tavolinetto vicino, senza che nessuno magari vi presti attenzione, mentre sono proprio le cose esposte a colpire l'interesse e far fermare o no. L'impostazione a cui siamo stati abituati, invece, è quella di andare in vecchi palazzi, con il naso in su, in cerca di empatia con immagini mitologiche distanti ed un pò sciupate dal tempo solo perchè affrescate da gente con un nome, come Tintoretto.
A questo proposito vi riporto che c'è per ora, alla Biennale, una sala in cui le opere esposte sono delle gigantografie di schede, tutte verdi, tutte battute a macchina, in cui sono riportati diversi esami autoptici, una scheda per ogni esame, quindi, una per ogni persona. Raccontarvi che, mentre c'ero io, mi sono fermata solo io a guardare, oltre un ragazzo di non più di venticinque anni (pure un pò "sfasciatizzo" nell'aspetto), fa tutt'uno con il provare ad immaginare cosa passasse o non passasse nella mente dei tanti che non si fermavano e continuavano con passo leggiadro, ma monotono, a sfilare da una sala all'altra: disgusto? ironia? disinteresse?non provare neanche a capire? Non voglio farne un tormentone, però erano schede che riguardavano "persone", che avevano avuto una vita, degli affetti, dei gusti, dei dolori: è questo oggi l'atteggiamento che abbiamo verso le "persone"? Bene. L'opera, nella sua assurdità mi è piaciuta e ben vengano modalità espressive anche da pugno nello stomaco.
La foto che invece allego nell'angolino in alto a sinistra riporta l' "installazione" del padiglione della Corea (non ricordo nord, sud?): per guardare l'opera bisogna accoccolarsi ad un'estremità di una lunga pedana al termine della quale, unico oggetto illuminato nel buio pesto, è sospeso ciò che è riportato nella foto; ognuno la vivrà come vuole, io stessa non ci ho fatto su tante riflessioni: l'unica cosa che vi posso dire è che ho dovuto "per forza" "interagire" con essa per vederla e così per tante altre installazioni.
Per non parlare, poi, dei tanti cortometraggi esposti che se permettono di far riposare un pò le gambe, dall'altro offrono inviti alla pazienza, se si è alla ricerca di un " che vuole dire?". Spesso,però, sono immagini di un impatto fortissimo, anche se solo prese di passaggio che costringono a fermarsi e quasi quasi si forma la coda (quello della Russia era tecnicamente geniale e... bellissimo.. per uno struggente senso di ineluttabile decadenza che mi ha trasmesso...mi piacerebbe tanto farvelo vedere,perchè è, secondo me, di una rarissima forma di "poesia" ma non ce l'ho).
Per concludere, in leggerezza..., in alto a destra, è proprio lei la Litizzetto: un' "artista" (badate bene all'apostrofo) non ricordo di quale nazione, ha pensato di far leggere una mail, ricevuta da una donna, a centodieci altre donne, variamente note nei campi della politica, della cultura, dell'arte, dello spettacolo, dello sport, e darne un'interpretazione, una sorta di "che ne pensi?", "che faresti al posto suo?"; in questa mail il suo uomo comunica di voler interrompere il loro rapporto, pur dicendo di amarla. Credetemi, non è decrivibile l'unica voce fatta da brani al pianoforte, da discorsi, da quadri, da foto, da canzoni e...dalla nostra Litizzetto che lascio a tutti voi immaginare, mentre legge il testo della mail, pelando cipolle nella sua cucina.
Donatella.

venerdì 26 ottobre 2007

Augusto liberato per difendersi dalle critiche

Cari Filosofanti delle nostre cene
Come ampiamente previsto (data l'assenza di Augusto) in questo secondo incontro sono giunte le prime critiche, anche aspre, al libro ed all'autore.
Ha iniziato Anna Gulì che ha citato varie idee di Augusto che, a suo dire, sono assolutamente non condivisibili, come quella secondo la quale, se con la filosofia comprendiamo il "perchè" delle cose, possiamo attrezzarci anche per il "come" (farle). Non è vero, ha proseguito Anna, guardandosi attorno come per assicurarsi che Augusto effettivamente non c'era, che la filosofia ci aiuta, dato che la conoscenza può confonderci ancora di di più e persino portarci alla disperazione! (il commento di Anna ha riecheggiato il "per conoscere occorre coraggio" di Nietzsche, n.d.r.). Ed Augusto sbaglia, ha incalzato Giovanni la Fiura, anche quando scrive che se ascolto musica me la godo senza chiedermi perchè ed a a prescindere dall'autore mentre per godermi un pensiero filosofico devo riconoscerlo almeno plausibile ed apprezzare la coerenza del filosofo. Invece, ha spiegato Giovannni, anche il pensiero filosofico ha un suo suono, un'armonia che può piacermi a prescindere dalla sua coerenza logica, dalla stessa rigorosità dell'argomentazione che lo sorregge: è il caso, ad esempio, del pensiero di Nietzsche che ci trascina e coinvolge anche se non è sempre "logico".
Ed a proposito di un'altro parte del libro, non sempre, secondo Giovanni ed Alberto, gli scienziati si chiedono solo le cause immediate e non le cause prime della realtà, ed hanno citato un matematico molto profondo, di cui spero vorranno ricordarci il nome, che si chiedeva sicuramente il senso più profondo del proprio lavoro e si poneva domande come quella, accennata da Augusto, se i numeri sono un'invenzione umana o solo una "scoperta". I filosofi sono presuntuosi, ha confermato l'altro Giovanni (il Burgio redivivo) forse pensando ad Augusto, con questa loro pretesa di essere gli unici ad occuparsi di cose profonde.
Donatella ha poi sottolineato (ma qui senza volerlo ha forse sponsorizzato il pensiero di Augusto) che non è vero che l'arte soddisfa bisogni estetici ed emotivi mentre la filosofia solo bisogni celebrali: secondo Donatella possiamo avere "fame" intellettuale ed essere coinvolti emozionalmente e fisicamente da questo bisogno proprio come per altri bisogni meno cerebrali, dato che il razionale e l'irrazionale si tengono insieme ed entrambi ci costituiscono.
Abbiamo continuato così a demolire le tesi di Augusto sino al punto che ha cominciato a serpeggiare l'idea di eliminare dalle nostre cenette il testo e lo stesso Augusto. Ma poi ci siamo realisticamente rassegnati alla notizia del suo ritorno in patria dalla Colombia, ritorno favorito dagli stessi guerriglieri locali che, dopo averlo incautamente rapito, si sono dovuti subire, ogni sera per cena, i suoi discorsi filosofici ipercelebrali (I guerriglieri sono gente abituata a soffrire ma non ce l'hanno fatta a sopportare l'ennesima cena filosofica e, pur di liberarsi di Augusto, hannno accettato di pagare un contro-riscatto salatisssimo per riconsegnarlo alle autorità colombiane, che l'hanno subito estradato).
Per concludere, ci è parso interessante il dialogo tra Elisabetta Lo Bue, che ci ricordava come, per Aristotele, la curiosità intellettuale è profondamente iscritta nella natura umana ed esprime un bisogno primario (anche se spesso rimosso, n..d.r.) e Marcella Alletti che ha notato come questa curiosotà, questa fame di conoscenza si nutrono ed esprimono liberamente nei bambini, ma solo sino a che non cominciano ad andare a scuola! Anche a me sembra che la scuola si incarichi di uccidere curiosità e meraviglia. E così la cultura, da piacere naturale, diventa una costrizione, un fastidio, un corpo estraneo.
Per fortuna, ha poi concluso la sig.ra Carla, ad una certa età, quando la società ha smesso di stritolarci con le sue richieste di omologazione, funzionalità ed efficenza, ritornano la voglia d'imparare e di capire.
Martedì prossimo commenteremo la seconda parte del libro di Augusto Cavadi "E per passione la filosofia", ossia sino a pag. 115. Essendo di nuovo presente l'autore auguriamoci che la diplomazia e l'affetto che, nonostante tutto, nutriamo per lui, non annacquino il libero confronto con le sue idee.
Vi lascio con un bel pensiero di Simone Weill, coerente con l'ultimo tema:
"La volontà, contrariamente all'’opinione corrente, non ha quasi alcuna parte nello studio. L’'intelligenza può essere guidata solo dal desiderio… La gioia di imparare è indispensabile agli studi quanto lo è la respirazione per i corridori".
Ciao Pietro

giovedì 25 ottobre 2007

Una bella intervista di Augusto

Tania Molina. Perché Tania?
Perché mio padre è comunista e nella decade in cui sono nata c'era una forte effervescenza nel processo rivoluzionario salvadoregno, il popolo stava surfeggiando l'onda rivoluzionaria. I modelli di riferimento erano altri fratelli che avevano lottato in altre zone del Continente, come Che Guevara e la sua compañera Tania: da qui la decisione di un trentatreenne che era al colmo del suo entusiasmo quasi romantico. Non so se lo sapeva, ma in qualche modo segnava il mio destino.
Tania la guerrillera: quando hai iniziato a seguire questa vocazione?
Da che ho memoria, mi accompagna la coscienza di un mondo diseguale, ingiusto e non di rado assassino. Già a tre anni fummo mandati in esilio dal Salvador in Nicaragua (mio padre era gravemente minacciato di morte, il partito gli ordinò di espatriare per organizzare dall'estero il sostegno alla lotta rivoluzionaria e la nostra famiglia fu la prima ad essere accolta come "rifugiata politica" dai sandinisti ) e a cinque anni mi iscrissi nei "pioneros" (l'organizzazione dei bambini figli dei membri del partito comunista salvadoregni in esilio) e nel gruppo analogo dei bambini sandinisti. Anche alle scuole superiori partecipavo alle attività parallele dei giovani comunisti e dei giovani sandinisti. Nel 1990, a poco meno di tredici anni, tornammo in Salvador e qui fui contattata da un dirigente: mi comunicò che ero stata designata dal partito per ricostituire il movimento studentesco. Così mi incorporai nella cellula, incominciai a ricevere i rudimenti della preparazione politico-militare, a lavorare clandestinamente per appoggiare il lavoro della guerriglia urbana. Poi fu quasi naturale passare nelle file dei guerriglieri che vivevano nelle montagne circostanti. Per fortuna, questo genere di lotta durò poco: nel 1992 fu stipulata la firma degli accordi di pace.
Finita la fase ufficiale della guerra civile (dico la fase ufficiale perché non passa mese - tuttora - che non venga assassinato un militante di sinistra), mi sono concentrata sull'obiettivo di non diventare pazza. Infatti dovetti fare i conti con la sproporzione fra il mio idealismo e le situazioni storiche effettive, fra la mia coscienza abbastanza immaginaria di far parte della banda dei buoni alla Robin Hood e la constatazione che non tutto nella militanza del partito era altrettanto puro. Mi sono accorta che il carattere rivoluzionario del nostro partito - per me sacrosanto - era stato messo fortemente in crisi da alti dirigenti e da quadri medi: il poeta Roque Dalton era stato assassinato, per esempio, da Joaquin Villalovos, il capo dell' ERP, cioè a dire dell'esercito rivoluzionario del popolo. Sul piano più ordinario, fui sconcertata dall'atteggiamento della maggioranza dei militanti: quando arrivarono i dollari dell'AID (un organismo di sostegno finanziario internazionale supportato certamente dal governo statunitense), si pensò prima di tutto a salvare se stessi e i propri cari. La delusione per me fu traumatica: all'inizio dell'adolescenza, il crollo dei miei idoli mi fece sentire come sperduta nel mondo. Per quasi due anni fuggii in Nicaragua, quasi per cercare conforto psicologico nell'ambiente amicale che mi aveva accolto da piccola bambina profuga politica. Ma i miei genitori mi vennero a riacciuffare quasi per i capelli e mi riportarono in Salvador.
Questa delusione ha comportato il tuo allontanamento dal partito?
Sì, abbandonai il mio posto nella direzione nazionale della gioventù dell'FMLN (Fronte "Farabundo Martì" per la liberazione nazionale), ma sono rimasta a collaborare ad ogni progetto concreto: purché non vada contro i miei principi. Intanto mi sono avvicinata a quegli ambienti intellettuali, soprattutto artistici, che mi hanno aiutato a individuare i metodi e gli strumenti più idonei alla mia personalità per continuare l'impegno rivoluzionario. Avevo già quindici, sedici anni: ero assetata di cultura, di conoscenza. Un ottimo biglietto di presentazione fu per me il conseguimento del primo premio del settore 'poesia' nel Certame centro-americano di letteratura femminile giovanile. Ideai e organizzai, nel 1996, la prima mostra nazionale di arte erotica - "Erotismo versus necrofilia" - cui parteciparono ottanta fra i più apprezzati artisti del Salvador: per quindici giorni di seguito conferenze di sociologi ed altri accademici si alternarono con mostre di pittura, di scultura, di fotografia, di film. In vista di quell'appuntamento, un gruppo di pittori della mia città mi chiese di prestarmi come modella: accettai con orgoglio.
Ma questa fase della tua vita ha comportato le sue delusioni?
Veramente sì. Entrai nel giro degli artisti, ancora una volta con una grande fiducia nei loro discorsi sulla pratica rivoluzionaria dell'artista e ne uscii abbastanza delusa, non senza aver acquisito molti loro vizi. Imparai ad ubriacarmi, a fumare marihuana, a scopare con chi capitava, ma - peggio di tutto - imparai l'egolatria: come loro, più di loro, mi affezionai ai complimenti e agli applausi, alle adulazioni. La pubblicazione della mia raccolta di poesie El espejo del àngel (in edizione bilingue spagnolo-italiana) segnò l'apice della mia carriera pubblica come poetessa, ma anche l'abbandono della scena pubblica. Avevo bisogno interiore di esperienze più autentiche, più vere. Così mi decisi a partire e alcuni operatori italiani che lavoravano in Salvador per conto del Cric ("Centro regionale di intervento per la cooperazione") fecero da ponte per il mio sbarco a Reggio Calabria. Veramente, più che uno sbarco mi sembrò un naufragio: avevo sognato di arrivare nella culla del Rinascimento, mi ritrovai nel covo della 'ndrangheta, in una città che era passata dal feudalesimo al consumismo senza conoscere l'Umanesimo. Mi trovai in un contesto urbanistico brutto, deturpato: non capivo se fosse costruita a metà o distrutta per metà. Per fortuna, però, ho trovato delle bellezze naturali e antropologiche affascinanti: lo stretto di Messina, l'Aspromonte, le tradizioni etniche, la musica. Per non parlare del dialetto, anzi dei dialetti meridionali in genere (ho percorso in bicicletta, con una sorta di circo di strada, tutte le coste della Sicilia - isola di cui mi sono innamorata senza scampo - e sono arrivata sino in Grecia): i dialetti sono di una sonorità e di una varietà da provocarmi veri e propri orgasmi linguistici. Conobbi anche un bel esemplare di calabrese e rimasi incinta: Athos, il bambino bello e intelligente che è nato, è stato poi affidato dalle autorità italiane al padre ma io posso ospitarlo qui in Salvador per alcuni mesi ogni anno.
Come mai non sei rimasta in Italia?
Devo dire innanzitutto che attraversare l'Atlantico mi ha regalato la coscienza che l'ingiustizia del sistema capitalistico è molto complessa proprio perchè costruisce nel tempo un modello di società nel quale il soggetto diventa un acomodador della realtà - uno che manipola e aggiusta le cose - in funzione del proprio apparente benessere individuale. Dunque, mi resi conto che non potevo rimanere in una regione che, per quanto arretrata, fa parte del Nord del pianeta: fa parte, cioè, di quella porzione del mondo che sfrutta le grandi maggioranze per permettersi il lusso di avere tre automobili o di gettare il cibo superfluo. Una porzione del mondo che, pur sapendo che esiste una enorme disuguaglianza con il resto dell'umanità, preferisce conservare il proprio status quo e non ha nessuna intenzione di ribellarsi e di lavorare per il cambiamento. Nel tuo Paese ho iniziato la mia attività di artista di strada, in particolare ho imparato a fare circo di strada e ad adottare metodi di educazione attiva secondo l'indirizzo del CEMEA del Lazio ("Centro di esercitazione ai metodi dell'educazione attiva", di matrice francese) la cui presidente è Paola Della Camera. Ma ho avvertito l'esigenza di tornare in Salvador per costruire qualcosa di più consistente e di più duraturo rispetto a ciò che mi poteva permettere una vita nomade. Qui ho ritrovato le mie radici: non per regresso nostalgico, ma come linfa vitale. Una mia nonna era irlandese, ma un'altra - la madre di mio padre - india: camminava scalza ed era molto attaccata alla sua lingua e ai suoi costumi. Sai che le donne nahuat hanno sofferto, sino ad anni recenti, per resistere al divieto di indossare el refajo, la loro gonna tradizionale? Ho scoperto nella mia terra varie mie progenitrici morali, come una donna india, Prudenzia Ayala, sprezzantemente chiamata Prudenzia la pazza perché nel 1932, per la prima volta nell'Ispanoamerica, osò candidarsi - lei donna e per giunta india e ragazza madre- alla presidenza della Repubblica salvadoregna. Anch'io, nel mio piccolo, sono considerata pazza, sia quando vengo marchiata per le mie trasgressioni sia quando vengo complimentata per qualche frutto della creatività. In vista di uno spettacolo sto approfondendo il mito della Siguanaba, il nostro popolo è naturalmente religioso. Chiese e sette proliferano perché il divino, dalle nostre parti, non è una questione cerebrale: lo sentiamo nelle viscere. Io stessa, la sera, non vado a dormire senza prima concedermi una lunga pausa di orazione: cosa che faccio secondo la mia tradizione, ben diversa da quella cattolica. Adesso sto lavorando ad una scuola per artisti di strada in modo da promuovere la formazione di operatori sociali attraverso le arti che possano distribuirsi nel mio Paese, soprattutto per rinforzare l'auto-organizzazione delle comunità locali. E' chiaro che questa azione avrebbe delle conseguenze positive sia, in prospettiva, per la costruzione di una coscienza rivoluzionaria (e dunque per la tensione verso una società più giusta) sia, nell'immediato, per contrastare il fenomeno della delinquenza giovanile e dell'abbandono minorile.
Dunque la tua è ormai una battaglia senza idoli e senza eroi?
In un certo senso sì, perché so che la rivoluzione è un processo sociale. Però mantengo chiari i miei due fari nella vita. Il primo: la mia cosmovisione, secondo la quale gli esseri umani facciamo parte della grande piramide dell'universo e la lotta interiore è vera solo se è contro l'orgoglio, l'ambizione, l'egoismo, la menzogna, l'ignoranza e l'ingratitudine. Ho vissuto anni molto intensi, ma adesso mi pare di avere raggiunto un certo equilibrio. Non vivo solo di slanci emotivi, cerco di pensare e soprattutto di tornare sui miei pensieri. Mi sento liberata da molti attaccamenti e, perciò, da molte paure. Non temo di perdere né beni materiali né affetti, credo di non temere neppure la morte. Ma, intendiamoci, non significa che vivo senza passioni (mi piacciono quasi tutti i maschi, almeno quelli che hanno un cuore generoso); solo che non sono più governata dalle mie passioni. Sarà questa gioia di vivere intensamente la giornata, momento per momento, la vita eterna di cui ha parlato Gesù nei vangeli? Il secondo: l'impegno morale verso tutte e tutti coloro che sono morti lungo la storia fedeli alla lotta per un mondo migliore.

domenica 21 ottobre 2007

Bisogna saper parlare...

Grazie a Giovanni la Fiura, ad Alberto ed al prof. Biuso che mi hanno portato un pò chiarezza.

N.B. il seguente post è stato realizzato in caratteri fruibili da miopi, presbiti, ipermetropi, astigmatici, ...assonnati e distratti.

venerdì 19 ottobre 2007

Augusto, il filosofo "cajiero"

Care e cari tutti,
qui è già giovedì 18 ma non ho ancora ricevuto il resoconto di Pietro relativo alla cenetta filosofica dell'altro ieri sera: immaginate la mia ansia, sapendo che vi sareste scatenati - come contro tutti gli altri autori ben più illustri di me ! - in assenza dell'interessato...
Comunque vorrei dirvi che vi penso con simpatia e che la nostra esperienza 'palermitana', per quanto modesta, è stata accolta da queste parti (le università di Bogotà e di Medellin, in Colombia, ma anche i pub di San Salvador) con una grande attenzione.
Ho ascoltato interventi di filosofi di varie parti del mondo che insistono, con toni e da angolazioni differenti, sulla necessità di portare la filosofia fuori dalle stanze ovattate delle accademie e farla diventare fermento ispiratore della prassi: una prassi che, per ragioni storiche e sociali, non viene considerata prevalentemente (come da noi) dal punto di vista personale ed esistenziale, ma collettivo e politico. Qui infatti le ingiustizie sociali sono ancora più marcate ed evidenti che per le nostre vie. Nel Salvador, poi, le cicatrici della guerra civile fra militanti comunisti e regime fascista sono ancora sanguinanti (il trattato di pace è del 1993 ma ancora oggi gli squadroni della morte uccidono sindacalisti, artisti, politici che combattono per una società più equa).
Avrei mille cose da raccontarvi e mille emozioni da comunicarvi, ma ho bisogno di tempo per metabolizzarle.
Non mancheranno certo le occasioni per farlo.
Intanto, per non tradire lo spirito dei resoconti di Pietro, vi segnalo almeno due piccole curiosità.
La prima è che un filosofo franco-portoghese, Daniel Linz, ha insistito sul modo in cui bisogna leggere i testi con esempi e metafore che sarebbero piaciute a diversi di voi: il lettore deve fare surfing sui testi di filosofia, dunque sfruttarne l'onda ma per andare avanti. Deve prendere a man bassa le idee che gli servono, senza preoccuparsi di essere un ladro: è, se mai, un "inculatore" dell'autore e non è detto che all'autore...dispiaccia.
La seconda è che, con Tania, la mia bravissima traduttrice qui in Salvador, abbiamo trovato una formula per sintetizzare che cosa fa uno come me che cerca di filosofare (e di sollecitare i non-filosofi a fare altrettanto) tra cenette e vacanze, fra centri sociali e team di operatori sanitari: fa il filosofo "cajiero", il filosofo "di strada" (qua ci sono già artisti di strada e predicatori di strada...).
Spero tanto di potervi riabbracciare martedì 30 ottobre (se non faccio male i conti...).
Augusto

giovedì 18 ottobre 2007

Incompletezza



Si discuteva l'altra sera sui limiti della conoscenza scientifica e sulla sua capacità o meno di pensarsi senza ricorrere eventualmente a saperi a essa esterni. A me pare che ogni scienza possa riflettere su se stessa con i mezzi che le sono propri, e nel mentre continuare a confrontarsi con la grande tradizione di pensiero che ha contribuito a crearne le basi, quando, lontano nel tempo, il sapere non era spezzato in mille specializzazioni. Questo mi pare il caso di Kurt Gödel e dei suoi teoremi dell'incompletezza. Mentre rimando alle voci di Wiki che ho linkato chi fosse interessato ai particolari della vicenda umana di Gödel e alla dimostrazione e discussione dei suoi teoremi, qui mi limiterò ad argomenti più alla mia portata. La sua, in fondo, è stata una battaglia contro il formalismo e a favore del significato, condotta interamente con gli strumenti rigorosi della logica matematica. Come afferma Roger Penrose
La convinzione che si possa fare a meno del significato di enunciati matematici, considerandoli nient'altro che sequenze di simboli in qualche sistema matematico formale, è il punto di vista matematico del formalismo. Qualche persona ama quest'idea, per cui la matematica diventa una sorta di gioco senza significato. Io non la trovo però affatto gradevole. E' infatti il significato -e non un cieco calcolo algoritmico- a dare alla matematica la sua sostanza. Per fortuna, Gödel inflisse al formalismo un colpo devastante!

L'enunciazione semplificata del primo teorema è la seguente:

In ogni formalizzazione coerente della matematica che sia sufficientemente potente da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali — vale a dire, sufficientemente potente da definire la struttura dei numeri naturali dotati delle operazioni di somma e prodotto — è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema.


In altre parole, scopo del teorema è trovare una proposizione vera che non ha una dimostrazione all'interno di un sistema formale non costruito così male da permettere di dimostrare proposizioni false. Se un sistema matematico è coerente, vi si troveranno proposizioni che non hanno dimostrazione al suo interno. E che quindi rimanderanno a qualcosa che si trova fuori dai confini del sistema stesso. O possiamo dire, con Penrose, che

Qualunque sistema formale (consistente) si usi per l'aritmetica, ci sono enunciati della cui verità possiamo renderci conto chiaramente ma ai quali non viene assegnato il valore-di-verità vero dal procedimento proposto dal formalista

Per esser certi che il sistema faccia in modo corretto ciò che deve fare, abbiamo bisogno di usare percezioni intuitive dall'esterno del sistema, che in quanto tali non possono essere sistematizzate, e anzi devono essere esterne a qualsiasi calcolo. Esse risalgono a un procedimento noto ai logici come principio di riflessione

... così, riflettendo sul significato del sistema di assiomi e delle regole procedurali, e convincendosi che questi forniscono effettivamente motivi validi per pervenire a verità matematiche, si può essere in grado di codificare questa percezione intuitiva in ulteriori enunciati matematici veri, non deducibili da quegli stessi assiomi e regole...la verità matematica è qualcosa che va al di là del mero formalismo (poiché) nel decidere sulle regole da adottare dobbiamo sempre farci guidare dalla comprensione intuitiva di ciò che è evidentemente vero, dati i significati dei simboli del sistema.

Il richiamo a Platone è molto forte e si potrebbe (ri)cominciare a discutere se gli oggetti del pensiero matematico abbiano una qualche forma di esistenza o se sia solo il concetto di verità matematica a essere assoluto. Quello che lo stesso Penrose si sente di affermare è che le macchine calcolanti possono darci solo approssimazioni a una struttura che ha un'esistenza propria più profonda e indipendente dal computer. In realtà il messaggio che viene dal teorema di Gödel non è in negativo: egli non ci dice che ci sono regioni del mondo platonico a noi inaccessibili, quanto che esistono nuovi mezzi di accesso a certe verità matematiche che certe particolari regole formali non sono abbastanza potenti da derivare. L'incompletezza appartiene dunque al formalismo, non al sapere e alla verità che possiamo comunque perseguire.

Le citazioni di Roger Penrose sono tratte da La mente nuova dell'imperatore



mercoledì 17 ottobre 2007

E' colpa della Biennale!! Sono solo "non sensi"?


Capisco che questo blog è molto giovane (nel senso che è nato da poco), per cui la proposta o il suggerimento che sto per enunciare può suonare prematura.
Su www.myblog.it lo spazio messo a disposizione è più agevole e flessibile. Mi piace il fatto che si possano caricare e visualizzare facilmente interi album fotografici e filmati, ma soprattutto la possibilità di creare sezioni tematiche, che agevolano la lettura e rendono le pagine meno lughe quando si accumulano molti contributi. Si possono creare blog paralleli da parte dello stesso o degli stessi autori, e persino proteggere l'accesso con password a blog riservati. Ogni blog ha tre giga a disposizione.
Che ne direste di spostarci lì, o di creare lì anche una sezione parallela? I più smanettoni provino a giocarci un po', e poi ci dicano...
Un caro saluto a tutti.

martedì 16 ottobre 2007

Che confusione!!

Mi chiedo del momento in cui sapremo che pensano gli altri di noi, che leggano o non leggano (?) questo blog.
Intanto con il bagaglietto di confusione torno a casa dalla cenetta, perchè non è facile dire e discutere del fatto che la filosofia segue lo stesso filo dei bisogni e dei sensi e cioè, nel caso, la necessità primaria dell'istinto alla conoscenza..anche.. "del senso"; il che, poi, come tutti i sensi e tutti gli istinti a qualcosa serve. Secondo me la dissonanza ed il malessere che, io per prima, mi scopro nel pensare questo, sta dentro di noi, che in fondo non vogliamo rinunciare a nessuna forma di aristocrazia, per cui siamo pronti a dire che "semo i mejo".. e troveremo sempre qualcuno a cui non attribuire il nostro "nobile" registro. Aspetto l'autore del libro che abbiamo "per le mani", (come dice Armando) per avere "conforto"..in fondo lui dice che anche quelli che negano la filosofia e credono solo "nell'olio bono" (cifr. pag.27) hanno una filosofia. Ed in fondo sta proprio nella capacità dell'autore di trovare filosofia anche in tribù fantozziane da "rutto libero" o in salotti all'insegna del "fair play" la sua forte convinzione democratica ed egualitaria dell'uomo.
Che confusione! Sensi / ragione... Testo scritto / piacevolezza e fisicità del piccolo volume..Occorrerà leggerlo sino in fondo... Aspetto al varco possibili riflessioni su ciò che è bene,.. per me? per l'altro?
Ultima riflessione: la biennale d'arte di Venezia quest'anno si intitola "Pensa con i sensi, senti con la mente"..
A me piace come titolo.. Ma che confusione..

Un saluto

Anche se con un po' di ritardo, entro molto volentieri nel blog delle Cenette.
Spero di partecipare di persona almeno a uno degli incontri (in primavera) ma intanto un abbraccio e i complimenti per il livello già molto complesso/divertente delle discussioni :-)

A presto!
Alberto (Biuso)

giovedì 11 ottobre 2007

La filosofia è inutile?

Cari cenacolanti

Martedi due ottobre abbiamo ripreso i lavori con una cenetta eccezionale perché, oltre alle solite pizze, abbiamo gustato il vino di Mario, la frutta martorana di Maria e, anche, i dolci e lo spumante di Augusto e Alberto che hanno festeggiato con noi il loro ennesimo compleanno. Tutto molto buono. E poi dicono che la filosofia non serve a niente!

Siamo passati, quindi, all’entusiastica introduzione di Armando al libro di Augusto "e per passione la filosofia".

Per dimostrare la profondità ed acutezza del pensiero di Augusto sull’importanza ed il ruolo della filosofia Armando ha letto alcuni brani del libro che però, curiosamente, contenevano solo pensieri di altri filosofi e nessuno di Augusto.

Eppure, ha poi spiegato Armando, nonostante la bellezza del contenuto, quello che più lo ha affascinato del libro è la sua fisicità, il suo essere piacevole al tatto: il libro, ha spiegato eccitato, si fa "possedere", è remissivo, si lascia toccare con complicità ed arrendevolezza e comunica ai sensi un vero piacere fisico.

Nonostante qualche imbarazzo per questo passaggio un po' feticistico, il discorso di Armando è piaciuto molto, tanto da riscuotere anche un convinto ed allegro applauso finale da parte di tutti (non era mai successo nelle nostre sobrie cenette!). Davvero una meritata gratificazione per Armando che lo ha aiutato a superare l'amarezza per quanto successo qualche giorno prima, quando la moglie lo ha sorpreso a letto mentre mugolava di piacere palpeggiando una bella e sensuale pagina del libro di Augusto (le solite penose giustificazioni di circostanza "cara, non è come sembra, la stavo solo spogliando, volevo dire sfogliando..." hanno classicamente finito per peggiorare la situazione).

Ci ha piacevolmente colpiti l'unanimità di consensi da parte di quanti hanno già letto il libro, soprattutto se consideriamo le critiche anche feroci di cui abbiamo investito gli autori scelti in precedenza per le cene (Platone, Spinoza, Marx, Feuerbach etc.) che pure non erano dei dilettanti. Marcella e Donatella hanno anche letto altri brani del libro (che stavolta contenevano il pensiero di Augusto) sull’importanza di imparare a pensare criticamente e sul coraggio di cambiare idea per amore della verità (il confronto dialettico, scrive più o meno Augusto, è utile ma non dev’essere competitivo, se il mio interlocutore mi fa cambiare idea, mi con-vince, vinciamo insieme, anche io con lui, nel percorso verso la conoscenza).

Ci siamo, quindi, confrontati sulla funzione della filosofia "amica della verità" (Gregorio) e sulla sua "inutilità", nel senso della sua gratuità, in quanto a servizio solo di una ricerca disinteressata e non strumentale. Infine, grazie alle sollecitazioni di Alberto, Mario, Francesco, Augusto e altri, abbiamo riflettuto anche sulla necessità che alla base della riflessione filosofica ci siano anche le verità scientifiche. Abbiamo poi sottolineato l’importanza di un’autoeducazione che ci porti ad avere un "atteggiamento" ricettivo ed aperto di fronte alla complessità dell’esperienza conoscitiva. Qualcuno scriveva che bisogna imparare a vedere con occhi sempre nuovi anche quello che ci è già noto, capacità che speriamo induca anche Gianni a partecipare alle nostre prossime riflessioni sui fondamenti della filosofia (ne abbiamo sentito la mancanza).

Il prossimo martedì potremo sicuramente permetterci commenti più sinceri sul libro di Augusto dato che l'autore sarà assente perché impegnato in un giro di conferenze in America latina, dove tenterà di divulgare le sue idee sulla filosofia contestualizzandole appropriatamente. In particolare in Colombia, presso la sede dell’associazione "dopolavoro trasportatori e corrieri internazionali" terrà un seminario sul tema: la filosofia è il nuovo oppio dei popoli? E se è così, non conviene organizzarsi per coltivarla e diffonderla?

Come contrappunto rispetto al sin troppo pratico approccio colombiano alla filosofia, chiudo trascrivendo il bellissimo brano di Feuerbach citato nel libro di Augusto e ricordatoci da Armando:

"La luna, il sole, le stelle gridano all'uomo "conosci te stesso"...la bestia è sensibile solo al raggio di luce necessario alla vita, l'uomo invece gode anche del raggio inutile della stella più remota...in quella piccola luce che nè giova nè nuoce, che nulla ha in comune con la terra e con i suoi bisogni, l'uomo scopre la propria natura, la sua propria origine.Il Cielo stellato rammenta all'uomo il suo destino. Gli rammenta che non è chiamato solo ad agire, ma anche a contemplare". FEUERBACH, l'essenza del Cristianesimo


L’appuntamento è, dunque, per martedì 16 ottobre presso il mio studio, alle ore 20,30 per chi cena con noi e alle 21 per gli altri. Commenteremo insieme la prima parte del libro, sino a pag. 42.

Pietro

mercoledì 10 ottobre 2007

Il teorema delle scimmie infinite parte seconda

La nostra civiltà, dicevamo, ama i giochi apparentemente fini a se stessi.
Nelle pieghe del bilancio di un’università ben disposta si sono trovati i fondi per un esperimento sulla produzione letteraria di vere scimmie. Sei macachi crestati sono stati forniti di una tastiera e osservati, anche via web naturalmente, per un mese. Uno dei ricercatori ha giustificato la spesa giudicandola inferiore a quella di un reality, ma con risultati ben più stimolanti e affascinanti. Nel periodo di osservazione le scimmie hanno prodotto solo cinque pagine di testo, consistente quasi per intero della lettera s; il compenso il maschio dominante ha percosso la tastiera con una pietra emettendo feroci urla, e tutti i macachi hanno fatto a turno i loro bisogni sulla malcapitata periferica.
Sappiamo bene però che le scimmie (meritevoli di ben altri studi e attenzioni) sono solo un prestesto per parlare del posto che il caso e l’ordine hanno nel nostro mondo, e per chiedersi se l’ordine può discendere dal caso, e in quale senso, eventualmente.
Le origini scientifico- filosofiche della nostra controversa storia di scimmie scrittrici risalgono a Ludwig Boltzmann, un grande fisico della seconda metà dell’800, che ha proposto una spiegazione per l’ordine e la diversità che notiamo ammirati nell’universo. Supponiamo che l’informazione che definisce l’universo, e quindi la struttura dell’universo stesso risulti da un processo completamente casuale, come un tiro di dadi, o la classica moneta, testa o croce. Oggi potremmo dire che , se identifichiamo la testa con 1 e la croce con 0, tirare la moneta ripetutamente alla fine produrrà ogni desiderata stringa di bit, inclusa una stringa di bit che descrive l’universo nella sua interezza. Fu il matematico Emile Borel a ideare nel 1913 la vera e propria metafora delle scimmie dattilografe. Che poi si sono fatta strada irresistibilmente nella cultura alta come nella fantascienza, da Isaac Asimov, a Douglas Adams.
L’espressione artistica più magistrale di quello che è diventato un mito della pop culture si deve a Jorge Luis Borges che nel 1939 scrive il saggio La biblioteca totale in cui vagheggia da par suo che una mezza dozzina di scimmie, provviste di macchine da scrivere, possano produrre, in poche eternità, tutta la biblioteca del British museum (strettamente parlando, chiosa, una sola scimmia immortale è sufficiente), per poi spingersi oltre ogni colonna d’Ercole dell’immaginazione:

Qualsiasi cosa potrà trovarsi nei suoi ciechi volumi. La dettagliata storia del futuro. Gli Egiziani di Eschilo. L’esatto numero di volte in cui il volo di un falcone si è riflesso nelle acque del Gange. La segreta e vera natura di Roma, l’enciclopedia che Novalis avrebbe voluto redarre, i miei sogni e le mie dormiveglie all’alba del 14 agosto 1934, la prova del teorema di Fermat, i capitoli non scritti dell’Edwin Drood di Dickens, gli stessi capitoli tradotti nel linguaggio dei Garamantes, i paradossi che Berkeley ideò a proposito del tempo, ma che non pubblicò, il libro d’acciaio di Urizen, le premature epifanie di Stephen Dedalus, che potrebbero essere incomprensibili prima che passino mille anni. Il vangelo gnostico di Basilide, le canzoni che intonano le sirene. Il completo catalogo della Biblioteca, la prova della non accuratezza del catalogo stesso. Qualsiasi cosa: ma per ogni riga dotata di senso o per ogni fatto accurato ci saranno milioni di cacofonie insignificanti, di tiritere e balbettamenti. Qualsiasi cosa: ma tutte le generazioni dell’umanità potrebbero trascorrere prima che i suoi scaffali – scaffali che obliterano il giorno, scaffali abitati dal caos – la ricompensino con una pagina tollerabile.
Ben presto, in questa biblioteca di babele, la segnatura dell’opera, il suo codice di catalogo, diventerebbe più lungo dell’opera stessa….


Il primo argomento esplicito contro la crezione di lunghi testi tramite processi completamente casuali è molto più antico dei nostri autori, risale infatti a Cicerone. Nel suo De Natura Deorum, il personaggio Balbo lo stoico così si oppone agli atomisti, come Democrito, che avevano fatto risalire l’ordine della natura alla collisione accidentale tra gli atomi:
“Non posso che meravigliarmi che ci sia qualcuno che davvero si persuade che atomi fatti di materia che si muovono per forza di gravità possono costruire questo mondo meraviglioso ed elaborato a forza di collisioni fortuite. Se credono questo, perché non credere anche che se innumerevoli copie delle lettere dell’alfabeto vengono mescolate e poi gettate come si fa con i dadi, esse comporranno l’intero testo degli Annali di Ennio. Io dubito che la fortuna ne faccia venir fuori anche un solo verso!”.

In effetti, come abbiamo visto la volta scorsa, la possibilità che un cosmo ordinato possa emergere da qualcosa come il tiro di una moneta è così bassa da essere effettivamente zero. Secondo Seth Lloyd la combinazione di probabilità infinitamente basse con lo spazio e il tempo finito del nostro universo visibile rendono non credibile la generazione casuale dell’ordine. Se l’universo fosse infinito in età o estensione, allora, si potrebbe arguire, da qualche parte o qualche volta, ogni possibile schema, testo o stringa di bit sarà stato generato. Ma anche in un universo infinito l’argomento di Boltzmann fallisce. Se l’ordine viene generato a caso ogni volta che si manifesta nuova informazione sarebbe astronomicamente alta la probabilità di imbatterci in disordine e insensatezza. Ma non è così: i nuovi bit rilevati dall’osservazione al contrario hanno molto raramente una natura del tutto casuale. Basta andare alla finestra o addentare una mela. O guardare il cielo: in astronomia vengono alla luce continuamente nuove galassie e nuove strutture cosmiche. Se l’argomento della completa casualità avesse valore dovremmo vedere quasi solo arrangiamenti sconclusionati della materia, una specie di poltiglia cosmica, invece degli oggetti sia pur misteriosi ma ordinati che cataloghiamo. Nell’universo in cui tutto sorge a caso, il nostro prossimo respiro è anche l’ultimo, poiché gli atomi che costituivano il nostro corpo si sono già riconfigurati.

E’ molto interessante seguire Lloyd nel seguito del suo ragionamento: assodato che Boltzmann aveva torto, questo non significa che Cicerone avesse ragione. Non abbiamo bisogno di una intricata costruzione o del disegno intelligente o della divinità per spiegare la presenza dell’ordine e della complessità nell’universo. Se concepiamo l’universo come un computer che ‘impara’ a programmarsi (computa se stesso) e a poco a poco costruisce le sue leggi e le sue forme per tentativi ed errori abbiamo risolto il problema dell’ordine e della complessità partendo da basi in apparenza molto semplici: gli atomi e le particelle elementari, gli elementi base della computazione (quantistica) universale. In questo tipo di universo, l’informazione, una volta creata, tende a diffondersi irresistibilmente: come un’epidemia condivisa istantaneamente che si fa spazio, energia, gravitazione e poi materia. Così la fisica si fa chimica e quindi vita. La vita, programmata dall’evoluzione, dà luogo prima o poi a un Shakespeare; programmato dall’intelligenza, dall’esperienza e dalla passione, Shakespeare inizia a scrivere l’Amleto: “Who’s there? …”

venerdì 5 ottobre 2007

Il teorema delle scimmie infinite


Approfitto dell’ospitalità incautamente accordatami (finalmente posso sistemare i miei appunti da qualche parte) per discettare su un argomento su cui rimuginavo dai tempi di Arquata, ma anche prima, perché è venuto fuori per la prima volta mi pare quando abbiamo letto il libro di Orlando Franceschelli sull’evoluzione. Si tratta delle famose scimmie che battono a casaccio su una tastiera e ne traggono i capolavori della letteratura, prima o poi. Metafora del caso creatore e ordinatore. Sarò prolisso e noioso. Prevedo varie puntate.

Enunciazione del teorema delle scimmie infinite

Una scimmia che batta a caso sulla tastiera di una macchina da scrivere per un tempo virtualmente infinito (quasi) sicuramente produrrà un particolare testo scelto, ad esempio un’opera di Shakespeare, l’Amleto. In tale contesto ‘quasi sicuramente’ è un termine matematico con un preciso significato (probabilità appunto matematica) e ‘scimmia’ è una metafora per una macchina teorica che produce una sequenza casuale di lettere ad infinitum.

Discussione

Ignorando punteggiatura, spaziatura e maiuscole, una scimmia che batta a caso ha una probabilità su 26 (numero dei tasti dell’ipotetica macchina da scrivere) di scrivere la prima lettera dell’Amleto e una su 676 di scrivere le prime due (26x26). Poiché la probabilità diminuisce in maniera esponenziale con l’aumentare delle lettere da scrivere, a 20 lettere la chance è 2620, vicina a quella di comprare quattro biglietti della lotteria consecutivamente e vincere ogni volta il primo premio. Nel caso dell’intero testo la probabilità è così incredibilmente piccola che molto a stento può essere concepita in termini umani. Posto che il testo è composto da circa 130.000 lettere, esiste una probabilità su 3.4x10183946 di ottenere l’Amleto al primo tentativo. Il numero medio di battiture che occorre effettuare prima che il testo abbia una possibilità (statistica) di apparire è lo stesso. Per avere un termine di paragone esistono solo 1079 atomi nell’universo conosciuto e 1080 elettroni, mentre sarebbero trascorsi 1021 minuti dal supposto Big Bang (circa 14 miliardi di anni). A cento parole al minuto occorrono 1040.000 minuti per avere una probabilità di ottenere ‘per caso’ la nostra sudata copia dell’Amleto. Anche se avessimo a disposizione un’armata cosmica di scimmie, una per ogni elettrone dell’universo al lavoro dall’inizio dei tempi, la probabilità di riuscire sarebbe ancora solo una su 10183800.

Si, ma le scimmie sono lente, cento parole al minuto, bazzecole: e se le sostituissimo con un computer molto molto potente? Le sfide vanno prese sul serio. Andiamo al bersaglio grosso: prendiamo un computer delle dimensioni dell’universo stesso, con tutta la sua materia e la sua energia al servizio della computazione, e facciamolo più veloce che si può: la sua capacità può essere calcolata in base a leggi abbastanza collaudate.

Prima di ogni cosa, l’energia e la velocità stanno in preciso rapporto. L’ammontare di energia nell’universo visibile può essere definita accuratamente. La maggior parte di essa è imprigionata nella massa degli atomi. Se contiamo gli atomi di tutte le stelle e le galassie, e ci aggiungiamo la materia delle nubi interstellari, troviamo che la densità di materia dell’universo equivale a un atomo di idrogeno per metro cubo.

Esistono poi altre forme di energia: quella della luce per esempio. La velocità di rotazione delle galassie suggerisce l’esistenza di ulteriori e invisibili fonti di energia; si parla inoltre di una ‘quintessenza’ legata all’anomala velocità di espansione dell’universo, e di altre forme ancora più bizzarramente denominate (machos, wimp, winos).

L’ammontare totale dell’energia in queste forme esotiche si calcola, un po'a spanne, come dieci volte superiore a quella standard contenuta nella materia direttamente osservabile. Naturalmente, ogni atomo contribuisce secondo la formula E = mc 2. Da questo conteggio ricaviamo che l’energia dell’intero universo ammonta a 1071 joules. Per ottenere la massima velocità di calcolo che questo computer cosmologico può sviluppare si applica il teorema di Margolus- Levitin: (energia x 4): costante di Planck (h = 6,626068 x 10–34 joule-sec, un numero piccolissimo che regola gli eventi quantistici).

Conclusione provvisoria

Ne risulta che ogni secondo un computer che usa tutta l’energia e la materia dell’universo compie 10105 operazioni. In 14 miliardi di anni, ne ha fatte 10122.

Per scrivere casualmente l’Amleto occorrono 3.4x10183946 operazioni. Se assegniamo al nostro universo una vita di 30 miliardi di anni, il cosmo-computer dovrà funzionare per biliardi di miliardi di miliardi di cicli cosmici, (e speriamo che non vada mai in crash…) prima di poter mostrare se la probabilità matematica assunta inizialmente si è tradotta o meno in realtà. E già: tutto questo ambaradan è senza certezza alcuna di riuscita. Non esiste qualcosa come una probabilità certa.

Se poi questi cicli cosmici sono in qualche modo ricorsivi, se essi presentano elementi di ripetizione e correlazione, se insomma il mito dell’eterno ritorno non è solo un mito, se non si dà una stringa casuale infinita come un fiume eterno mai uguale a se stesso, ma la reiterazione di stringhe finite, alla scimmia verrà negata anche quella probabilità abissale rimasta e potrà solo comporre, tra un eone e l’altro, solo qualche verso, magari sempre gli stessi. L’esperienza accumulata con i generatori di numeri causali indica che questa possibilità (seriazione, prevedibilità) non è remota come sembra.

Morale della favola, se vogliamo fare i seri: l’universo immaginato come una macchina generatrice di eventi casuali è incapace di elaborare in uscita una stringa complessa fornita come chiave della computazione in un tempo finito, anche se molto grande (ciclo cosmico) e può solo rinviare la resa dei conti su un piano (super ciclico, super cosmico) inattingibile dai mezzi di cui la ragion scientifica dispone e dai quadri concettuali che si è data, che non permettono oggi di andare oltre la nascita (e la morte) dell’universo quale singolarità irripetibile e inspiegabile, e quindi di pensare un altro o altri cicli cosmici, e tantomeno le possibili connessioni tra di essi.

Il limite della computazione, già indicato da Roger Penrose sul raffinato versante algoritmico, si dimostrerebbe qui anche nella rozza prospettiva del rimescolamento ‘brute-force’.

Pausa. Questo gioco che sembra (ed è anche) una stupidaggine appartiene alla schiera dei giochi mentali ‘come se’ così tipici ai nostri giorni: comportiamoci come se l’universo fosse una macchina o come se una scimmia fosse l’universo, come se l’eternità fosse calcolabile o un poeta simulabile.

Oggi non si danno più giochi di scena, di sfida, di specchio, giochi duali. Ma giochi estatici e solitari, in cui il piacere non è più estetico e scenico, ma aleatorio, psicotropico, dalla fascinazione pura: giochi di vertigine.
Questo l’ha pensato Roger Caillois.


continua...


mercoledì 3 ottobre 2007

Cominciamo bene

Vedo che il nostro blog si comincia a popolare di interventi interessanti. Sarà scienza, sarà filosofia, sarà che abbiamo tanto tempo a disposizione. Poichè è possibile far pervenire, a tutti quelli che lo vogliono, gli aggiornamenti sulla propria casella di posta in tempo reale (una mail avvisa ogni volta che qualcuno interviene per commentare o per postare), chiedo a Pietro di inviarmi per mail tutti gli indirizzi delle persone interessate. In ogni caso è bene mettersi il blog tra i preferiti (lo scrivo per i non professionisti di internet), in modo da essere facilitati ogni volta che si vuole dare un'occhiata. E' anche possibile che questo blog sia visibile solo a un ristretto numero di persone, ossia a quelli delle cenette e ad alcuni indirizzi selezionati. Al momento la sua visione è libera, pare che già superiamo i contatti giornalieri dei blog più affermati. A parte il babbio, se così vogliamo che sia il nostro blog, dobbiamo riflettere sul fatto che ogni nostra affermazione, soprattutto se rivolta ad esterni, può essere impugnata, bonariamente o seriamente, da coloro che si sentissero offesi. Le mail che sino ad oggi giravano privatamente avevano, appunto, una valenza circoscritta e limitata. Adesso, dal punto di vista comunicativo, a meno che non decidiamo di chiudere il blog agli esterni, siamo un un'altra situazione. Ciò, ovviamente, non deve indurre nessuno ad avvere timore a scrivere, basta solo ricordarsi che abbiamo dato alle nostre cenette una valenza pubblica, almeno nella rete. A presto. Francesco

Le due beffe

La discussione molto interessante di ieri sera su scienza e filosofia mi ha fatto ricordare della beffa di Sokal di qualche anno fa. Alan Sokal è un fisico americano (di idee marxiste) che , preoccupato del decaduto rigore accademico di certe scienze umane (in specie quelle di orientamento post-strutturalista e postmodernista) ha deciso di giocare un brutto tiro alla rivista di punta in questo filone, Social Text, inviandogli per la pubblicazione un articolo dal pretenzioso titolo Violare i confini: verso un'ermeneutica trasformativa della gravità quantistica zeppo di assurdità, svarioni e tesi campate in aria, quali: il mondo fisico è una costruzione sociolinguistica, la scienza postmoderna ha abolito il concetto di realtà obiettiva, le teorie di Lacan sono state confermate dalla teoria quantistica dei campi, la teoria delle eguaglianze matematiche è analoga al concetto femminista di eguaglianza, la scienza segue strettamente un'agenda politica. Il tutto condito da paroloni come flusso, non-linearità, interconnessività etc. Naturalmente l'articolo è stato pubblicato con tutti gli onori, dando la stura, quando la beffa è stata rivelata, a interminabili polemiche tra scienze hard e scienze soft.

Qualche anno dopo i Bogdanov hanno reso la pariglia ai fisici. I fratelli (gemelli) Grichka e Igor Bogdanov dopo aver ottenuto (non si sa come) il Phd (Philosophy Doctor- il titolo per l'ammissione alla carriera accademica nel mondo anglosassone e oltre rende omaggio all'antica dottrina) in matematica e fisica teorica, hanno pubblicato un totale di sei lavori su importanti giornali di fisica e matematica come Annals of Physics e Classical and Quantum Gravity, in cui si rivendicava nientemeno che la spiegazione degli eventi che hanno preceduto il big bang (di solito il tormentone è dedicato ai momenti che seguono questo pseudo-evento). In realtà questi paper sono scritti in un denso gergo pseudoscientifico ma non hanno alcun contenuto reale: sono sintatticamente coerenti ma insensati, tanto che un critico del giorno dopo ha notato che non si sa dove finisce un errore e dove comincia il successivo. Il bello è che questi articoli hanno superato brillantemente il rigoroso filtro dei referee, i luminari incaricati di asaminare gli articoli e dare il via alla prestigiosa pubblicazione. I due non hanno mai ammesso lo scherzo.




martedì 2 ottobre 2007

Stasera sono riprese interessantissime le cenette filosofiche. Vi partecipo da tempo e le trovo estremamente interessanti. Si respira un clima cordiale e nel contempo c'è uno spirito di ricerca che non mi dispiace. Credo che il libro di Augusto Cavadi, " e per passione la filosofia " potrà permetterci una buona messa a fuoco sul senso e l'importanza del filosofare. Sull'utilità o inutilità della filosofia si gioca, a mio avviso, la questione fondamentale del chi è e cosa è l'uomo. Una risposta riduttiva tenderà a privilegiare le cd. scienze sperimentali , le uniche autorizzate secondo alcuni a sentenziare sul senso dell'esistenza umana. Una risposta altresì pretestuosa o arrogante della filosofia , porterà a negare qualunque importanza logica o veritativa alle scienze extrafilosiche . Forse la verità sta nel giusto mezzo , nella meraviglia dei filosofi per le scoperte scientifiche e sperimentali e nella conseguente riflessione sui fatti della scienza, e nella domanda di senso che la stessa scienza positiva pone continuamente a tutti a seguito delle scoperte scientifiche stesse. La virtù sta nel mezzo ?
Alberto Spatola

Si ricomincia a stulitiari (trad. filosofare)

Caro Filosofi
Vi ricordo che ricominciamo martedì sera, come sintetizzo sotto
A presto

....abbiamo scelto il testo con il quale confrontarci alla ripresa dei nostri cenacoli il primo martedì di ottobre (la sera del due). Si tratta del bel libro del nostro Augusto Cavadi "E, per passione, la filosofia" (DG editore, collana "Gratis et amore hominis", 2006.
.... Il libro, nella prima parte, ci aiuterà a riflettere sulle ragioni del filosofare (tra le quali, appunto, la passione e la meraviglia), nella seconda ci consentirà di confrontarci sui temi fondamentali dell'esistenza con i cinque capitoli sulla verità, la felicità, la morte, l'uomo, il mondo e Dio (hai detto niente!) e, nella terza parte ("l'oltre della filosofia") ci proporrà coinvolgenti suggestioni sulla poesia, il silenzio mistico, l'azione politica e la pratica amorosa.Il secondo testo che commenteremo dopo quello di Augusto sarà un saggio di Isaia Berlin sulle idee politiche del ventesimo secolo, proposto da Gianni Rigamonti e opportunamente selezionato dallo stesso da un ponderoso volume dell'autore che, se ricordate, l'anno scorso abbiamo rischiato di doverci sorbire tutto intero. Il terzo testo sarà le operette morali di Leopardi, più volte evocato e finalmente scelto all'unanimità
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Martedì sera due ottobre presso il mio studio (Via Resuttana n. 352, angolo Via De Gasperi, alle 20,30 per chi mangia con noi e alle 21 per gli altri) esordiremo con una presentazione del suo libro da parte di Augusto e con le prime nostre riflessioni. Per il momento sarà sufficiente leggere l'introduzione e qualche pagina iniziale.
Ciao Pietro


* Carissimi,
qualche precisazione sulla tempestiva comunicazione di Peter, nostro Mentore e nostro Mecenate e nostro Pigmalione e nostro Orazio (fustigatore di costumi per mezzo di risate):

* il compito di introdurre il mio libretto se l'è generosamente assunto Armando Caccamo (così posso sentire, dalla viva voce di un non-filosofo verace, i commenti più spietati, prima di partire per l'America latina il 7 ottobre);
* la rubrica telefonica andrebbe corretta (Adriana Saieva, tanto per dirne una a caso, è ormai da tempo adriana.saieva@alice.it) e integrata (con gli indirizzi di quelle persone che in queste settimane hanno manifestato interesse a partecipare: Guido Rizzo Cavadi, Alessandro, Marcella etc.).
A presto.
Augusto