sabato 5 gennaio 2008

Da Alberto Biuso un bel messaggio di incoraggiamento al gruppo ed alla sua ultima scelta

Cari amici,
una scelta eccellente, quella delle Operette leopardiane.
L'Autore secondo me è non solo uno dei massimi poeti italiani di sempre ma anche un filosofo originale e profondo.
Il suo pensiero è di una tale ricchezza da esulare rispetto a categorie insufficienti come "pessimismo" e "ottimismo", nelle quali manuali scolastici e menti pigre continuano a volerlo intruppare.
Le Operette sono uno dei pochi libri italiani radicali, espliciti sulla natura e sulla storia, pervasi da una serietà di intenti e lucidità di prospettive che non appartengono certo alla tradizione nazionale. Si possono accostare, in questo, al Principe e alla Storia della colonna infame. Ha, poi, una varietà di toni ("musica" veramente, come osservò Montani, citato da Pietro), una differenziazione lessicale, una ricchezza stilistica tali da non stancare mai, neppure quando i contenuti sono ripetitivi e il discorso si fa un pò retorico.

E' un gran libro, soprattutto, di filosofia morale. Alla base di ogni discorso etico deve stare una ben chiara antropologia. E quella di Leopardi lo è.
Lo scrittore si inserisce in quella linea della filosofia europea che da Spinoza a Heidegger sottolinea la finitudine dell'ente uomo, il suo essere effimero in un mondo che si muove e vive in assoluta indipendenza rispetto alle sue parti.
E' davvero notevole il contributo leopardiano alla filosofia intesa come riflessione morale e non solo come metodo scientifico di indagine sulla natura e sulla storia. Tanto più che Leopardi è perfettamente consapevole della propria strategia e dei suoi fini e rifiuta con grande lucidità la riduzione biografica che vorrebbe fare delle sue opere la mera conseguenza dei suoi malanni: «E sentendo poi...dire che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere effetto d'infermità, o d'altra miseria mia particolare, da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso...poi tornato in me stesso, mi sdegnai un poco; poi risi», (lo dice all'inizio del Dialogo di Tristano e di un amico). A chi gli vorrebbe negare la qualità teoretica e l'oggettività dell'analisi, l'Autore così risponde: «malato o sano, calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione e ogn'inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna parte dell'infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera» (Ivi).

Buona lettura, dunque!
Alberto