venerdì 2 novembre 2007

Archè tes antifaseos (principio di contraddizione)

La genesi del famosissimo principio logico, che nella tradizione posteriore è passato con il nome di principio di identità e di non-contraddizione, è nella metafisica aristotelica (se non ricordo male nel libro gamma) . Tale principio è un assioma logico, cioè in sostanza Aristotele dice : "E' impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo ,appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione " , per cui se A è A non puo essere nel contempo non A e Tertium non datur . In effetti Aristotele parla più propriamente , come si evince dal titolo, (archè tes antifaseos) , di principio di contraddizione, ed allude ad i termini contradditori. Cioè quando parliamo , e affermiamo qualcosa , non possiamo contemporaneamente dire di una cosa o di un soggetto , che è una cosa particolare , e nel contempo dire che non è quella cosa particolare. Se diciamo ad esempio che un gatto è bianco , non possiamo dire nel contempo che lo stesso gatto non è bianco.Augusto ha fatto l'esempio di Dio , che o c'è o non c'è , ed anche qui tertium non datur. ( non vale la simpatica obiezione dell'alunno che dice che Dio c'è per chi ci crede , perchè sostanzialmente equivale a dire che Dio non c'è ) . Ora la validita del " principio di contraddizione " o archè tes antifaseos, è una validità "logica " , cioè permette che i nostri discorsi ed enunciati siano di senso compiuto e comprensibili. E' fuor di dubbio che si può parlare senza senso alcuno, che si possono emettere suoni e parole senza alcun significato, che si può dire qualcosa di incomprensibile, come ad esempio purtroppo accade in alcuni gravi stati psicotici, ma ciò costituisce una sofferenza del dialogo e dell'umano relazionarsi , non altro.Volenti o nolenti non si può per nulla rinunziare al principio aristotelico, pena l'assurdo , che sì, può pure essere una scelta esistenziale , ma non porta da nessuna parte. (e comunque anche i filosofi che propendono verso il cd “assurdismo”, come Camus , Sartre et al , si esprimono compiutamente e sensatamente ) Va chiarito tuttavia a mio avviso, che l'affermazione del principio più noto nella storia della logica, poco o nulla ha a che vedere con il dogmatismo, l'autoritarismo, o il pensiero "forte".Nulla vieta che più interlocutori, che si esprimano dialogicamente attorno ad un problema , piccolo o grande che sia , la pensino in modo diverso. In questo senso , data anche la complessità infinita del reale, un certo relativismo è assolutamente fisiologico e fa parte della storia del pensiero filosofico e scientifico. Ammettere quindi la validità dell'archè tes antifaseos, vuol dire solo concepire il fatto che i dialoganti si esprimano in modo "logico " , non dicano una cosa e nel contempo la cosa contradditoria. Si può concepire tutto al più, ed accade di continuo, che dopo un certo periodo , anche breve di tempo , si possa cambiar parere, e ciò rappresenta l'evoluzione del pensiero, ma tale cambiamento è sempre dire una cosa sola , non due cose contradditorie insieme ed allo stesso tempo. Non si capisce perchè martedì sera, nella nostra bella riunione di cenacolanti, veniva fuori dalla discussione che ammettere il principio aristotelico era quasi ammettere una verità assoluta. In realtà il concetto di verità è, ad avviso di molti nella storia della filosofia, problematico , infinitamente poliedrico, inesauribile, e limitatamente attingibile nel senso di K. Jaspers.(v.) Concludo pertanto dicendo che in realtà le uniche poche verità condivisibili ( di minima ) sono quelle legate al senso comune (v.) e senza le quali non potremmo neppure parlare tra di noi: p.esempio provo a sintetizzarne alcune: 1) se si parla è per farsi capire e perchè si vuol dire qualcosa che ha un senso . 2) qualcosa c'è fuori e/o dentro ciascuno di noi 3) sento eticamente il rispetto per .l'altro/a 4) esiste il contrasto sanità/malattia e l'aspirazione alla felicità in tutti noi . Qualcuno obbietterà che anche questi pochi punti non sono da tutti condivisi , c’è chi parla volutamente in modo oscuro, o per raggirare e non far capire le proprie intenzioni. C’è chi pure, un po’ allucinato , arriva a dubitare, come Pirrone.(v) lo scettico, dell’esistenza di tutto (vedi i concetti di acatalepsia ed atarassia conseguenti). C’è poi chi non si cura di rispettare gli altri e la loro libertà , e c’è chi vuol morire e non aspira più ad alcuna felicità. Ma in realtà a tutte queste obiezioni si risponde che , per quanto ci sia di tutto a questo mondo , non sfugge a nessuno la differenza tra senso e non senso , tra aspirazione al bene (pur variamente e liberamente interpretata) e senso del male e della sofferenza , e soprattutto non sfugge a nessuno che “normalmente “ (sarebbe troppo lungo approfondire ora il concetto difficile di “normalità “, ma è impossibile in pratica rinunziare a tale concetto, soprattutto di fronte a gravi fatti di alienazione mentale) tutti aspiriamo alla salute ed alla felicità. E ,tra l’altro, come anche accenna Francesco Palazzo alla fine del suo intervento, tali aspirazioni , “normalmente” accomunano l’uomo della strada , e l’uomo colto.