venerdì 7 marzo 2008

A.I. e decadenza dell’Uomo



Ho appreso da una mail di Pietro Spalla –che ringrazio- che a Palermo vi sarà un convegno sul tema, a cui non potrò partecipare. Complimenti per la bella idea anche Donatella Ragusa che l’ha organizzato.
Scrivo allora queste riflessioni, nella eventualità che una sintesi di queste venga inserita nel calderone dei contributi.


Nella nostra Scuola, Damanhur, quello dell’Intelligenza Artificiale è sempre stato un tema molto seguito dalle persone, poiché per tanti versi può tendere a scardinare alcune concezioni di base che diamo per scontate sul nostro livello di coscienza, e su come essa possa essere collegata al concetto stesso di intelligenza. A noi damanuriani fondamentalmente interessa capire perché siamo qui, e il progressivo approfondimento dei nostri meccanismi di funzionamento ci da delle chiavi formidabili, soprattutto oltrepassando le barriere del razionale e del consueto.

Ho sempre trovato interessanti, e molto vicine ai nostri punti di vista, le osservazioni e le elaborazioni di un docente dell’università di Bologna, Oscar Battelli (vedi relative pagine internet), il quale probabilmente come realtà non ci conosce nemmeno. Però trovo che siano acute e, nella loro asciutta semplicità, spesso sorprendenti.

A proposito della coscienza e dell’intelligenza artificiale, lui sostiene che già adesso si possono creare, e in parte sono già state create attraverso i computers, macchine in grado di riprodurre i processi logici della mente umana la quale, rispetto ai propri funzionamenti contiene in se, è vero, anche una componente imprevedibile ma anche, altrettanto vero, riproducibile. Trattandosi di processi riproducibili, (o potenzialmente riproducibili) al di fuori dell’essere umano, si potrebbe anche concludere che essi non sono necessariamente legati come origine nè alla nostra specie e nemmeno ai processi biologici conosciuti. Idealmente potrebbero “agganciarsi” anche ad un corpo metallico e ad una serie di microchips. Ma finché l’uomo pensa in termini autoesaltanti da un lato, ed autocastranti dall’altro, non vi potranno essere seri avanzamenti concettuali e tecnologici in questo particolare campo.

Faccio una ipotesi di esempio. Se a queste macchine, ulteriormente potenziate, venisse data la possibilità di decidere, di muoversi ed agire per conto proprio, la possibilità di autoalimentarsi e di non essere più spente o fermate nemmeno dalla volontà dei creatori, avremmo riprodotto anche il libero arbitrio. Ma è ovvio che l’Uomo non si fiderebbe delle proprie creature, e tendenzialmente non vorrebbe rischiare di concedere ad altri “esseri” il proprio livello di libertà e di decisione.

Finora solo la fantascienza ha osato pensare cosa potrebbe succedere. Nei racconti più belli ed interessanti, questo è il tema più scottante e maggiormente trattato, perché ha delle implicazioni etiche ed esistenziali.
Ad esempio, nelle storyboard di “Animatrix” (vedi DVD in commercio) che sono servite a predisporre le riprese di Matrix, vengono “rivelati” alcuni particolari che non si trovano nella versione definitiva del film. Si “apprende” così che all’origine della grande guerra tra le Macchine e l’Uomo, culminata con la definitiva sconfitta di quest’ultimo, era stato il fatto che le macchine create erano state dotate non solo di intelligenza e di libertà decisionale, ma inaspettatamente anche di sensibilità, di sentimenti, di volontà di autoconservazione ed autoriproduzione. (che è poi il tema trattato anche da Spielberg nel suo A.I.). In una parola potremmo dire che queste macchine avevano l’anima. Pertanto risultavano molto più forti dell’uomo, perché erano instancabili ed erano in grado, tramite le conoscenze acquisite dall’uomo stesso, di estenderle molto più in là. Erano in grado di riprodurre qualsiasi processo, fisico, chimico e biochimico, e di trovare le risorse energetiche e naturali per farlo. Diventarono invincibili perché avevano oltre a queste cose anche un livello di giustizia superiore all’Uomo il quale, per presunzione, non voleva riconoscergliele. Da qui la guerra, e la caduta molto veloce di una civiltà già da secoli in decadenza.

Pochi mesi fa, discutendo di questi temi durante una delle nostre serate comunitarie, un adulto ha chiesto ad uno dei ragazzi della nostra scuola media:
“Ma secondo te, se un giorno l’uomo creasse un computer potentissimo, molto di più di quelli attuali, e se questo computer dicesse di avere l’anima, gli si potrebbe credere?” E il ragazzo, dapprima preso alla sprovvista, ha detto “…Mah, certo, dipenderebbe dalle tecnologie che si adoperano…”. Ma poi subito dopo ha aggiunto: “Però io penso che…sì, secondo me gli si potrebbe ceredere!”.

E così questo ragazzo, nella sua pulita semplicità, si è molto avvicinato alle nostro attuale indirizzo di ricerca concettuale, secondo cui tutto ciò che chiamiamo genericamente anima, coscienza, sensibilità, ecc. ecc. può stare, o “entrare” ovunque gli sia consentito di svilupparsi, e non è necessariamente generato dalle cellule del nostro corpo fisico. Anche se utilizza questo per andare in giro, un giorno potrebbe anche cambiare forma fisica, semplicemente decidendo di farlo. Perché già oggi siamo ad un passo dalla possibilità tecnologica di realizzare una grande diversificazione delle forme artificialmente generabili in laboratorio. E’ ovvio che queste ricerche sono rallentate o impedite dal peso onnipresente delle varie chiese più o meno cattoliche, interessate a propugnare non Dio, ma una ben precisa visione di Dio. La quale ovviamente non è l’unica possibile, ma rappresenta il potere più attualmente forte.

Mi piace immaginare che giorno anche questo potere si esaurirà ed allora la fantascienza, come è sempre avvenuto, diventerà realtà. L’idea per cui l’io e l’essere sono la stessa cosa, soltanto perché in me coincidono, verrà definitivamente abbandonata. E verrà ricreato quel misterioso ponte di collegamento che è stato interrotto per isolare la specie uomo di questo pianeta dal resto dell’universo, e dal resto del pianeta stesso. E anche Dio, ovunque nel mondo, smetterà di avere due sole alternative: o quella di essere il grande vecchio al di sopra delle nuvole o quella di essere negato dallo scetticismo della razionalità e dei 5 sensi.
Ed allora, (secondo noi!) in un arco grande almeno come il numero degli esseri senzienti, visibili o meno, la divinità abiterà coscientemente in ciascuno. E ciascuno sentirà di “essere” Dio.
La parola unica diventerà “accorgersi”, ovvero: “Non soltanto io penso, dunque non soltanto io sono”.