mercoledì 10 ottobre 2007

Il teorema delle scimmie infinite parte seconda

La nostra civiltà, dicevamo, ama i giochi apparentemente fini a se stessi.
Nelle pieghe del bilancio di un’università ben disposta si sono trovati i fondi per un esperimento sulla produzione letteraria di vere scimmie. Sei macachi crestati sono stati forniti di una tastiera e osservati, anche via web naturalmente, per un mese. Uno dei ricercatori ha giustificato la spesa giudicandola inferiore a quella di un reality, ma con risultati ben più stimolanti e affascinanti. Nel periodo di osservazione le scimmie hanno prodotto solo cinque pagine di testo, consistente quasi per intero della lettera s; il compenso il maschio dominante ha percosso la tastiera con una pietra emettendo feroci urla, e tutti i macachi hanno fatto a turno i loro bisogni sulla malcapitata periferica.
Sappiamo bene però che le scimmie (meritevoli di ben altri studi e attenzioni) sono solo un prestesto per parlare del posto che il caso e l’ordine hanno nel nostro mondo, e per chiedersi se l’ordine può discendere dal caso, e in quale senso, eventualmente.
Le origini scientifico- filosofiche della nostra controversa storia di scimmie scrittrici risalgono a Ludwig Boltzmann, un grande fisico della seconda metà dell’800, che ha proposto una spiegazione per l’ordine e la diversità che notiamo ammirati nell’universo. Supponiamo che l’informazione che definisce l’universo, e quindi la struttura dell’universo stesso risulti da un processo completamente casuale, come un tiro di dadi, o la classica moneta, testa o croce. Oggi potremmo dire che , se identifichiamo la testa con 1 e la croce con 0, tirare la moneta ripetutamente alla fine produrrà ogni desiderata stringa di bit, inclusa una stringa di bit che descrive l’universo nella sua interezza. Fu il matematico Emile Borel a ideare nel 1913 la vera e propria metafora delle scimmie dattilografe. Che poi si sono fatta strada irresistibilmente nella cultura alta come nella fantascienza, da Isaac Asimov, a Douglas Adams.
L’espressione artistica più magistrale di quello che è diventato un mito della pop culture si deve a Jorge Luis Borges che nel 1939 scrive il saggio La biblioteca totale in cui vagheggia da par suo che una mezza dozzina di scimmie, provviste di macchine da scrivere, possano produrre, in poche eternità, tutta la biblioteca del British museum (strettamente parlando, chiosa, una sola scimmia immortale è sufficiente), per poi spingersi oltre ogni colonna d’Ercole dell’immaginazione:

Qualsiasi cosa potrà trovarsi nei suoi ciechi volumi. La dettagliata storia del futuro. Gli Egiziani di Eschilo. L’esatto numero di volte in cui il volo di un falcone si è riflesso nelle acque del Gange. La segreta e vera natura di Roma, l’enciclopedia che Novalis avrebbe voluto redarre, i miei sogni e le mie dormiveglie all’alba del 14 agosto 1934, la prova del teorema di Fermat, i capitoli non scritti dell’Edwin Drood di Dickens, gli stessi capitoli tradotti nel linguaggio dei Garamantes, i paradossi che Berkeley ideò a proposito del tempo, ma che non pubblicò, il libro d’acciaio di Urizen, le premature epifanie di Stephen Dedalus, che potrebbero essere incomprensibili prima che passino mille anni. Il vangelo gnostico di Basilide, le canzoni che intonano le sirene. Il completo catalogo della Biblioteca, la prova della non accuratezza del catalogo stesso. Qualsiasi cosa: ma per ogni riga dotata di senso o per ogni fatto accurato ci saranno milioni di cacofonie insignificanti, di tiritere e balbettamenti. Qualsiasi cosa: ma tutte le generazioni dell’umanità potrebbero trascorrere prima che i suoi scaffali – scaffali che obliterano il giorno, scaffali abitati dal caos – la ricompensino con una pagina tollerabile.
Ben presto, in questa biblioteca di babele, la segnatura dell’opera, il suo codice di catalogo, diventerebbe più lungo dell’opera stessa….


Il primo argomento esplicito contro la crezione di lunghi testi tramite processi completamente casuali è molto più antico dei nostri autori, risale infatti a Cicerone. Nel suo De Natura Deorum, il personaggio Balbo lo stoico così si oppone agli atomisti, come Democrito, che avevano fatto risalire l’ordine della natura alla collisione accidentale tra gli atomi:
“Non posso che meravigliarmi che ci sia qualcuno che davvero si persuade che atomi fatti di materia che si muovono per forza di gravità possono costruire questo mondo meraviglioso ed elaborato a forza di collisioni fortuite. Se credono questo, perché non credere anche che se innumerevoli copie delle lettere dell’alfabeto vengono mescolate e poi gettate come si fa con i dadi, esse comporranno l’intero testo degli Annali di Ennio. Io dubito che la fortuna ne faccia venir fuori anche un solo verso!”.

In effetti, come abbiamo visto la volta scorsa, la possibilità che un cosmo ordinato possa emergere da qualcosa come il tiro di una moneta è così bassa da essere effettivamente zero. Secondo Seth Lloyd la combinazione di probabilità infinitamente basse con lo spazio e il tempo finito del nostro universo visibile rendono non credibile la generazione casuale dell’ordine. Se l’universo fosse infinito in età o estensione, allora, si potrebbe arguire, da qualche parte o qualche volta, ogni possibile schema, testo o stringa di bit sarà stato generato. Ma anche in un universo infinito l’argomento di Boltzmann fallisce. Se l’ordine viene generato a caso ogni volta che si manifesta nuova informazione sarebbe astronomicamente alta la probabilità di imbatterci in disordine e insensatezza. Ma non è così: i nuovi bit rilevati dall’osservazione al contrario hanno molto raramente una natura del tutto casuale. Basta andare alla finestra o addentare una mela. O guardare il cielo: in astronomia vengono alla luce continuamente nuove galassie e nuove strutture cosmiche. Se l’argomento della completa casualità avesse valore dovremmo vedere quasi solo arrangiamenti sconclusionati della materia, una specie di poltiglia cosmica, invece degli oggetti sia pur misteriosi ma ordinati che cataloghiamo. Nell’universo in cui tutto sorge a caso, il nostro prossimo respiro è anche l’ultimo, poiché gli atomi che costituivano il nostro corpo si sono già riconfigurati.

E’ molto interessante seguire Lloyd nel seguito del suo ragionamento: assodato che Boltzmann aveva torto, questo non significa che Cicerone avesse ragione. Non abbiamo bisogno di una intricata costruzione o del disegno intelligente o della divinità per spiegare la presenza dell’ordine e della complessità nell’universo. Se concepiamo l’universo come un computer che ‘impara’ a programmarsi (computa se stesso) e a poco a poco costruisce le sue leggi e le sue forme per tentativi ed errori abbiamo risolto il problema dell’ordine e della complessità partendo da basi in apparenza molto semplici: gli atomi e le particelle elementari, gli elementi base della computazione (quantistica) universale. In questo tipo di universo, l’informazione, una volta creata, tende a diffondersi irresistibilmente: come un’epidemia condivisa istantaneamente che si fa spazio, energia, gravitazione e poi materia. Così la fisica si fa chimica e quindi vita. La vita, programmata dall’evoluzione, dà luogo prima o poi a un Shakespeare; programmato dall’intelligenza, dall’esperienza e dalla passione, Shakespeare inizia a scrivere l’Amleto: “Who’s there? …”