venerdì 15 febbraio 2008

Natura matrigna e un po’ depressa



"Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna: parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi".

Leopardi Cantico del gallo silvestre


La convinzione profonda che l’universo (e quindi il mondo, la realtà, il tutto…) è destinato a perire, anche se in tempi, appunto, cosmici è radicata nella teodicea largamente (e stranamente?) condivisa oggi da laici e religiosi, da clericali e anticlericali. La profezia di distruzione è contenuta nel mito di creazione. Scaricatasi la molla del fiat lux primigenio, regnerà il disordine, l’entropia, la morte termica.

L’idea che l’universo è emerso da un punto singolare (da una singolarità – irripetibile?) situato in qualche modo prima dello spazio tempo e contenente un’infinita densità di materia, e che esso si è espanso da allora, ma è destinato a spegnersi, è rimasta la pietra di fondazione della cosmologia contemporanea. La base concettuale di questa credenza riposa sulla teoria generale della relatività di Einstein del 1916, le cui equazioni suppongono che la distribuzione della materia nel cosmo sia omogenea, in qualsiasi direzione si voglia guardare. L’omogeneità della materia è propedeutica alla cosmologia del big bang (piccola nota filologica: il termine ‘big bang’ era in origine un motto derisorio, coniato dall’insigne astrofisico Fred Hoyle, che non credeva alla teoria dell’esplosione iniziale, da lui bollata a fuoco come ‘un’idea da preti’). In seguito è stata osservata la recessione delle galassie, interpretata come fuga da un punto di origine, ed è stata scoperta (negli anni 60) una sfera isotropica (uniforme) di radio-onde, accreditata come radiazione fossile dell’esplosione iniziale, e ciò ha rafforzato la fede nella teoria. Da allora essa regna sovrana.

Tuttavia, negli ultimi anni la sacralità dei suoi presupposti è stata messa in questione. Un gruppo di ricerca dell’Università di Roma La Sapienza, diretto dal prof. Luciano Pietronero, sostiene che l’universo non è omogeneo. La distribuzione della struttura cosmica non è la stessa ovunque si osservi. La loro convinzione si basa sul fatto che le galassie e i gruppi di galassie sono avviluppate, ed embricate in complesse strutture. Il viluppo persiste anche alle scale più grandi che si possano osservare (come i super-cluster di galassie). Si è aperto così un vigoroso dibattito tra chi sostiene che su una scala più ampia di quella che per ora è possibile studiare l’omogeneità dell’universo apparirà evidente anche ai più impenitenti increduli, e chi ribatte che il cosmo è per ogni dove grumoso, zeppo di barriere, nodi, e linee d’unione che lo intersecano e incatenano. Il gruppo di Roma rivendica che l’universo di fatto è un frattale. Un buon esempio di frattale è il cavolfiore: se lo tagli in parti via via più piccole ritroverai sempre la stessa struttura. Come in alto così in basso. E così gli alberi, gli estuari dei fiumi, o la linea di una costa marina. Una struttura che si ripete all’infinito. Attraverso la matematica dei frattali e del caos (B. Mandelbrot) si possono comprendere sistemi complessi che si auto-organizzano, e creano strutture auto-simili a scale differenti.

A. Rej ha proposto nel 1999 la visione di un cosmo multifrattale, dotato cioè di filamenti di spessore e forza diversi. I filamenti di un certo tipo formano un mono-frattale; tutti i diversi frattali compongono il multi-frattale. L’universo multi-frattale appare simile a quanto osserviamo nei vortici turbinanti di acqua, fuoco o nuvole, che si attorcigliano, si fondono, si allontanano; che esplodono in filamenti, lacci, annodamenti. Si crede che queste turbolenze caotiche siano comprensibili solo con metodi statistici; nella nostra nozione di spazio e tempo e nell’approccio che abbiamo verso la natura, si impone, tra gli altri, il concetto della causalità locale. Tuttavia alla fine risulta che nel cuore della turbolenza riposa un motivo che rimane uguale a tutte le scale, per distanti che siano. Come nelle bambole russe, le repliche si susseguono identiche le une dentro le altre, sempre più piccole. Ma la cosa è più interessante: se rompi queste bambole, troverai identiche sembianze nei pezzi sparsi. Non ti puoi liberare dell’intero tramite la sua suddivisione. Ciò è diametralmente contrario alla credenza scientifica che la natura può essere spezzata nei suoi costituenti fondamentali, e che dalla conoscenza delle interazioni locali si può risalire alla totalità. Invece, fin dove possiamo gettare uno sguardo, l’universo si riflette nelle più piccole strutture. E questo suo riflettersi non riempie lo spazio, al contrario: buchi e vuoti dovunque perforano le strutture.


E una nuova prospettiva assume anche la questione determinismo versus caos. Supponiamo che le bambole russe siano fatte di un materiale trasparente e che sul corpo di ogni bambola sia stato tracciato un motivo floreale. Dopo averle assemblate una dentro l’altra, ruotandole a un angolo fisso una rispetto all’altra, guardando all’insieme dall’esterno si noterà un disegno molto complesso e indistinto; per quanto ognuna riporti un segno razionale e ben organizzato la vista complessiva risulterà equivalente a un caos. Il flusso delle turbolenze è molto simile. Ad ogni scala esiste un certo motivo di flusso, ma quando i diversi moti vengono osservati insieme il flusso appare straordinariamente caotico e indecifrabile. Potremmo dire che il caos indeterminato apparente sulla scala locale riposa su un perfetto ordine sulla scala globale.

Le caratteristiche più importanti delle strutture cosmiche sono i filamenti, i cappi, i nodi. Queste strutture filamentarie vengono osservate a tutti i livelli, dalle nebulose ai super-cluster di cluster di galassie e anche oltre. La presenza di nodi e filamenti rende una regione più disomogenea. Queste strutture non omogenee si evolvono su uno sfondo più uniforme. I filamenti si incurvano, si tendono, si aggrovigliano; si formano nodi, si rompono nodi e corde. L’annodarsi e lo snodarsi dei filamenti, la stretta e lo sciogliersi dei nodi generano forze di attrazione e repulsione. Allo sgarbugliarsi dei nodi avvengono violente eiezioni che rendono la regione locale un sistema in espansione. Nel caso opposto, quando i nodi si formano e si stringono, il disordine circostante viene ricondotto all’ordine e attratto verso le strutture disorganiche con lo sfondo. Così la dinamica dell’universo cambia ripetutamente da una fase di accumulazione e crescita , a una di rottura e dispersione. La tensione nei filamenti avvolti a spirale genera forze attrattive. Quanto più il processo ordinativo va avanti, quanta più tensione si sviluppa nel sistema. Giunto al punto critico il sistema si frattura, e una forza repulsiva proietta le sue strutture nei dintorni. Una volta che la dispersione prende spazio e il disordine cresce, il sistema reagisce costruendo strutture annodate. I nodi arrestano il disordine e rimettono in gioco ancora una volta la forza di attrazione. In questo modo l’universo eternamente pulsa dalla crescita alla decadenza e viceversa, su tutti i livelli, le regioni e le scale del suo essere.

La fluttuazione tra crescita e caduta è una condizione a priori per l’esistenza dell’universo. Tramite il meccanismo di contrazione ed espansione, informazioni arrivano dalla struttura globale a quelle locali, e similmente un feedback parte dalla regione locale e perviene al livello globale. Questa relazione simbiotica è necessaria per il meccanismo della sopravvivenza. Solo in questa guisa mondi in perenne mutamento possono vivere immersi nell’universo senza tempo.

In contraddizione con l’ipotesi del big bang, la teoria di Rej pone il tempo in una prospettiva di eternità, mentre l’universo rinasce perennemente dalle sue ceneri, autoregolando la sua dinamica di flussi, contrazioni, relazioni, reazioni. L’universo non fu, mai; e mai sarà. Esso è eternamente qui, sempre lo stesso: le potenze generatrici «non avvennero mai, ma sono sempre: l'intelli­genza le vede tutte assieme in un istante, la pa­rola le percorre e le espone in successione» (Sallustio Sugli dèi e il mondo, IV, 8).



Rif.:

Anup Rey – Timelessness in time