martedì 19 febbraio 2008

Da un vecchio contributo prima illegibile di GIOVANNNI LA Fiura
La nostra civiltà, dicevamo, ama i giochi apparentemente fini a se stessi.Nelle pieghe del bilancio di un’università ben disposta si sono trovati i fondi per un esperimento sulla produzione letteraria di vere scimmie. Sei macachi crestati sono stati forniti di una tastiera e osservati, anche via web naturalmente, per un mese. Uno dei ricercatori ha giustificato la spesa giudicandola inferiore a quella di un reality, ma con risultati ben più stimolanti e affascinanti. Nel periodo di osservazione le scimmie hanno prodotto solo cinque pagine di testo, consistente quasi per intero della lettera s; il compenso il maschio dominante ha percosso la tastiera con una pietra emettendo feroci urla, e tutti i macachi hanno fatto a turno i loro bisogni sulla malcapitata periferica.Sappiamo bene però che le scimmie (meritevoli di ben altri studi e attenzioni) sono solo un prestesto per parlare del posto che il caso e l’ordine hanno nel nostro mondo, e per chiedersi se l’ordine può discendere dal caso, e in quale senso, eventualmente.Le origini scientifico- filosofiche della nostra controversa storia di scimmie scrittrici risalgono a Ludwig Boltzmann, un grande fisico della seconda metà dell’800, che ha proposto una spiegazione per l’ordine e la diversità che notiamo ammirati nell’universo. Supponiamo che l’informazione che definisce l’universo, e quindi la struttura dell’universo stesso risulti da un processo completamente casuale, come un tiro di dadi, o la classica moneta, testa o croce. Oggi potremmo dire che , se identifichiamo la testa con 1 e la croce con 0, tirare la moneta ripetutamente alla fine produrrà ogni desiderata stringa di bit, inclusa una stringa di bit che descrive l’universo nella sua interezza. Fu il matematico Emile Borel a ideare nel 1913 la vera e propria metafora delle scimmie dattilografe. Che poi si sono fatta strada irresistibilmente nella cultura alta come nella fantascienza, da Isaac Asimov, a Douglas Adams. L’espressione artistica più magistrale di quello che è diventato un mito della pop culture si deve a Jorge Luis Borges che nel 1939 scrive il saggio La biblioteca totale in cui vagheggia da par suo che una mezza dozzina di scimmie, provviste di macchine da scrivere, possano produrre, in poche eternità, tutta la biblioteca del British museum (strettamente parlando, chiosa, una sola scimmia immortale è sufficiente), per poi spingersi oltre ogni colonna d’Ercole dell’immaginazione:
Qualsiasi cosa potrà trovarsi nei suoi ciechi volumi. La dettagliata storia del futuro. Gli Egiziani di Eschilo. L’esatto numero di volte in cui il volo di un falcone si è riflesso nelle acque del Gange. La segreta e vera natura di Roma, l’enciclopedia che Novalis avrebbe voluto redarre, i miei sogni e le mie dormiveglie all’alba del 14 agosto 1934, la prova del teorema di Fermat, i capitoli non scritti dell’Edwin Drood di Dickens, gli stessi capitoli tradotti nel linguaggio dei Garamantes, i paradossi che Berkeley ideò a proposito del tempo, ma che non pubblicò, il libro d’acciaio di Urizen, le premature epifanie di Stephen Dedalus, che potrebbero essere incomprensibili prima che passino mille anni. Il vangelo gnostico di Basilide, le canzoni che intonano le sirene. Il completo catalogo della Biblioteca, la prova della non accuratezza del catalogo stesso. Qualsiasi cosa: ma per ogni riga dotata di senso o per ogni fatto accurato ci saranno milioni di cacofonie insignificanti, di tiritere e balbettamenti. Qualsiasi cosa: ma tutte le generazioni dell’umanità potrebbero trascorrere prima che i suoi scaffali – scaffali che obliterano il giorno, scaffali abitati dal caos – la ricompensino con una pagina tollerabile.Ben presto, in questa biblioteca di babele, la segnatura dell’opera, il suo codice di catalogo, diventerebbe più lungo dell’opera stessa….
Il primo argomento esplicito contro la crezione di lunghi testi tramite processi completamente casuali è molto più antico dei nostri autori, risale infatti a Cicerone. Nel suo De Natura Deorum, il personaggio Balbo lo stoico così si oppone agli atomisti, come Democrito, che avevano fatto risalire l’ordine della natura alla collisione accidentale tra gli atomi:
"Non posso che meravigliarmi che ci sia qualcuno che davvero si persuade che atomi fatti di materia che si muovono per forza di gravità possono costruire questo mondo meraviglioso ed elaborato a forza di collisioni fortuite. Se credono questo, perché non credere anche che se innumerevoli copie delle lettere dell’alfabeto vengono mescolate e poi gettate come si fa con i dadi, esse comporranno l’intero testo degli Annali di Ennio. Io dubito che la fortuna ne faccia venir fuori anche un solo verso!".
In effetti, come abbiamo visto la volta scorsa, la possibilità che un cosmo ordinato possa emergere da qualcosa come il tiro di una moneta è così bassa da essere effettivamente zero. Secondo Seth Lloyd la combinazione di probabilità infinitamente basse con lo spazio e il tempo finito del nostro universo visibile rendono non credibile la generazione casuale dell’ordine. Se l’universo fosse infinito in età o estensione, allora, si potrebbe arguire, da qualche parte o qualche volta, ogni possibile schema, testo o stringa di bit sarà stato generato. Ma anche in un universo infinito l’argomento di Boltzmann fallisce. Se l’ordine viene generato a caso ogni volta che si manifesta nuova informazione sarebbe astronomicamente alta la probabilità di imbatterci in disordine e insensatezza. Ma non è così: i nuovi bit rilevati dall’osservazione al contrario hanno molto raramente una natura del tutto casuale. Basta andare alla finestra o addentare una mela. O guardare il cielo: in astronomia vengono alla luce continuamente nuove galassie e nuove strutture cosmiche. Se l’argomento della completa casualità avesse valore dovremmo vedere quasi solo arrangiamenti sconclusionati della materia, una specie di poltiglia cosmica, invece degli oggetti sia pur misteriosi ma ordinati che cataloghiamo. Nell’universo in cui tutto sorge a caso, il nostro prossimo respiro è anche l’ultimo, poiché gli atomi che costituivano il nostro corpo si sono già riconfigurati.E’ molto interessante seguire Lloyd nel seguito del suo ragionamento: assodato che Boltzmann aveva torto, questo non significa che Cicerone avesse ragione. Non abbiamo bisogno di una intricata costruzione o del disegno intelligente o della divinità per spiegare la presenza dell’ordine e della complessità nell’universo. Se concepiamo l’universo come un computer che ‘impara’ a programmarsi (computa se stesso) e a poco a poco costruisce le sue leggi e le sue forme per tentativi ed errori abbiamo risolto il problema dell’ordine e della complessità partendo da basi in apparenza molto semplici: gli atomi e le particelle elementari, gli elementi base della computazione (quantistica) universale. In questo tipo di universo, l’informazione, una volta creata, tende a diffondersi irresistibilmente: come un’epidemia condivisa istantaneamente che si fa spazio, energia, gravitazione e poi materia. Così la fisica si fa chimica e quindi vita. La vita, programmata dall’evoluzione, dà luogo prima o poi a un Shakespeare; programmato dall’intelligenza, dall’esperienza e dalla passione, Shakespeare inizia a scrivere l’Amleto: "Who’s there? …"
Pubblicato da Giovanni La Fiura
venerdì 5 ottobre 2007

Il teorema delle scimmie infinite
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f1/Monkey-typing.jpghttp://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f1/Monkey-typing.jpg
Approfitto dell’ospitalità incautamente accordatami (finalmente posso sistemare i miei appunti da qualche parte) per discettare su un argomento su cui rimuginavo dai tempi di Arquata, ma anche prima, perché è venuto fuori per la prima volta mi pare quando abbiamo letto il libro di Orlando Franceschelli sull’evoluzione. Si tratta delle famose scimmie che battono a casaccio su una tastiera e ne traggono i capolavori della letteratura, prima o poi. Metafora del caso creatore e ordinatore. Sarò prolisso e noioso. Prevedo varie puntate.
Enunciazione del teorema delle scimmie infinite
Una scimmia che batta a caso sulla tastiera di una macchina da scrivere per un tempo virtualmente infinito (quasi) sicuramente produrrà un particolare testo scelto, ad esempio un’opera di Shakespeare, l’Amleto. In tale contesto ‘quasi sicuramente’ è un termine matematico con un preciso significato (probabilità appunto matematica) e ‘scimmia’ è una metafora per una macchina teorica che produce una sequenza casuale di lettere ad infinitum.
Discussione
Ignorando punteggiatura, spaziatura e maiuscole, una scimmia che batta a caso ha una probabilità su 26 (numero dei tasti dell’ipotetica macchina da scrivere) di scrivere la prima lettera dell’Amleto e una su 676 di scrivere le prime due (26x26). Poiché la probabilità diminuisce in maniera esponenziale con l’aumentare delle lettere da scrivere, a 20 lettere la chance è 2620, vicina a quella di comprare quattro biglietti della lotteria consecutivamente e vincere ogni volta il primo premio. Nel caso dell’intero testo la probabilità è così incredibilmente piccola che molto a stento può essere concepita in termini umani. Posto che il testo è composto da circa 130.000 lettere, esiste una probabilità su 3.4x10183946 di ottenere l’Amleto al primo tentativo. Il numero medio di battiture che occorre effettuare prima che il testo abbia una possibilità (statistica) di apparire è lo stesso. Per avere un termine di paragone esistono solo 1079 atomi nell’universo conosciuto e 1080 elettroni, mentre sarebbero trascorsi 1021 minuti dal supposto Big Bang (circa 14 miliardi di anni). A cento parole al minuto occorrono 1040.000 minuti per avere una probabilità di ottenere ‘per caso’ la nostra sudata copia dell’Amleto. Anche se avessimo a disposizione un’armata cosmica di scimmie, una per ogni elettrone dell’universo al lavoro dall’inizio dei tempi, la probabilità di riuscire sarebbe ancora solo una su 10183800.
Si, ma le scimmie sono lente, cento parole al minuto, bazzecole: e se le sostituissimo con un computer molto molto potente? Le sfide vanno prese sul serio. Andiamo al bersaglio grosso: prendiamo un computer delle dimensioni dell’universo stesso, con tutta la sua materia e la sua energia al servizio della computazione, e facciamolo più veloce che si può: la sua capacità può essere calcolata in base a leggi abbastanza collaudate.
Prima di ogni cosa, l’energia e la velocità stanno in preciso rapporto. L’ammontare di energia nell’universo visibile può essere definita accuratamente. La maggior parte di essa è imprigionata nella massa degli atomi. Se contiamo gli atomi di tutte le stelle e le galassie, e ci aggiungiamo la materia delle nubi interstellari, troviamo che la densità di materia dell’universo equivale a un atomo di idrogeno per metro cubo.
Esistono poi altre forme di energia: quella della luce per esempio. La velocità di rotazione delle galassie suggerisce l’esistenza di ulteriori e invisibili fonti di energia; si parla inoltre di una ‘quintessenza’ legata all’anomala velocità di espansione dell’universo, e di altre forme ancora più bizzarramente denominate (machos, wimp, winos).
L’ammontare totale dell’energia in queste forme esotiche si calcola, un po'a spanne, come dieci volte superiore a quella standard contenuta nella materia direttamente osservabile. Naturalmente, ogni atomo contribuisce secondo la formula E = mc 2. Da questo conteggio ricaviamo che l’energia dell’intero universo ammonta a 1071 joules. Per ottenere la massima velocità di calcolo che questo computer cosmologico può sviluppare si applica il teorema di Margolus- Levitin: (energia x 4): costante di Planck (h = 6,626068 x 10–34 joule-sec, un numero piccolissimo che regola gli eventi quantistici).
Conclusione provvisoria
Ne risulta che ogni secondo un computer che usa tutta l’energia e la materia dell’universo compie 10105 operazioni. In 14 miliardi di anni, ne ha fatte 10122.
Per scrivere casualmente l’Amleto occorrono 3.4x10183946 operazioni. Se assegniamo al nostro universo una vita di 30 miliardi di anni, il cosmo-computer dovrà funzionare per biliardi di miliardi di miliardi di cicli cosmici, (e speriamo che non vada mai in crash…) prima di poter mostrare se la probabilità matematica assunta inizialmente si è tradotta o meno in realtà. E già: tutto questo ambaradan è senza certezza alcuna di riuscita. Non esiste qualcosa come una probabilità certa.
Se poi questi cicli cosmici sono in qualche modo ricorsivi, se essi presentano elementi di ripetizione e correlazione, se insomma il mito dell’eterno ritorno non è solo un mito, se non si dà una stringa casuale infinita come un fiume eterno mai uguale a se stesso, ma la reiterazione di stringhe finite, alla scimmia verrà negata anche quella probabilità abissale rimasta e potrà solo comporre, tra un eone e l’altro, solo qualche verso, magari sempre gli stessi. L’esperienza accumulata con i generatori di numeri causali indica che questa possibilità (seriazione, prevedibilità) non è remota come sembra.
Morale della favola, se vogliamo fare i seri: l’universo immaginato come una macchina generatrice di eventi casuali è incapace di elaborare in uscita una stringa complessa fornita come chiave della computazione in un tempo finito, anche se molto grande (ciclo cosmico) e può solo rinviare la resa dei conti su un piano (super ciclico, super cosmico) inattingibile dai mezzi di cui la ragion scientifica dispone e dai quadri concettuali che si è data, che non permettono oggi di andare oltre la nascita (e la morte) dell’universo quale singolarità irripetibile e inspiegabile, e quindi di pensare un altro o altri cicli cosmici, e tantomeno le possibili connessioni tra di essi.
Il limite della computazione, già indicato da Roger Penrose sul raffinato versante algoritmico, si dimostrerebbe qui anche nella rozza prospettiva del rimescolamento ‘brute-force’.
Pausa. Questo gioco che sembra (ed è anche) una stupidaggine appartiene alla schiera dei giochi mentali ‘come se’ così tipici ai nostri giorni: comportiamoci come se l’universo fosse una macchina o come se una scimmia fosse l’universo, come se l’eternità fosse calcolabile o un poeta simulabile.
Oggi non si danno più giochi di scena, di sfida, di specchio, giochi duali. Ma giochi estatici e solitari, in cui il piacere non è più estetico e scenico, ma aleatorio, psicotropico, dalla fascinazione pura: giochi di vertigine.
Questo l’ha pensato Roger Caillois.
continua...