martedì 20 settembre 2011

Cosa è dio, cosa è chiesa, cosa è religione, cosa è fede e sentimento, cosa è strategia o bugia


Sono tutte cose tra loro molto diverse, ma spesso accomunate da un destino storico che nel mondo occidentale ha fatto da collante.

In queste righe ho scritto e scriverò ogni “nome sacro” volutamente in minuscolo, per evitare facili ed immediate “mistificazioni” (nel senso mistico del termine) sui temi che saranno toccati dal mio discorso. Sono anche perfettamente cosciente che il tema è così vasto e profondo che non è mai possibile esaurirlo in poche pagine né con un trattato. Non pretendo nemmeno che il mio discorso sia privo di lacune e di contraddizioni. Del resto, non mi interessa ricadere strettamente nel campo delle dimostrazioni scientifiche. Come dicevo ad Augusto, ho solo voglia di un scambio umano, non di un confronto para-professionale.

Punto di partenza
Questo mio scritto prende il via da un breve scambio di battute, non prive di qualche punta di sana provocazione, tra me ed Augusto Cavadi (http://www.facebook.com/event.php?eid=201774369888554). Base di partenza, il nuovo libro di Rindone: chi è gesù di nazareth, idee nuove dopo il concilio. Augusto ha preso spunto dal nuovo libro di Rindone che tratta di una esperienza teologica “fondamentale” ovvero post-concilio vaticano II, e che nell'ultimo cinquantennio si è contrapposta ad un'altra ben più diffusa e radicata- cioè teologia cosidetta “apologetica”.
Poichè Augusto non aveva il tempo di spiegare anche brevemente i significati terminologici delle due etichette di cui sopra, mi ha costretto ad una rapidissima ricerca internet, non essendo io un addetto ai lavori. Tra le cose trovate, e senza nessuna pretesa esaustiva, segnalo allora quelle che possono essere per me significative per comprendere (in modo sia pure ampio e non esaustivo, non cioè da addetti ai lavori) i termini della recente diatriba storica nata in seno alla fede cristiano-cattolica.

http://apologetica.altervista.org/

http://digilander.libero.it/longi48/Teologia%20Fondamentale.htm

Gli opposti non si congiungono nemmeno all'infinito
Si tratta di due esempi di opposte tendenze: vi sono alcuni siti che si ancorano in modo evidentemente bellicoso ad una tradizione conservatrice, se così la possiamo definire; mentre altri aprono le braccia al mondo intero, con un gesto pacifico ed onnicomprensivo e tuttavia razionale, ponendosi però (in modo figurato) a guardare il mondo da dietro le spalle di un cristo pantocratore, icona peraltro molto antica. Così antica, al punto che “L'eminente filosofo Alfred North Whitehead ha avanzato l'idea che la visione scientifica del mondo, ora così profondamente impressa nella coscienza occidentale, abbia le sue radici nella teologia dei Cristiani del V secolo. Il Cristo nel V secolo era infatti considerato il principio organizzatore del cosmo, generato e non creato da Dio Padre, la chiave di comprensione della realtà e la risposta al mistero dell'esistenza. Il desiderio umano di ordine aveva trovato il suo esaudirsi in Gesù, il Logos incarnato, la ragione e la struttura del cosmo. Le implicazioni intellettuali e spirituali di questo significato di Cristo Cosmico sono avvertite ancora oggi. ” (fonte wiki)

Ciò potrebbe (forse) spiegare perchè un numero esiguo di cristiani, i più coraggiosi, oggi si sentono in grado di valicare ogni confine dettato dalla propria identità religiosa tradizionale, permanendo nella certezza intima che non è materialmente possibile uscire dal “corpo di cristo”. Secondo la mia personale interpretazione, i cristiano-cattolici idealmente aderenti alle scuole post-conciliari continuano a vedere nel cristo l'unica “figura” divina in grado di abbracciare il mondo intero, anche se la gran parte altre “religioni”, compresa la propria, non condividono questa stessa visione. In questo contesto, si cita spesso il buon senso e la ragione (in senso filosofico) come premessa essenziale per il dialogo. Per me potrebbe anche essere una interpretazione alternativa correttissima sulla figura di cristo, ma ritengo che non abbia prodotto svolte storiche significative.

Dal canto mio, mi chiedo che senso concreto abbia, per un cattolico, per un cristiano, aprirsi al mondo delle altre religioni ed abbracciare, per dirne una, un buddista o un induista, quando a costoro non è detto  che gliene importi qualcosa di fare il reciproco (per non parlare dei conflitti storici sempre vivissimi tra monoteisti cristiani, giudei e mussulmani). Allora, il “dialogo” interreligioso potrebbe essere solo balla, una una camera di decompressione, un cuscinetto anti-attrito, uno spazio che in realtà solo pochissimi nel mondo si sentono di occupare. Almeno dal momento che, se un fedele afferma un concetto di fede per lui basilare, e l'altro lo nega decisamente e fermamente come non vero o non esistente (es.: contrasto monoteismo/politeismo), questo dialogo o scambio non porta a nulla. Io penso che non vi può essere “complementarità” tra il bianco e il nero, poiché due (o più) “grandi estremi” normalmente si negano e si annullano a vicenda, schiacciando ciò che sta in mezzo. In una sola frase: è molto più facile che questo atteggiamento di apertura sia proprio di taluni intellettuali piuttosto che dei fedeli o dei loro sacerdoti. la storia della cruna dell'ago. Del resto, sapevamo già che fede e sentimento, ragione e ricerca, religione e sistema di credenze sono elementi che non stanno sullo stesso piano, e possono provocare uno “sdoppiamento” all'interno delle coscienze individuali.

Intendo sostenere che, nel contesto dell'affinità cristiana, oggi sarebbero pochissimi gli individui concordi allo stile di vita e di pensiero praticato da Augusto (lo dico sinceramente e posso attestarlo perché lo conosco). Non certo dei fedeli “stricto sensu” ma in gran parte “outsider”: gente che ha davvero la voglia ed il coraggio di ascoltare una differente parola di fede, di leggere e meditare i testi di molte altre religioni, nella coscienza che quanto viene portato dal mondo cristiano non è verità esclusiva né esaustiva. Quanti sono? Spariamo una cifra azzardata? Molto, ma molto meno dell'uno per mille della “popolazione cristiana”. Insomma: ad uno che non è cristiano, quanti cristiani gli rimangono davvero da abbracciare? 

Il problema della ispirazione originaria
Potremmo chiederci da dove proviene tutta questa incomprensione. Partiamo da lontano: quando i paganissimi greci o i paganissimi romani (ancora pre-cristiani, ma comunque gli ultimi arrivati dopo millenni di culture religiose native) conquistavano nuovi territori e nuove civiltà (nuove per loro), se non altro portavano le effigi delle nuove divinità presso la capitale, e vi dedicavano uno spazio nel loro panteon fisico e percettivo. In realtà è successo ben più di questo: ma basta e rende bene, come esempio immediatamente comprensibile. 

Gli ebrei vanno via dall'Egitto in cerca di una indipendenza sociale ma, lungo la via, incontrano un nuovo dio che si manifesta solo a mosè e successivamente viene da lui imposto al popolo in modo esclusivo. Una ulteriore forma di potere religioso. Questo dio non aveva mai detto di essere l'unico esistente, ha detto invece chiaramente di essere un dio geloso e, se era così, implicitamente non negava che vi fossero altri dei. Inevitabilmente, la gelosia del dio monocratico era destinata a diffondersi dal suo popolo prediletto nei confronti degli altri popoli o delle altre tribù, una gelosia continuamente aizzata da stimoli divini caratterizzati da una impronta distruttrice e sovente genocida. Questa nota di fondo è passata pari pari dalla tradizione giudaca a quella cristiana, non tanto nelle idee apertamente professate, ma nella sostanza dei fatti. Poichè, dopo il primo conflitto iniziale tra mondo ebraico e mondo romano si è inserito un terzo soggetto, il potere di ispirazione cristiana. Questo ha assunto il controllo politico e religioso dell'impero romano, e ha di fatto inasprito una belligeranza "teologica" che aveva origini lontanissime e non del tutto chiare nella loro essenza profonda.

Ecco però che siamo di fronte ad atteggiamenti religiosi molto diversi in seno alle varie civiltà storicamente affermatesi tra cui sappiamo, alla fine, aver prevalso quello di ispirazione cristiana, nel seno dell'ultima gestazione di cui al sacro romano impero.


Socialità e religione oggi: osservazioni minime sulla convivenza
Oggi, dopo molti secoli, qualcuno di voi è attualmente in grado di concepire che in un tempio cristiano vi sia la raffigurazione di shiva, e in uno induista quello di cristo, ed in uno zoroastriano quello di krishna ? È stata fatta una separazione tale che nemmeno i pagani brutti e cattivi avevano intenzione di fare. D'altra parte, riuscite ad immaginare come ai nativi europei, americani ed africani, possano mai essere restituiti i templi ed i simulacri millenari delle loro divinità della terra e della natura, una volta che sono stati estirpati e distrutti, e sostituiti con la forza dalle chiese, dalle croci e dalle statue dei santi e delle madonne? Siamo tutti informati del fatto che, negli USA, la "chiesa di satana" è una religione riconosciuta e legale, in quanto non ha mai commesso qualcosa di illegale? Ciò è reso possibile solo dal fatto che il vaticano non ha un peso decisionale talmente significativo sulla politica interna di quel paese. Perdonate l'asperità estrema: ma voi, riuscite ad immaginare che -anche in Italia- coloro che si ispirano al satanismo spirituale o al luciferismo riescano ad ottenere lo status di confessione religiosa, che possano svolgere liberamente i loro riti senza doversi nascondere, e che vengano abbracciati dai cristiani? Io no. 
Sono malvagi? E non è forse questo il pregiudizio religioso che impedisce la vera apertura?
Secondo voi, quanto accaduto è definibile come evoluzione o involuzione?

Intanto, constatiamo insieme di essere ancora molto lontani dalla civile tolleranza (perchè quella religiosa è un tantino più difficile), e abbiamo solo immaginato delle fantascientifiche ipotesi: le sole però che potrebbero esprimere una realizzazione concreta e credibile di ciò che Augusto, Rindone e pochissimi altri hanno in parte sognato sinceramente ed, alla fine, isolatamente.

Viviamo in un'epoca ed in un Paese dove alla religione cattolica (dopo decenni di sberleffo allo Stato laico definito dalla Costituzione repubblicana) solo da pochi anni è stato tolto legalmente il privilegio esclusivo di “religione di stato”. Anzi, un sistema di privilegi che, al di la delle formalità legali, riesce ancora tranquillamente a fare imporre nelle aule pubbliche i simboli legati alla propria particolare religione, o a mobilitare le istituzioni e le strutture per la difesa dei propri particolari valori, anche se questi valori vanno ad interferire o a ledere quelli altrui. Se questo è “legame alle tradizioni”, noi tutti possiamo ben comprendere di quali tradizioni si tratta.

Siamo in un paese dove oggi rifioriscono alla grande i movimenti persecutori di tipo “anticult”, quei gruppi nostalgici che, con la scusa degli allarmismi provocati ad arte sul demonio e sulla “setta”, vorrebbero far piazza pulita i tutti i movimenti legalmente non difendibili. Si tratta in pratica di quei movimenti che non hanno ottenuto o non desiderano lo status di “confessione religiosa”: la “grande idea” attuale, già praticata da quel fascismo che regalò alla chiesa i patti lateranensi, è quella di voler reintrodurre in Italia il reato di plagio, dichiarato incostituzionale non molti anni fa. 
Altro che abbraccio, qui siamo lontani dai limiti decenti che un moderno paese europeo dovrebbe far valere in materia di tolleranza religiosa.

Il problema dell'intenzione del vertice
...non è da poco. Non posso fare a meno di constatare che la realtà intenzionale del vertice ecclesiastico (e cioè quello che conta davvero) si muove in direzioni ben diverse da quelle sognate ed ispirate da Augusto. Per avere una conferma, leggasi per credere quanto riportato qui: sembra che voci assai più autorevoli di quella di Cavadi indichino (a meno che non siano un falso riportato da quel sito) che d'ora in poi l'apologetica dovrà tornare ad essere assai più importante della teologia fondamentale (sarà forse perchè quest'ultima non ha funzionato abbastanza?). 

Secondo le prospettive storiche prima accennate, interessanti per alcuni ma decisamente respinte da altri, per moltissime altre religioni non cristiane (o sistemi di credenze, o linee di pensiero spirituali) il "problema" dell'accettazione e comprensione dell' ”altrui” esiste molto meno, mancando da una parte la certezza del monoteismo, dall'altra il secolare senso di colpa, derivato dalle tristissime e aberranti vicende delle persecuzioni religiose che presero il via dalle interpretazioni “dominanti” circa la figura di cristo e dalla conseguente necessità di dover evangelizzare il mondo intero. Continuo a credere che prima del III sec. d.c., anche in differenti contesti geografici, non era forse mai esistita la tendenza a sopraffare una cultura diversa sul piano religioso, imponendo le credenze da parte dei conquistatori sui vinti, e vedo derivare questa esigenza pressante dall'idea stessa di monoteismo storicamente affermatasi. E per le stesse ragioni, oggi comincio a credere, anche sulla base di altre evidenze, che l'ispirazione antisemita dei nazisti non poteva basarsi su solo su "fonti" pagane e sugli interessi imperialistici del reich. Ma finchè in vita, fu un felice connubio ovviamente mai dichiarato né dichiarabile, tra le intenzioni di tutti i nemici storici e giurati dei giudei.

Perdonate il gioco di parole e le bestemmie storiche, ma secondo me e non solo secondo me, è per questo che molte foto di archivio ritraggono gerarchi fascisti e nazisti insieme sul palco in atteggiamento sorridente con i prelati vaticani, cosa che non avrebbe mai potuto essere concessa ai rabbini, nemmeno per eventuali motivi opportunistici di questi ultimi. In altri termini, se il nazismo avesse vinto, le sinagoghe e le moschee sarebbero scomparse, le chiese no. Ma i templi pagani non sarebbero risuscitati, non essendo utili ai fini dell'esercizio del potere. Per la medesima alleanza tacita, i difensori di cristo dell'Opus Dei furono accanto ai franchisti spagnoli durante e dopo la loro presa del potere, così come papa Wojtyla si fece in più occasioni ritrarre, sorridente, accanto al feroce dittatore cileno Pinochet. Erano modi di dimostrare da che parte si stava, negli schieramenti possibili che la storia offriva. E la gran parte dei fedeli cattolici è sempre rimasta dov'era, a tutto ciò indifferente o distratta, anche se tutto questo non aveva molto a che vedere con il cristo ideale. Quando allora il fedele difende la sua identità, sta in effetti difendendo la "sua" chiesa, non cristo, che non potrebbe essere rappresentato da questa religione né dai suoi vertici.

Pertanto, ciò che può secondo me essere setacciato dai concili vaticani secondi (se si tiene conto della prospettiva di un vertice che non ha mai mutato il proprio atteggiamento di gelosia, se non per motivi di opportunità o di vera strategia) è comunque (o nel migliore dei casi) un atteggiamento di tipo pantocratore, cosciente o meno. "Io sono la via, la verità, la vita" (l'unica possibile, secondo chi diffonde queste idee).
O, viceversa potrebbe essere una teologia che, per quanto spontaneamente nata in seno alla bontà, venga solo assecondata da ulteriori bugie ed opportunismo, cioè da interpretazioni ora favorite ora osteggiate dai vertici ecclesiastici per lanciare (o ritirare) aperture mentali, nuove o vecchie teorie su ciò che cristo è o non è stato. Ma tutto in funzione di come tira il vento della ispirazione umana e della politica, e di cosa conviene tentare, o meno, per influenzare il pensiero umano in funzione dei propri obiettivi evangelizzatori, gli unici che contano al di là della possibile sofferenza dei popoli.

Allora, io non dico che Augusto abbia torto o che sia portatore di negatività, anzi. Penso solo che il suo sentire ed elaborare, in questo panorama, non ottiene riscontri interessanti. Se è così, chi continua in buona fede a fare riferimento principale o esclusivo alla figura di cristo, dovrebbe a mio parere rendersi conto meglio di dove abita, storicamente e spiritualmente parlando. Non dovrebbe farne a meno, se usa la coscienza, poiché “la coscienza” e “l'esame di coscienza individuale” non sono la stessa cosa. 
Perdonate anche se la mia lettura storica può restare anche molto diversa dalla vostra.

Il problema della limitazione delle fonti
Se poi aprissimo un altro immenso capitolo di questa enciclopedia, relativa al perché, nelle sue “esegesi” (come le chiamano) il cristiano-cattolico debba limitarsi sempre e soltanto a leggere i testi canonizzati da quel vertice ecclesiastico, così tanto amato ed odiato al contempo, qui non ci capiremmo più nulla. Difficilmente riesco a comprendere il perchè il cattolico preferisca restare all'interno del recinto dei testi canonici, piuttosto che uscirne “anche” verso altre fonti che parlano di gesù. Io non riesco a capire come faranno le donne e gli uomini di tutta la terra (e che siano -come dice Augusto- alla ricerca di una vita ‘spirituale' senza gelosia, né invidia né condanna) a spostare la propria mente da un assolutismo pervasivo, se non gli è dato di leggere, interpretare e credere “anche” in ciò che sta scritto nel vangelo di giuda, nei testi di Qumram, in altri vangeli “apocrifi”, eccetera. I quali invece continueranno ad essere ignorati dalla gran parte dei fedeli e delle loro guide spirituali, essendo considerati come testi non veritieri o attendibili, dal momento che rischiano di mettere in crisi una serie di assunti da sempre dati per verità e di offrire prospettive ancora più diversificate sulla figura di cristo.

Le possibili prospettive di interpretazione biblica, la cui gran parte è permeata dal giudaismo, risulteranno allora inevitabilmente confinate e pre-colorate da un timbro canonizzato, voluto da coloro che hanno fatto e fanno tutto ciò di cui sopra. Per quanto riguarda cristo, in particolare, ne deriva un'immagine marchiata dal timbro di quel saul di tarso, il san paolo tredicesimo apostolo che non conobbe mai gesù, ma che riuscì a costruire ed affermare quell'immagine del nazareno così tanto affascinante come (forse) altrettanto lontana dalla realtà. Insomma, l'ispiratore assoluto e protagonista principale della romanizzazione del cristianesimo, un processo grazie al quale gli sparuti gruppi che prima dovevano nascondersi nei sotterranei per scampare alle persecuzioni, divennero poi potenti e temibili persecutori.

Anche in queste controversie storiche, adesso “liberalizzate”, il fedele cattolico potrebbe mettere il naso (ma non lo fa), forse per timore di doversi rendere conto che ciò che gli è stato spesso venduto come incontrovertibile verità storica, non possiede invece (pardon, potrebbe non possedere) sufficienti presupposti fermi che possano essere accertati e riscontrati.
 Opinioni? Beh, certo, come quelle del prete, del vescovo, del fedele cristiano, oppure del buddista, dello sciamano o del mussulmano: anche il non-credente nel cristianesimo (o nelle verità delle religioni) dovrebbe essere da quest'ultimi abbracciato. Sarà così? E con quale esito?

Il senso di questo scritto
Concludendo, io non ho e non avrò il tempo e la voglia di acquistare il libro di Rindone (in quanto anche io ho tempi e denari limitati, e faccio come tutti delle selezioni in base alle mie priorità), ma devo dire che le sensazioni che avevo prima di leggere lo scritto di Augusto permangono le medesime, e cioè:
  1. Che le cose presentate da Rindone, almeno per ciò che comprendo dalla breve presentazione di Augusto, ed al di là dell'ambito strettamente intellettuale, non siano del tutto nuove né totalmente originali, essendo state se non altro pensate già da molti altri individui (lasciamo stare se erano o meno filosofi, semplici fedeli o addetti ai lavori); poiché dopo 1700 e passa anni di storia, su una figura così controversa come gesù è stato detto e pensato tutto ed il contrario di tutto. 
  2. Certo, in seno al cattolicesimo la prospettiva della teologia fondamentale è (o poteva essere) una rivoluzione culturale di vastissima portata, almeno nella “mente” di quei cristiano-cattolici che si sentono di condividerla. 
  3. Che le tendenze attuali vive ed operanti nel nostro paese, ma anche in gran parte del mondo, portano verso una separazione tra le religioni o le filosofie spirituali piuttosto che verso un reciproco riconoscimento; e questo credo proprio grazie all'atteggiamento della maggior parte dei cristiani. Credo che, alla fine, questo sia il dato che ha più peso.
Per quanto detto, mi piacerebbe allora che i tolleranti che si ispirano ad un gesù non universale ma universalista, fossero più decisi e concentrati a fare pesare la propria voce all'interno di un mondo che tollerante non è mai stato.
Ma, (e qui il mio dilemma), ciò su cui potrebbe essere interessante scambiare e fare un totoindovino su questa pagina è:

quale percentuale di appartenenti di base al mondo cattolico, o più ampiamente cristiano, si sente di condividere questa prospettiva di "abbraccio universale” METTENDO TOTALMENTE DA PARTE l'altra, (non quella fondamentale) ma quella fondamentalista ed apologetica? Quanti cattolici o cristiani, se si parla di valori di identità, sentono di non essere chiamati a difendere la propria fede ad ogni costo, e sono disposti a credere ed applicare quotidianamente un pensiero davvero aperto al resto dell'universo, il che è molto differente dal dire che “il mio pensiero è l'unico ad essere universale” ?

La mia personale risposta è che sono pochissimi coloro che desiderano aprirsi a possibilità ed ipotesi assai lontane da quelle definite dalle radici in cui sono nati e sono stati battezzati.
Luce ed arcobaleno
Augusto parla di convivialità tra differenti ispirazioni. Differentemente, io ritengo che stare semplicemente a tavola con qualcuno con cui non riesco a comprendermi, non mi porta davvero da qualche parte, almeno spiritualmente parlando. Intendo dire che la tolleranza e lo scambio (non il dialogo) interreligioso sono due atteggiamenti molto ben distinguibili: il primo dovrebbe essere un dovere civile, il secondo è un'opzione che parte dal presupposto che nessuno possiede la verità assoluta, cosa invece negata da quasi tutte le religioni monoteiste.

Per quanto detto fin qui, trovo addirittura pericoloso il concetto Augusteo di globalizzazione spirituale, non comprendendo io se davvero esista o possa esistere una prospettiva di fede o di pensiero talmente condivisibile e che, partendo dal basso, riesca realizzare una serena ed utile convivialità spirituale, per me fatta di scambio. Possono esistere delle idee in proposito, delle limitate esperienze (come le palermitane “domeniche di chi non ha chiesa” di qualche anno fa) o una teologia. Ma ogni teologia è una particolare teorizzazione interpretativa, compresa all'interno di un particolare colore dell'arcobaleno.

Se è vero che l'insieme dei colori fa la luce, è altrettanto vero che la luce del sole è abbagliante: nessuno è in grado di guardarla senza appositi filtri; ma quando poni un filtro sugli occhi hai già fatto una selezione, e corri inevitabilmente il rischio di vantarti di essere l'unico a guardare la luce. Ma non è così.
Se accetti di “usare” vari “filtri” invece, forse imparerai a vedere in quanti infiniti modi la luce può essere osservata, tutti parimenti importanti. Forse diventerai piccolo piccolo, ma avrai abbandonato la pretesa di avere anche una sola certezza sulla natura della luce. Forse questa prospettiva è un po' diversa da quella (necessariamente) solo abbozzata da Augusto nel suo articolo e da lui stesso messa sicuramente in pratica da lunghi anni.
Per me l'accettazione dell'altro significa dire, in tutta sincerità ed interesse: “Io ho visto questo, e tu cosa hai visto? Fammi vedere”. Per capire e sentire in modo diverso, devi mettere da parte il tuo personale ed unico filtro, per sperimentare davvero quello dell'altro. Lo puoi fare in convivialità, ma non è la tavola, e nemmeno i commensali, che sono importanti o che creano quella condizione essenziale che è la ricerca spirituale ampia, approfondita e soprattutto varia e diversificata.

L'importante (per me) è la pluralità di ciò che è stato visto e sentito. Non il monocolore. Perciò, mi interessa molto meno scambiare con le persone che sono troppo affezionate al monocolore. Paradossalmente, oggi mi interessa molto di più scambiare con la pluralità di coloro che sono stati esiliati, zittiti o annullati dal monocolore, con la scusa di rappresentare la stregoneria o forme primitive di religiosità o spiritualità. Infatti, nella gran parte di questi ambiti, io non scorgo nessuna “melma esiziale” e nessuna “vacca nera” cui Augusto accenna, cosa che non posso facilmente fare semplicemente pensando all'inquisizione, agli esiti dell'evangelo missionario, o a ciò che oggi accade nei dintorni della Palestina per motivazioni esegetiche, esecrabili certo, ma interrottamente poste sotto gli occhi di tutti per lo meno dall'epoca delle crociate.

Io non credo che questa pagina possa essere la tavola dove i commensali giungano per difendere la propria ed attuale identità religioso-culturale, le proprie “radici”, per adoperare un termine caro ai cattolici di base.
Sarebbe bello (ma credo utopico) se fosse un test, che contribuisce a mettere in chiaro da che percentuale di cristiano-cattolici (o appartenenti ad altri credo affini) possono essere condivise le prospettive offerte da Augusto, da Rindone, da Panikkar, e dagli altri autori citati nel brano di Augusto stesso, alla relativa pagina del suo blog (http://www.augustocavadi.eu/public/public/?p=2007). 
Non solo quelle prospettive lì, ma anche quelle da me qui suggerite.

Se invece quello che hai letto ti fa arrabbiare e suscita in te una reazione intima e repentina, per favore, rasserenati e sorridi. Tanto, se davvero cristo ha vinto sulla storia, tu hai vinto con lui, di che ti preoccupi?

martedì 30 novembre 2010

I proverbi sul Tempo

"Vedi Francesco.....prima di parlare di "previsione del futuro" bisognerebbe scambiarci una opinione su che cos'è il tempo e quindi che relazione c'è fra passato, presente e futuro ma soprattutto come si relaziona la nostra coscienza con il tempo. Ecco mi piacerebbe scambiarci opinioni su questo. Ciao."
 Armando  


Certo, è un argomento interessantissimo, inesauribile...per definizione.
Non è detto che la possibilità di prevedere il futuro abbia a che fare solo col tempo. Hai detto bene, ha a che fare anche con la coscienza, e probabilmente con tante altre cose ancora.

Il Tempo è un argomento affrontato moltissimo sia dai filosofi, che dagli scienziati, ma anche dagli artisti. Ed ognuno di essi ne coglie e ne studia o descrive particolari aspetti, singolari sfumature. E' anche uno degli argomenti sui quali esistono in assoluto il maggior numero di proverbi. Forse perché si tratta di un campo dove la saggezza umana viene richiamata ad esprimersi, offrendo in apparenza molti dati importanti e sicuri, ma altri talmente incerti da risultare inquietanti.

Noi ci sentiamo di vivere nel tempo e, nonostante dovrebbe essere la culla del nostro Essere attuale, alcuni fisici teorici stanno mettendo in dubbio che esista davvero. O se non altro, che abbia davvero tutte le caratteristiche che comunemente crediamo che possieda. Altri invece dicono che sia una dimensione vera e propria, una geografia (e non una linea) su cui si possa viaggiare, anche come coscienze. Una dimensione fisica ma di per sé immateriale (non necessariamente dotata ovunque di massa), in gran parte sconosciuta e probabilmente abitata da altre coscienze, anche diverse dalla nostra. 
Per la mia esperienza, tutto ciò potrebbe essere contemporaneamente vero. Forse siamo troppo aggrappati alle logiche aristoteliche per potere ammettere che una cosa può essere vera e contemporaneamente non vera, almeno in dimensioni di cui conosciamo solo una piccola parte, come il Tempo. Credo anche che ciò sia irrisolvibile, almeno filosoficamente o razionalmente. Credo invece che l'approccio fisico e quello artistico, da punti di vista diametralmente opposti, possano fare grandi cose insieme. Ben venga la regina di cuori!

Il conoscere attraverso calcoli matematici e misure sperimentali e, dall'altra, "sentire", comunicare, intuire e descrivere in modo irrazionale o illogico, profondo, immediato, artistico, possa dare ragione e spazio alla pluridimensionalità dell'essere umano.

Se dovessi parlare del Tempo in sé, non saprei nemmeno da dove cominciare. 

Prevedere il futuro invece, per quanto giudicato razionalmente impossibile o non scientificamente dimostrato, è un argomento che vedo molto fecondo, perché può avere svariatissimi approcci e contributi. Ci potrebbe aiutare a conoscere meglio noi stessi e le dimensioni che possediamo o in cui viviamo, non esclusa quella onirica. Che non sia "dimostrato", è strano a dirsi. Molte cose della quotidianità attuale sono basate su previsioni, non su certezze. Funzionano, eppure non ci facciamo mentalmente caso. Più che altro, i pregiudizi di molti, vogliono evitare che si possa sconfinare nella "magia". L'articolo segnalato, e le varie altisonanti repliche, lo testimoniano. 
D'altronde è pur vero che se nel 1400 avessero visto funzionare una lampadina o un bulldozer, avrebbero pensato  trattarsi di effetti magici, di prodigi subito appioppati da qualcuno come demoniaci. La storiella del frutto proibito ci descrive bene in quale mondo ci troviamo. Demoniaco può essere l'uso che l'uomo fa delle conoscenze, non la conoscenza in sé. Ed io immagino che, anche attualmente, vi sono tantissime cose che, se sapessimo, potrebbero sconvolgerci la vita e il nostro modo di pensare. Lo sai, sono uno che ogni tanto ama affacciarsi da quella particolare finestra, fregandosene di quello che si dice in giro. Ma mi sono anche convinto che certe cose sarà bene che alcuni non le sappiano mai.

Restando in un ambiente "light" (luminoso ma anche leggero) e condivisibile, più che il tempo, forse ci si potrebbe domandare cos'è il futuro, rendendo meno vasto l'argomento.....

A proposito di scambio, può essere importante anche la condivisione della bibliografia che abbiamo letto su questi argomenti.

mercoledì 17 novembre 2010

Essere o non essere: anche l'impossibile merita studi scientifici...



O no?... Peccato che l'uomo occidentale moderno rifiuta questo percorso e si oppone ad esso, preferendo mantenere i propri pregiudizi su ciò che può "essere" o "non essere".

Per averne conferma, leggi qui e poi, eventualmente, scrivi su questo blog, giusto per ravvivarlo un po' dalla sua pigrizia atavica. 
Un caro saluto a tutti, se c'è ancora qualcuno a riceverlo dall'altra parte....

Alice nel paese delle meraviglie, è il capolavoro con cui Lewis Carroll ha fatto sognare intere generazioni di bambini. Al termine del suo incontro con la Regina di Cuori, Alice esclama: "Non si può credere a una cosa impossibile!". "Oserei dire che non ti sei allenata molto", risponde la Regina. "Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione".

mercoledì 2 giugno 2010

La Filosofia come Passione inutile

Sarà che mi piacciono le provocazioni, sarà anche che mi piace discutere e riflettere in luoghi tranquilli ed un pò "disabitati", sarà anche che questo Blog creato dall'ottimo Francesco è da tempo desueto, ed "abbandonato" ad un silenzio che giudico fecondo, ...per tutti questi motivi vorrei provare ad affrontare un tema,( sia pur brevemente e come spunto per una discussione), che è trattato anche da alcuni filosofi , a volte marginalmente , a volte centralmente. La filosofia, anche quella pratico-pratica ed aperta a tutti , è inutile ?
Se la Filosofia, almeno quella che è più teoretica e da tempo immemore affronta l'arduo problema della significatività dell'esistenza, arriva a dirsi seconda rispetto alle possibilità del linguaggio poetico (Heid.) di comprendere l'"essere", se è così a che serve ?
Se la Filosofia, quale Critica delle possibilità conoscitive dell'uomo , è radicalmente pessimista, sulle capacità teoretiche dell'umano genere, allora a che serve ?
Dico e scrivo solo questo, in realtà pensando che un'utilità c'è, una meraviglia da annoverare tra i risultati del filosofare , c'è pure.
Ma forse l'essere inutile della filosofia più teoretica, è il suo vantaggio ed il suo pregio. Cerchiamo di capire perchè...........Se qualcuno vuol dire la sua potrebbe venir fuori una riflessione interessante.

lunedì 1 febbraio 2010

La religione di Avatar? È nata in Piemonte



Nell'incredibile film di J. Cameron è rappresentata una grande contrapposizione: quella di un mondo tecnologico e metallico, ma in realtà rozzo e sensibile solo al profitto e, sull'altra sponda, quella di un popolo che vive in un pianeta fantastico. I Na'vi credono nella ricchezza e nella diversità della Vita, nello sviluppo della Coscienza capace di comunicare con l'intera esistenza attraverso le altre specie viventi.

Cosa che tra l'altro ha fatto preoccupare il Vaticano dicendo che è un film che confonde sulle “vere Verità”, quindi da non vedere. Addirittura in Cina è proibito, seppur sembra che tra i giovani circolino molte Copie piratate.

I commenti a questo film saranno tanto numerosi quanti coloro che l'hanno visto, essendo un'opera destinata a lasciare una impronta storica nella storia del cinema, e non solo.

Tra i tanti commenti, mi piace riportare qui quello di Massimo Introvigne che, per sua collocazione sicuramente non fa parte di movimenti spirituali innovatori. Vedete un po' voi....


La religione di Avatar? È nata in Piemonte di Massimo Introvigne

I Na'vi, i pacifici abitanti del pianeta Pandora sono attaccati da mercenari terrestri al soldo di una multinazionale; un'ovvia metafora di tutti i "diversi": e il messaggio è che i "diversi" sono sempre e comunque migliori di noi.

Ma il fatto - come hanno notato molti critici cristiani negli Stati Uniti - è che la superiorità morale dei Na'vi deriva dalla loro religione, che lo spettatore è indotto ad ammirare e condividere. Questa religione è superiore a quelle dei terrestri, insegna il film, perché non divide ma unisce. Perché non è dualista, ma monista, non distingue fra Creatore e creature e venera Eywa, la Madre o il Tutto, una sorte di mente collettiva dell'universo che lo rivela come una rete fittissima di interconnessioni.

Tutto è collegato con tutto, e le sciamane Na'vi compiono prodigi, guarigioni comprese, perché riescono a penetrare in queste linee di collegamento e ad entrare in sintonia con Eywa. Il nome classico di questa religione - non usato nel film di Cameron - è panteismo: ma si tratta di un panteismo rivisitato in salsa ecologistica e New Age. Il riferimento al New Age è ovvio, e convince di più dell'ipotesi - che in India è arrivata fino alla prime pagine dei quotidiani - di vedere nella religione dei Na'vi una variante neppure troppo modificata dell'induismo. L'espressione "New Age" indica tuttavia un genere, non una specie. I gruppi New Age sono moltissimi, e abbastanza diversi tra loro.

Chi ha qualche familiarità con questo mondo di fronte ad Avatar non può fare a meno di notare che il gruppo New Age che si avvicina di più alle idee dei Na'vi non sta negli Stati Uniti ma in Italia, in provincia di Torino. È Damanhur, il centro "acquariano" fondata nel 1976 in Valchiusella da Oberto Airaudi, famosa per il suo grande tempio sotterraneo e che, per quanto i suoi "cittadini" - come preferiscono farsi chiamare - non amino questa etichetta rappresenta la più grande comunità New Age del mondo. L'ipotesi secondo cui Cameron potrebbe essersi ispirato a Damanhur non è peregrina. Libri e video in inglese su Damanhur sono molto diffusi nel circuito New Age americano, e la storia del tempio sotterraneo che la comunità è riuscita incredibilmente a tenere segreto fino al 1992 ha affascinato anche i grandi quotidiani.

Le somiglianze sono sorprendenti. Come il tempio sotterraneo di Damanhur, il centro del potere e della spiritualità dei Na'vi è nascosto: in un enorme albero. Come i damanhuriani, i Na'vi hanno una loro lingua sacra, il cui uso sia nel film di Cameron sia a Damanhur in Valchiusella aiuta a segnare la differenza con chi non fa parte della comunità. Sia i Na'vi sia i cittadini di Damanhur sottolineano il valore dell'appartenenza un "popolo" che non è solo etnica ma iniziatica e - come dimostra il caso stesso del protagonista del film - volontaria. I damanhuriani si salutano, riconoscendo la comunione profonda che regna fra loro, con le parole "Con te", non con il consueto buongiorno; lo stesso fanno i Na'vi dicendo "Ti vedo". A Damanhur ogni fedele stabilisce uno speciale legame - bilaterale - con un animale, di cui prende il nome. Tra i Na'vi ogni guerriero o guerriera diventa tale scegliendo un animale alato da cavalcare ed essendone nel contempo scelto. Il cittadino di Damanhur, scrive il fondatore Airaudi, diventa "goccia cosciente di sé e di tutte le altre gocce formanti il mare dell'Essere". I Na'vi sarebbero d'accordo. Sia i Na'vi sia i damanhuriani credono panteisticamente in un grande Tutto dove ogni manifestazione della natura e della vita è in collegamento con tutte le altre. Come i Na'vi, i damanhuriani cercano di interagire con queste connessioni - anche attraverso l'uso di speciali simboli - ottenendone, o così dicono, risultati anche in campo terapeutico.

Si capisce - negli Stati Uniti e altrove - la diffidenza delle Chiese e comunità cristiane, per cui il panteismo e la negazione della differenza ontologica fra il Creatore e il creato sono nemici secolari che oggi ritornano con il New Age. Ma finora non sono stati in molti a vedere l'origine di questa nuova religione hollywoodiana molto vicino a casa nostra, in Valchiusella.






martedì 3 novembre 2009

I Tre Filosofi

Questa breve nota si potrebbe intitolare anche: "Ho smesso di ridere", poichè pensavo che gli altri filosofi si fossero addormentati nel lungo sonno estivo, passando poi direttamente al letargo invernale. Ma, come ci spiega la storiella, anche io potrei avere il naso sporco...


I tre filosofi

" Tre filosofi, dopo aver a lungo discusso di logica, si addormentano sotto un albero. Mentre dormono, tre uccellini depositano un piccolo escremento sulla fronte di ciascuno dei tre filosofi. Dopo alcune ore, quando gli escrementi si sono asciugati a dovere, i tre filosofi si svegliano. Guardandosi l'un l'altro, iniziano improvvisamente a ridere. Infatti ciascuno di essi vede l'escremento sulla fronte dei due compagni e, poiché i filosofi non sono santi, ride delle disgrazie altrui credendo di esserne immune. Tuttavia, dopo alcuni istanti, il più filosofo dei tre smette di ridere perché si rende conto di avere anche lui un escremento sulla fronte. Egli giunge a questa conclusione solo col ragionamento, senza tastarsi la fronte.

Qual è il ragionamento?
Perché egli è più filosofo degli altri? "


La soluzione, naturalmente a suo tempo, dopo che ciascuno avrà dato la sua.

lunedì 13 luglio 2009

L'ARTE DI VIVERE SENZA VERITA'


L’arte di vivere senza verità ( titolo rubato ad un articolo di Michel Foucault
apparso su Repubblica)


“conosciamo il falso del mondo,
non quello che è vero.
Eppure a quel pensiamo
sapendo che non sapremo”
(Fernando Pessoa)

Franz Kafka diceva che “la verità non è divisibile, perciò non può conoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna”.
La verità! La realtà oggettiva!.... anche gli scienziati, dopo le acquisizioni della Fisica quantistica, ci pensano molto meno.
Ma ciò significa che noi non la dobbiamo continuare a cercare? Certo che la cercheremo sempre e sempre di più, solo che forse dobbiamo cambiare strumenti: rinunciare a servirci della sola ragione e farci accompagnare da altri strumenti disponibili che spesso invece utilizziamo come mezzi alternativi di indagine intellettuale e apparentemente finalizzati a soddisfare altri bisogni. Strumenti che, a mio parere, hanno la loro dignità pari a quella della ragione stessa, anzi………la ragione, il cui primato per quasi quattro secoli è stato indiscusso, deve accettare il fatto di essere strutturata per non superare certi confini (e se li allarga i confini se ne vedrà presentare altri e poi altri ancora……). Sconfinare è compito dell’intuizione, della sfera emotiva, dei sentimenti, del mondo del possibile e dell’auspicabile. Inoltrarsi nell’Oltre, con la Musica, la Poesia, l’Arte, la Religione (ma anche con la Scienza, quando è momento creativo per formulare ipotesi) è atto intuitivo libero e personale che pretende in ultima analisi un atto di fiducia nelle nostre capacità non controllate dalla sola ragione ma anche e soprattutto……..dalla nostra coscienza ? dalla nostra anima ? dal nostro spirito ?
Sconfinare: che parola abusata e mal giudicata!
Sconfinare per me è volare libero col pensiero, come l’aquila che mai vola a stormi, ma anche come la gru che non vola mai da sola perché, volando a stormi, realizza l’esigenza di condividere la meta e il percorso relativo. La condivisione: altra esigenza a cui l’uomo non può rinunciare ed ecco il bisogno di amicizia, di amore, di solidarietà, di empatia, di appartenenza.
Continuando a citare Kafka, la difficoltà dell’uomo è “comprendere quale fortuna sia che il terreno su cui poggia non possa essere più grande dei due piedi che lo coprono”. Infatti io credo che il poter volare nell’Oltre, avendone solo sentimento e immaginazione, permette all’uomo di diversificarsi dall’ “essere angelo” per essere individuo, persona che può decidere fra il male ed il bene, persona che può credersi e forse sapersi libero. Condizione, la libertà, che gli consente di essere in grado di assumersi responsabilità, qualità questa che insieme alla libertà ci avvicina al divino più di mille altre!
D’altra parte, se si crede solo alla ragione, il rischio è lo scetticismo e il nichilismo, comunque l’inquietudine della coscienza; se ci si affida invece alla sfera non razionale della nostra coscienza ecco che si possono aprire delle prospettive altre e la parola “affidarsi” potrebbe assumere un significato nobile e mai confortevole però perché la propria coscienza non può consentire che la fiducia sia irresponsabile, non è come un corso d’acqua su cui ci si può lasciare andare ma è come le rapide dai molti percorsi tumultuosi che si devono scegliere e affrontare, badando a non essere travolti.
La verità forse esiste ma comunque è una meta nel terreno dello sconfinamento nell’Oltre e che forse ci può portare a credere di poter sopravvivere anche all’Universo.
Tutto ciò sento che mi conduce alla ricerca dell’Armonia del Mondo o, se volete, di Dio.
Ecco, leggendo il bel testo di Rosario, dove le parole verità, confine, sconfinamento, Oltre etc…… abbondano, sono stato sollecitato a queste considerazioni perché mi è difficile essere disponibile a vivere senza vie d’uscita.
“…..ma i viventi compiono
tutti l’errore di tracciar troppo netti confini.”

(Rainer Maria Rilke)

ARMANDO

mercoledì 17 giugno 2009

UNO ≠ MOLTI ?

Uno, due o diecimila?

Cosa scegli: Platone o Nietzsche, Dalì o Van Gogh, Leopardi o Bukowski? (Uno, nessuno, centomila….)

Esiste vera contraddizione tra i dualismi? Cosa ci fa distinguere l'accettabile dall'inaccettabile?

Potrebbe darsi che la nostra prospettiva temporale (e temporanea), bi-oculare, bi-lobotomica, simmetrica ma al contempo coniugata, ci rende difficile (o impossibile) il percepire una dimensione frattalizzata e onnipresente, nella quale siamo immersi incoscientemente e costretti a scegliere tra apparenti oppost, che potrebbero essere invero dei misteriosi collaboratori?

Ma come possiamo conoscere meglio quella che chiamiamo realtà, e darne risposte profonde, se prima non conosciamo meglio noi stessi, come siamo fatti, come percepiamo, con il corpo, con la mente, … (con l’anima)…. ?

Metterei nel calderone della discussione sia qualcosa di molto fisico, che i suggerimenti di uno dei grandi maestri dell’antichissima meditazione orientale. Mischiando il tutto con qualche risultato delle mie personali ricerche. Cominciamo da queste ultime.

Dentro di noi vi sono (almeno!) due personaggi ben diversi tra loro. E’ possibile vederli fisicamente sfruttando, ad esempio come ho fatto io, con tecniche fotografiche digitalizzate, la separazione della (a)-simmetria dei volti umani. Infatti ciò che consideriamo un volto unico rivela differenze ben evidenti tra l’emisfero destro e quello sinistro. Chi ha coraggio può fare questo esperimento con se stesso o con i propri amici, e vi assicuro che ci vuole fegato per guardarsi ed osservarsi in questo modo.

Chi avesse ancora più coraggio, potrebbe fare un lavoro interiore di identificazione separata, e scoprire che si tratta di due personaggi ben distinti, non raramente in competizione o in vera e propria lotta tra loro. Una metà potrebbe essere donna, l’altra un uomo. Uno potrebbe essere grasso, l’altro smilzo. Una allegra e sbarazzina, l’altra triste e riflessiva. Una raffinata, l’altra "porcellina" (!). Provate a immaginare tutte le altre qualità opposte (giovane-vecchio, intelligente-stupido, sapiente-ignorante, materialista-metafisico, stanco-energico… e così via). A volte si vede proprio bene che i due personaggi sono mooooolto differenti. Con un apposito lavoro, ciascuno potrebbe scoprire dove, nel profondo, risiede l’origine di un disturbo cronico. La persona che ingrassa potrebbe sapere chi è il “grassone” dentro di lui, e chi sta male potrebbe scoprire chi -dentro di lui- ha il mal di testa, di cuore o di fegato. E la persona, in stato di rilassamento profondo, può confermare quello che è il suo sentire, in modo libero, e se si sente donna piuttosto che uomo, ammetterlo. Se si sente aggressivo, piuttosto che pacato, ammetterlo. E così via. I suoi opposti interiori si intregrerebbero, imparerebbero ad ascoltarsi, a darsi spazio e fiducia recirpoca, e la smetterebbero di farsi una inutile guerra quotidiana.

Ma tutto questo è normalmente considerato come pura follia, esagerazione, condizionamento culturale, moda. Eccetera, eccetera.

Chi, allora, prevale dentro di noi? Solo uno: il più forte; gli altri personaggi della nostra interiorità subiscono. Qundi soffrono.

Eccovi allora un esempio fisico, una mia foto suddivisa in due e ricomposta in due visi differenti, questa volta perfettamente simmetrici. L’altro esempio appartiene alla mia attuale compagna, Dafne. Le metto qui a disposizione di tutti perché mi appartengono, senza incorrere in problemi legali. Ma in realtà ne ho una casistica ben vasta, e posso assicurare che alcune sono ben più sorprendenti (o sconcertanti?) di queste .


Io credo di conoscere bene i due personaggi oggi viventi, Francesco e Dafne, ma per conoscere meglio i quattro che sono integrati nei due, ho dovuto compiere un lavoro, che non può dirsi mai completo. Perché sconfinato è, l’essere umano.

Adesso però, proprio perchè lo vedo, posso dire di conoscere meglio John, nobiluomo alto e smilzo, che visse nell’Inghilterra del medio evo, frequentando una corte reale ostile alle libertà. Rifiutò quell’ambiente, e per questo, per le sue impudenze-imprudenze, fu ucciso dopo un lungo inseguimento, durato anni. Comprendo allora le sue paure.

Conosco meglio Juan, contadino e rivoluzionario, basso e tarchiato, poeta-cantautore, che visse nella Bolivia di fine ottocento. Si ribellò al potere dei padroni del luogo, e visse imboscato, lasciando tutto quel che aveva, quel poco che aveva, per la causa rivoluzionaria. Faceva attentati dinamitardi alle carrozze dei nobili, e diffondeva idee che incitavano le classi più deboli a ribellarsi ai ricchi. Non aveva paura di nulla (io sì !) Morì giovane, per un attacco di febbre infettiva, e i suoi compagni impiegarono molte settimane prima di recuperare la sua salma, che trovarono ancora come dormiente nel misero giaciglio che si era costruito sugli alberi. Comprendo allora il suo coraggio.

Ma "io" sono un individuo pauroso o coraggioso? Quando l'uno, quando l'altro?

Conosco meglio la mia Dafne ed il suo “Francoise” interiore, signorotto francese del rinascimento, ricco e raffinato, ma molto spigoloso e spesso egoista, privo di scrupoli; e conosco adesso la sua “Concita”, donna spagnola del ‘700, amante delle belle case e degli arredi particolari, energica e solare, allegra e fondamentalmente buona.


Fantasie? Immaginazioni? Autosuggestioni? Fate voi.

Ognuno pensa e fa quel che gli pare, e non pensa e non fa quel che non gli pare.

Certo è che tanti filosofi dell’antichità, ancora oggi per tanti versi osannati, parlavano di metempsicosi come fosse normale. E a quel tempo lo era: ma da onesti ed illuministi intellettuali del nostro tempo “post-occidentale”, oggi non ne conosciamo più il perché, né quale sia stato il percorso interiore (al di là di quello storico ufficiale) per cui l’umanità ha abbandonato alcune idee, e ne ha abbracciate altre che "contraddicevano" le precedenti, nella certezza che le une negano le altre.

Noi preferiamo considerarci "unici" e identici, anche se gli opposti posson ben "nascondersi" (fino ad un certo punto) dentro di noi, mancandoci il coraggio di scovarli ed ammetterli come facenti parte del nostro essere. In questo caso la nostra mente, per me solo apparentemente razionale, rifiuta queste idee come superate, e le teme. Limitatamente a queste idee, un grande filosofo dell'antichità classica può divenire "inaffidabile", non si considera neppure quel che afferma.

Lasciamo stare, quindi, di quando poi Platone parla di Atlantide, e Nietsche di un Superuomo che nessuna ha mai visto, se non nei fumetti.

Ma al di là di tutte le “fantasie” possibili ed immaginabili, tu che mi leggi, pensi davvero di essere “UNO”, “UNA”?

Perché tu possa considerare anche altre possibilità, ti porto allora i bellissimi versi di Lao-Tze, perché, diversamente da me, un Maestro possiede la chiave per entrare nel profondo del cuore di ogni uomo. E di elevare le possibilità di elaborazione e di immaginazione di ciascuno.

"Io", anzi noi, vorremmo solo che l’Uomo conquistasse nuove parti di sé, senza timori o pregiudizi.

Anche io ne ho: mi sforzo solo di vincerli.


TAO TE CHING

Il Tao che può essere detto

non è l'eterno Tao,

il nome che può essere nominato

non è l'eterno nome.

Senza nome è il principio

del Cielo e della Terra,

quando ha nome è la madre

delle diecimila creature.

Perciò chi non ha mai desideri

ne contempla l'arcano,

chi è soltanto capace di desiderare

ne contempla il termine.

Queste due visioni hanno la stessa origine

anche se diverso nome

ed insieme sono detti mistero,

mistero del mistero,

porta di tutti gli arcani.

Sotto il cielo tutti

sanno che il bello è bello,

da qui il brutto,

sanno che il bene è bene,

da qui il male.

E' così che

essere e non-essere si danno nascita fra loro,

facile e difficile si danno compimento fra loro,

lungo e corto si danno misura fra loro,

alto e basso si fanno dislivello fra loro,

tono e nota si danno armonia fra loro,

il prima e il dopo si fanno seguito fra loro.

Per questo il saggio

attua l'insegnamento non detto.

Le diecimila creature sorgono

ed egli non le rifiuta.

Le fa vivere, ma non le considera come sue.

Opera, ma nulla si aspetta in cambio.

Compiuta l'opera egli non permane

e proprio perché non permane

nulla gli può essere tolto.

Lao-Tse (VI sec. a.c.)

sabato 6 giugno 2009

Platone o Nietzsche?

Per non fare languire il blog, come consiglia Alberto, ripropongo la mia e-mail che ho scritto in risposta a quella di Pietro.......auspicando dei commenti .....
Caro Pietro e cari cenecolanti attivi,
dopo l’ultima e-mail di Pietro non mi riconosco più fra i “platoniani”, almeno come lui prova a delinearli.
Cerco di chiarire: intanto non mi piace la distinzione spaziale di partire dall’alto (Platone) e partire dal basso (Nietzche); è un modo di affrontare la questione che presuppone scale di valori legate ai concetti radicati in noi occidentali: tipo i cieli - gli inferi. Ma andiamo all’argomento: io penso che tutte e due le visioni partano dalla consapevolezza di essere intanto carne e sangue (sono visioni elaborate da uomini di carne e di sangue!) e poi, solo poi, in quanto figli evoluti della Natura madre, dalla capacità di farci, per quello che ancora ne sappiamo solo noi nell’Universo, le domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, perché andiamo e come facciamo per andare. Ora questa “libertà” (facoltà che ci accomuna potenzialmente tutti come specie), di porre domande e di agire conseguentemente alle risposte che più o meno timidamente riusciamo a dare, permette di schierarci su fronti diversi fino ad estremizzarne (nettamente ?) i contorni. Il punto che mi preme chiarire è: in questo “libero” cercare c’è “in natura” l’idea archetipica di “qualcosa-di-altro-che-materia” di cui possiamo avere sentimento, a cui possiamo aspirare e con cui ci possiamo confrontare? Questa prospettiva, per me, nasce con noi come parte della Natura che ci ha generato, Natura in cui è compresa la “materia” (natura madre) e il “senso”, la direzione (natura in fieri, forza in divenire, energia di senso o come la si vuole chiamare) . Se questo vuole dire essere con Platone, per me va bene. In questo modo mi differenzio da coloro che pensano che tutto è materia regolata dal caso, pensa! anche il frutto di intuizioni come la Musica, la Poesia, la Scienza (intesa come pura speculazione intellettuale), la Filosofia e quant’altro ci avvicina alle idee di Libertà, Amore, Giustizia, Bene, Bello etc……E non me ne volete se torno alle “nuove” frontiere della Scienza i cui risultati speculativi dicono che non possiamo conoscere la realtà se non con approssimazione perché se si cerca di determinarne l’aspetto materiale (per es. la posizione nello spazio) ci sfugge l’aspetto non materiale (per es. l’energia) e viceversa. Risultati che fanno dire a Werner Heisemberg, uno dei padri della Fisica contemporanea:”…..dopo l’esperienza della fisica moderna, il nostro atteggiamento verso concetti come intelletto o anima umana o vita o Dio sarà diverso da quello del XIX secolo, poiché questi concetti appartengono al linguaggio naturale ed hanno perciò immediata connessione con la realtà. È vero che ci apparirà anche subito chiaro che questi concetti non sono ben definiti nel senso scientifico e che la loro applicazione può condurre a varie contraddizioni; ma noi sappiamo tuttavia che essi toccano la realtà. Può essere utile a questo proposito ricordare che perfino nella parte più precisa della scienza, nella matematica, noi non possiamo fare a meno di servirci di concetti che implicano delle contraddizioni. È ben noto, ad esempio, che il concetto di infinito conduce a contraddizioni che sono analizzate; eppure sarebbe praticamente impossibile costruire, senza questo concetto, le più importanti parti della matematica.”
Questo significa il riconoscimento di un dualismo legittimo ma che dualismo non è (generato dalla “relazione o interazione”come causa necessaria dell’essere) che è insito nell’Universo a cui non possiamo (mai?) accedere se non con approssimazione (osservazione da un lato e intuizione dall’altro) e la cui sintesi (perché la sintesi porta poi il dualismo all’unità) è riconoscimento di un mistero (eterno?) che per me è comunque Natura in quanto conseguenza di un “soffio di senso” primordiale (Dio?).
Scusate la poca chiarezza di esposizione ma è la prima volta che provo a esplicitare queste argomentazioni non facili con cui mi cimento da tempo per dare senso alla “mia vita insieme a voi”.
Con affetto e stima
Armando
P.S.
Anch’io vi lascio una citazione che di “un non filosofo” però: “Egli (l’uomo) è un cittadino libero e sicuro della terra, poiché è legato a una catena che è lunga quanto basta per dargli libero accesso a tutti gli spazi della terra, e tuttavia lunga solo quel tanto per cui nulla può trascinarlo oltre i confini della terra. Ma al tempo stesso egli è anche un cittadino libero e sicuro del cielo, poiché è legato anche a una catena celeste, regolata in modo simile. Così, se vuole scendere sulla terra lo strozza il collare del cielo, se vuole salire in cielo quello della terra. E ciò nonostante egli ha tutte le possibilità e lo sente, anzi rifiuta di ricondurre addirittura il tutto a un errore commesso nel primo incatenamento.” (Franz Kafka)

venerdì 24 aprile 2009

La Luce dei Tantra

In questo dialogo ipotetico ed affascinante tra Nietzsche e Platone , così come lo rappresenta in modo anche divertente Luca Grecchi in “Vivere o Morire” , una cosa è subito chiara: la diversità di vedute tra i due grandi filosofi riguarda anche e soprattutto il tema dell’anima. Chi e cosa è l’uomo per Platone o per N., ? E’ evidente che il dualismo (metafisico) di Platone conduce ad una visione dell’uomo completamente diversa da quella “mondana”, eroica e “greca”, nel senso dei miti dell’antica Grecia, di N.-
In che modo si configura la libertà dell’uomo in questa abissale differenza di pensiero ? E’ l’uomo più libero se, come vuole N. è al di là di ogni possibile ed inutile metafisica? E’ al di là del bene e del male ? E’ più vincolato l’uomo se, con Platone, si intravedono nelle “Idee” del Bene , Bello, Giusto et similia , dei vincoli morali condizionanti al di qua ed al di là di questa stessa esistenza terrena? Certamente è possibile che una pre-comprensione , un pregiudizio ci porti ad affossare un pensatore o l’altro, secondo quella smania di libertà che ogni uomo giustamente rivendica e che non vuole paletti di alcun genere. – Potremmo forse dire: meglio Nietzsche o Sarte o tutti quei pensatori che ci liberano da ogni ancoraggio metafisico vincolante.- Ci può aiutare, a mio modesto parere, una riflessione su quella affermazione delle scuole sivaitiche secondo cui l’Io è libertà ( così Abhinavagupta nel Tantraloka,- La luce dei Tantra), e lo è tanto più riesce ad andare al di là del “Velo di Maya” delle apparenze e della pura fenomenicità, per cogliere le manifestazioni nascoste di ciò che può essere una sorta di energia divina, forse colta a volte, nella tradizione culturale dell’occidente, dalla intuizione poetica ed artistica in tutte le sue migliori espressioni.- In buona sostanza o attraverso la pratica meditativa orientale, nelle sue varie declinazioni, o attraverso gli slanci della migliore attività artistica presente nella storia dell’Occidente, ma anche attraverso le vie della tradizione mistica occidentale ( S. Giovanni Delacroix), l’uomo, ogni uomo, può intuire che l’eventuale presenza di “principi causali ideici extramondani” (Dio?) non necessariamente costituisce una limitazione della propria libertà, ma addirittura può ampliarla.- La filosofia occidentale, a partire da Platone, ha forse la presunzione di essere l'unica via possibile, (quella caratterizzata dalle argomentazioni e dal dialogo dialettico), per arrivare ad una conclusione positiva in tema di metafisica, ma in realtà sembra a me che la via dell'arte o della contemplazione siano più facilmente percorribili.

giovedì 16 aprile 2009

Un'angoscia esagerata

Cari cenacolanti sempre in cerca del significato dell'esistenza
martedì scorso abbiamo commentato il libro di Sartre "l'esistenzialismo è un umanismo", tratto da una famosa conferenza del filosofo francese, che poi si è subito pentito di avere permesso la pubblicazione di un testo così "comprensibile" che ha consentito a tutti di rendersi conto della sua incapacità di articolare in maniera attendibile certe sue pur giuste intuizioni.
Ma perchè per fare buona figura i filosofi hanno bisogno di scrivere difficile e di esprimere tesi estreme? Che l'uomo abbia la responsabilità di lavorare alla sua autoedificazione a prescindere dall'esistenza o meno di Dio lo sappiamo pure noi, ma perchè esagerare come fa lui pretendendo che, in questo lavoro, l'uomo è completamente libero, che le resistenze non contano, che il risultato dipende solo da noi, che siamo responsabili anche delle nostre passioni e paure, etc?
Un mio amico diceva, invece, giustamente, che ognuno gioca a scopa con le carte che gli distribuisce il cartante. Ed in effetti uno non si può autoedificare le carte col pennarello. Se uno volesse fare scopa con una carta autocostruita gli altri giocatori protesterebbero.....
Insomma ha senso negare che l'uomo incontra ostacoli, come le malattie o il matrimonio, al libero dispiegamento delle proprie potenzialità? Ed a proposito di questa difficile dinamica esistenziale cambiamento-conservazione, attiva anche all'interno del rapporto di coppia, mi piace citare un grande filosofo esistenzialista anonimo che scriveva: una donna sposa un uomo sperando che cambi, e lui non cambierà. Un uomo sposa una donna sperando che non cambi e lei cambierà.
E tuttavia le tesi di Sartre ci hanno intrigato e coinvolto, Armando se ne è detto affascinato, Alberto e Maria pure ma con qualche riserva "scientifica": Maria ha fatto notare che non è vero che quando nasciamo siamo nulla, come pretende Sartre, perchè ci ritroviamo in una famiglia e tra persone che ci trasmettono, proprio quando siamo più plasmabili, nevrosi o positività, idee e pregiudizi. Sulla stessa linea Alberto, che pur essendo stato - come molti altri "sessantottini" - innamorato di Sarte, oggi deve sottolineare che c'è un aspetto deterministico nell'uomo, a cominciare dal suo patrimonio genetico e dalla propria storia individuale, che Sartre pretende di ignorare quando afferma che l'uomo piò inventarsi ex novo ogni giorno.
Ed a proposito dell'angoscia implicata da questa libertà - una libertà che Sartre pretenderebbe assoluta - Augusto ha sottolineato: "ragazzi, non scherziamo: non stiamo parlando di un'' angoscetta da quattro soldi, tipo un'inquietudine positiva perchè creativa, quì stiamo parlando dell'assurdismo cosmico: per Sartre niente ha senso, nel mondo non c'è un significato nascosto da trovare, una verità nascosta da disvelare, non c'è assolutamente nulla, il senso e la verità li dobbiamo costruire ed inventare di sana pianta noi, ognuno per se stesso e poi anche come proposta agli altri. Altro che inquietudine creativa, il nulla sartriano fa venire davvero non solo la nausea, ma anche l'agorafobia (paura degli spazi vuoti) ed altri disturbi psicosomatici come la diarrea e gli attacchi di panico, a parte che dove troviamo tutto questo tempo per autocostruire noi stessi di sana pianta con tutto quello che abbiamo da fare per sbarcare il lunario ogni giorno?
Sicchè l'Augusto ha proposto, come contrappunto all'angoscia Sartriana di cui ci siamo imbevuti, di leggere per la prossima volta un libro pubblicato da poco nel quale Platone e Nietzsche si confrontano sui temi dell'esistenza in forma leggera, ironica e per nulla nauseante.
Altri hanno suggerito il testo segnalato da Alberto Biuso: Lettera sull'umanismo di Heidegger, Adelphi, 1987, che però.è stato considerato dagli esperti troppo difficile per il livello intellettuale medio dei presenti (sicchè molti di noi lo stanno comprando per leggerlo di nascosto nella speranza di scoprire che sono più intelligenti della media).
Un altra fazione di cenacolanti anarchico-insurrezionalisti, insofferenti della leadership di Augusto, ha proposto "le Favole di Margherita" della Hack , ma Alberto Spatola ha vergognosamente negato di averlo letto ed apprezzato sicchè ha avuto buon gioco Augusto che ha ricordato che, per regolamento, non si possono adottare libri che nessuno dei presenti ha mai letto.
Ci siamo lasciati, dunque, con un interrogativo esistenziale irrisolto: Alberto Spatola è responsabile della sua viltà come sostiene Sartre oppure possiamo giustificare il suo rifiuto di darsi in pasto ai famelici cenacolanti che effettivamente, se non gradissero il libro da lui "garantito" ne divorerebbero la reputazione come hanno fatto con quella di Armando (il quale non viene più chiamato per nome ma additato come "quello della tristezza del pensiero") ?
Riporto sotto i dati del testo scelto per martedi 21 aprile ed auguro a tutti
Buona Pasqua
Pietro
Autore: Grecchi Luca
Editore: Di Girolamo
Genere: filosofia occidentale moderna
Argomento: platone, nietzsche, friedrich
Collana: Gratis et amore hominis
Pagine: 160
ISBN: 8887778264
ISBN-13: 9788887778267
Data pubblicazione: 2008
Giovanissimo talento innamorato della filosofia classica (Carmelo Vigna), "pensatore a suo modo classico" (Mario Vegetti), "rondine di una nuova auspicabile primavera filosofica" (Costanzo Preve), Luca Grecchi lascia qui sullo sfondo i suoi consueti studi sulla filosofia greca antica e sull'umanesimo metafisico, per impegnarsi in un'opera di fantasia, di contenuto indubbiamente filosofico, ma che possiamo definire letteraria. Questo libro propone infatti un immaginario incontro fra Platone e Nietzsche, reso possibile dal terzo personaggio sulla scena: il tempo. L'incontro - che ha come tema di fondo, appunto, la ricerca del senso della esistenza umana - si svolge in cinque giorni. Platone e Nietzsche parlano di temi biografici, dell'amore, di metafisica, di politica e della morte. Un testo, dunque, che - pur se iscritto nel genere divertissement - sollecita a riflettere in modo appassionato sui contenuti eterni della condizione umana.

domenica 5 aprile 2009

L'esistenzialismo è un umanismo o un anestetico?

Sinora nessuna reazione sul buon Sartre, tranne l'eccellente proposta di Biuso di leggere, dopo Sartre, la "Lettera sull'umanismo"di Heidegger, che si pone in maniera antitetica o complementare, lo vedremo, alla tesi sartriana.

sabato 28 marzo 2009

Il pidocchiu arrinisciuto e il vegetariano reincarnato

Cari cenacolanti
Cos'è l'autenticità? E' questo il tema su cui ci siamo confrontati martedì scorso, stimolati dalla vicenda di Ivan Il'ič che si accorge, purtroppo solo alla fine, di avere vissuto una vita solo "apparente". Condenserei così il messaggio che ci ha lasciato il genio di Tolstoy con questo splendido libro: l'uomo è un animale arrivato, un "pidocchiu arrinisciutu", che ha la volgarità ed il provincialismo di un "nuovo ricco".
Semplificando molto possiamo dire che, in questi giorni, si sono confontate due scuole di pensiero:
- quella che potremmo ricondurre ad Augusto, secondo cui autentico è cio che si mostra in modo veritiero, ossia corrispondente a ciò che davvero è;
- quella che, per comodità, riconduciamo ad Alberto Spatola, secondo il quale se vogliamo definire l'autenticità in relazione ad esseri umani non possiamo non introdurre criteri di valore condivisibili ed essenziali.
Ma il confronto ha avuto varie ed interesanti sfumature ed i contributi sono stati tutti appassionati ed interessanti.
Quando poi Giovanni la Fiura ha letto un brano di Heidegger sull'essere e sul suo divenire, abbiamo capito che non possiamo definire l'autenticità senza cercare di capire prima qual è l'essenza dell'uomo e senza occuparci dell'essere.
Insomma, quasi senza volerlo, abbiamo toccato un nodo essenziale della ricerca filosofica, risolto il quale le risposte a tutte le altre nostre domande esistenziali - compresa quella: ma i vegetariani si reincarnano? o l'altra, che sembra oggi veramente un rebus irrisolvibile: come mai Fini è diventato così simpatico - ci sembreranno di una semplicità sconcertante.
E' parsa, a questo punto, davvero opportuna la proposta di Francesco Palazzo, di commentare, alla prossima cenetta, il saggio di Sartre "L'esistenzialismo è un umanismo" (Francesco l'ha trovato alla Feltrinelli, ed Mursia € 12,00).Il testo è semplice da leggere ed anche breve. Nel post precedente a questo trovate una recensione.
Intanto vi trascrivo brani estratti dal libro che ci aiutano già a capire il contenuto del libro stesso e un po' anche Sartre e l'esistenzialismo.

Però prima mi piace introdurre il tema dell'esistenzialismo con due illuminanti "visioni" che, più che dalla speculazione filosofica, traggono la loro bellezza dall'intuizione artistica e dalla fede e che sono, a mio parere, esitenzialiste, Sartriane ed Heideggeriane nel senso più bello e poetico:

"......perchè una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile..." (L. Pirandello).
"Alcuni uomini vedono le cose per quello che sono state e ne spiegano perchè. Io sogno cose che ancora devono venire e dico: perchè no" (Robert F Kennedy)

A martedì sette aprile, ore 20,.30 per chi cena con noi, ore 21 per gli altri. Ecco alcuni brani dal testo che commenteremo.
Ciao. Pietro

"L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all'inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. [...] L'uomo è soltanto....... quale si concepisce dopo l'esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l'esistere: l'uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell'esistenzialismo. Ed è anche quello che si chiama la soggettività e che ci vien rimproverata con questo termine. Ma che cosa vogliamo dire noi, con questo, se non che l'uomo ha una dignità più grande che non la pietra o il tavolo? Perchè noi vogliamo dire che l'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire.
L'uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere muschio, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile; l'uomo sarà innanzitutto quello che avrà progettato di essere. [...]
Ma, se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell'esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E, quando diciamo che l'uomo è responsabile di se stesso, non intendiamo che l'uomo sia responsabile della sua stretta individualità, ma che egli è responsabile di tutti gli uomini. La parola "soggettivismo" ha due significati e su questa duplicità giocano i nostri avversari. Soggettivismo vuol dire, da una parte, scelta del soggetto individuale per se stesso e, dall'altra, impossibilità per l'uomo di oltrepassare la soggettività umana. Questo secondo è il senso profondo dell'esistenzialismo. Quando diciamo che l'uomo sceglie, intendiamo che ciascuno di noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo anche dire che ciascuno di noi, scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini. Infatti, non c'è uno solo dei nostri atti che, creando l'uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale noi giudichiamo debba essere. Scegliere d'essere questo piuttosto che quello è affermare, nello stesso tempo, il valore della nostra scelta, giacché non possiamo mai scegliere il male; ciò che scegliamo è sempre il bene e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti. Se l'esistenza, d'altra parte, precede l'essenza e noi vogliamo esistere nello stesso tempo in cui formiamo la nostra immagine, questa immagine è valida per tutti e per tutta intera la nostra epoca. Così la nostra responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa coinvolge l'umanità intera.[...]
L'esistenzialista, invece, dice che il vile si fa vile, che l'eroe si fa eroe; c'è sempre una possibilità per il vile di non essere più vile e per l'eroe di cessare d'essere un eroe. Quello che conta è l'impegno totale, e non solo un caso particolare, un'azione particolare a impegnarvi totalmente".
(da L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, pagg. 34-38, 66-67)