giovedì 3 gennaio 2008

Cari compagni di viaggio
Dopo le materialistiche abbuffate di queste feste, martedì sera otto gennaio, alle solite ore e con le solite modalità, riprenderemo a coltivare lo spirito con le nostre nostre cenette filosofiche. Cominceremo a commentare le "operette morali"di Giacomo Leopardi. Forse qualcuno dei filosofi professionisti premetterà qualche parola sull'opera e sul Leopardi filosofo per renderci, come al solito, più agevole il cammino.
E' previsto un brindisi al nuovo anno (lo spumante è offerto dalla casa) ma sobrio e non troppo allegro, in modo da non stridere con il pessimismo cosmico del poeta con il quale dovremo, invece, cercare di sintonizzarci.
Vi trascrivo, intanto, un simpatico augurio rivolto a noi, attraverso appropriati strumenti mediatici, proprio da Giacomo Leopardi.

" Auguro a tutti voi, filosofi delle cenette, un 2008 solo un poco peggiore del 2007. Comprenderete che è il massimo che posso augurarvi, dato che questa gran p. di natura ci ha fatto così fragili ed esposti ad ogni aggressione nel corpo e nello spirito. Del resto, con quello che si sente in giro, con le guerre, i disastri, gli incidenti e le malattie sempre incombenti, già dovrete ritenervi fortunati se a questo 2008 riuscirete ad arrivare sino in fondo!"

Ringraziamo Giacomo Leopardi, veramente "auguriusu".
Per Vostra comodità vi trascrivo alcune recensioni sul testo trovate su internet (potrete scaricare l'opera da alcuni siti, tra i quali quello appresso segnalato)
A martedì
Pietro
Giacomo Leopardi - Operette MoraliOperette morali. Edizione di riferimento:. Leopardi, Tutte le opere, vol. I, Sansoni Editore, Firenze 1969, con introduzione a cura di Walter Binni e con la ...www.classicitaliani.it/index041.htm

Le Operette morali sono un'opera in prosa di
Giacomo Leopardi, composta tra il 1824 ed il 1826, in un periodo di crisi artistica, personale e filosofica.
Furono pubblicate definitivamente a
Napoli nel 1835 (edizione poi censurata, ma ripubblicata dieci anni dopo dall'amico Antonio Ranieri con numerose sviste) dopo due edizioni intermedie nel 1827 e nel 1834.
L'opera consta di 24 componimenti brevi e meno brevi, dallo stile medio e ironico, che prende a modello lo scrittore greco
Luciano di Samosata e gli illuministi del '700.
I temi sono quelli cari a Leopardi: il rapporto dell'uomo con la storia, con i suoi simili e particolarmente con la
Natura, di cui Leopardi sta maturando una personale visione filosofica, che lo colloca, agli occhi della critica, al limite tra gli autori di poesia e di filosofia.
Leopardi accarezzava già dal
1820 l'idea di scrivere delle "Operette Morali", ma solo nel 1824 il progetto cominciò a prendere piede. In quegli anni, esperienze personali (il trasferimento da Recanati a Roma, nel tentativo di lasciare la "tomba de' vivi", il suo paese natale, e trovare altrove la felicità, illusione presto svanita), poetiche (l'inaridimento della vena poetica della sua prima gioventù) e filosofica (il passaggio dal pessimismo storico-progressivo a quello cosmico), lo portarono ad una produzione serrata di ventiquattro componimenti che riassumessero i cambiamenti avvenuti nella propria, sensibilissima, anima.

Titolo [modifica]
"Operette" è un diminutivo di umiltà; si tratta di componimenti brevi, considerati piccoli in mole e in valore dall'autore. La loro minuzia contribuisce a renderli, però, di un'efficacia filosofica e poetica lucida, programmatica e chiara. "Morali" centra il contenuto filosofico dell'opera: sui "mores", i costumi, a confronto tra l'antichità e la modernità. È un richiamo all'opera "
Opuscula Moralia" di Plutarco.

Contenuto [modifica]
Il rapporto tra l'Uomo, la Natura, la Storia; il confronto tra i valori del passato e la situazione, agli occhi di Leopardi statica e degenerata, del suo tempo; la potenza delle illusioni amorose; l'Infelicità; la gloria; la noia. Tematiche già illustrate nello
Zibaldone, sono qui stese alla luce del cambiamento che sta avvenendo in Leopardi: da un pessimismo storico-progressivo (ovvero, la tesi in base alla quale l'uomo ha perso la possibilità di essere felice quando all'immaginazione si è sostituito il raziocinio) ad un pessimismo cosmico (ovvero, la tesi che l'uomo sia infelice in tutti i tempi e per un inesplicabile funzionamento di una Natura indifferente). La Natura, vista dapprima come madre benigna che cullava gli uomini con immaginazione ed illusioni, fino ad essere rinnegata per il raziocinio, è ora vista come una matrigna indifferente, che conserva gli uomini in una situazione di infelicità permanente per un semplice funzionamento meccanico. La Ragione non è più, adesso, un ostacolo all'infelicità, ma l'unico strumento umano per sfuggire alla sua disperazione.
e Operette morali, il libro «più caro dei miei occhi» come ebbe a definirlo lo stesso Leopardi, sono una raccolta di prose (ventiquattro ) tra satiriche, fantastiche e filosofiche, scritte tra il 1824 e il 1832, dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla “prigione” di Recanati. Già in una lettera del ’20 indirizzata al suo amico Giordani, Leopardi comunicava che aveva abbozzato «certe prosette satiriche… quasi per vendicarsi del mondo e quasi anche della virtù…». La frase è interessante per capire lo stato d’animo d’ironia, di satira, di ribellione con cui vennero concepite. Le prose sono rivolte al medesimo fine, a quella missione di educatore della sua nazione e degli uomini a cui il Leopardi, da La canzone all’Italia alla Ginestra, non seppe mai rinunciare, nonostante la sfiducia e il pessimismo
Nelle Operette, Leopardi espone il “sistema”, da egli stesso elaborato, attingendo al vastissimo materiale raccolto nello Zibaldone. L’esposizione non è però di tipo dottrinale; Leopardi infatti ricorre a una serie di invenzioni fantastiche, a miti, allegorie, paradossi, apologhi.
Molte delle Operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono personaggi fantastici o mitici (Ercole e Atlante, il mago Malambruno e il diavolo Farfarello, la Natura ed un’anima, la Terra e la Luna, un folletto ed uno gnomo, la Moda e la Morte, la Natura ed un Islandese), oppure personaggi storici (Colombo e Gutierrez, Plotino e Porfirio), oppure ancora personaggi storici ed esseri bizzarri o fantastici (Federico Ruysch e le sue mummie, Torquato Tasso e il suo genio familiare). Altre invece sono esposte in forma narrativa, come la Storia del genere umano e La scommessa di Prometeo (specie di racconto filosofico alla Voltaire). Altre infine sono prose liriche (L’elogio degli uccelli, Il cantico del gallo silvestre), raccolte di aforismi (Detti memorabili di Filippo Ottonieri) e discorsi che si rifanno alla trattatistica classica (Il Parini, ovvero della gloria).
Le Operette riflettono stati d’animo e atteggiamenti sentimentali e mentali diversi, anche perché in esse si accavallano due posizioni diverse del Leopardi di fronte alla vita: pessimismo storico e pessimismo cosmico. Leopardi, scolaro del Settecento sensista, aveva posto, come fine dell’uomo, il piacere raggiungibile nello stato di natura, perduto poi per colpa di un processo storico falsato e distorto. Ma, più avanti nel tempo, avvertì che se fine dell’uomo è il piacere, e questo gli è negato, vi è un contrasto tragico tra ciò a cui l’uomo aspira e ciò che può raggiungere, e si convinse che un essere che non può raggiungere il fine per cui è stato creato, è “naturalmente” cioè necessariamente infelice. Partendo dalle tesi sensistiche e illuministiche, il Leopardi, travolto dalla delusione storica del suo tempo, approdò ad un pessimismo più vasto e più profondo che coinvolgeva nella condanna, non più l’uomo e la sua storia, ma la stessa natura. Era questa una conclusione logica: infatti, l’ottimismo illuministico doveva sfociare, per forza di cose, o nell’avvento di un’età effettivamente migliore o in un pessimismo radicale.
Rousseau non abbandonò mai la sua fede nella natura benigna, e pensò sempre di poter ricondurre l’uomo alla felicità; Leopardi, invece, per la logica intrinseca del suo pensiero, distrusse il mito della Natura benigna per sostituirlo con la sfingea Natura, ostile alle creature da essa stessa generate ed indifferente ai loro patimenti. Così viene descritta nel Dialogo della Natura e di un Islandese: «una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto… di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi…». L’uomo, figlio di una Natura matrigna, destinato alla sofferenza e alla morte, non ha che un solo modo per affermare la sua dignità: guardare in faccia serenamente la realtà e il proprio destino, non aggrapparsi a illusioni, riconoscere la propria miseria, e in questo riconoscimento, trovare una ragione di vita. Perciò, ogni volta che Leopardi pensa al dolore dell’uomo, alla vanità delle illusioni e delle speranze, un senso di pietà lo commuove ed egli piange il triste destino suo e degli altri. Ma se l’uomo è incapace di guardare in faccia la realtà e si culla in vane illusioni, il Leopardi si sforza, anche con spietatezza e ironia, di “chiarirgli” quale sia il suo destino. Queste tesi e questi atteggiamenti si alternano nelle Operette con toni diversi: ora, come nel Dialogo di Atlante ed Ercole con sferzante ironia, ora come nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggero, con una cordiale persuasione della vanità delle nostre illusioni, ora come nel Cantico del gallo silvestre con tono grave, solenne, commosso, di chi enuncia verità sofferte e dolorose.
Per esprimere questa sua visione della vita, Leopardi ricorse, come si è detto, a prose satiriche e filosofiche, rifacendosi, in particolare, ai dialoghi satirici di Luciano di Samosata, di Platone e Senofonte, nonché alle prose di divulgazione filosofica e politica, ivi comprese le opere di Voltaire.
Il modello stilistico seguito da Leopardi tende ad evitare l’enfasi retorica, dando vita a prose nitide e sobrie nelle quali la negatività assoluta della concezione della vita si sviluppa ora in toni pacati, resi evidenti dal ritmo lento dell’esposizione, ora in toni polemici di acre ironia. Gli aggettivi sono quanto mai scarsi e compaiono, come gli avverbi, il più delle volte in funzione ironica — «un superbissimo mausoleo»; «disseccato perfettamente»; «una bella mummia»… — La sintassi è sciolta al massimo. Leggendo le Operette, è facile intuire come Leopardi miri a una prosa che vorrebbe essere, ad un tempo, illuministica, cioè razionale, e lirica, capace di interessare e di convincere e, nel contempo, di commuovere. E, in questo intento, riesce perfettamente.
Eloquente, più di ogni altra considerazione, è l’osservazione del primo recensore delle Operette, Giuseppe Montani, che, nell’«Antologia del Vieusseux» nel 1828, così si espresse: «Le Operette sono musica, musica altamente malinconica, le cui voci tutte si rispondono e recano all’anima la più grave delle impressioni», mettendo così in rilievo il carattere corale e lirico dell’opera.
A cura della
Redazione Virtuale