lunedì 31 dicembre 2007

Sulle cose che si vedono in cielo


Mi rifaccio vivo dopo un po' di tempo con un mio scritto di qualche anno fa, ricavato da una delle domeniche laiche che organizziamo con alcuni degli amici delle cenette e non. Carl Gustav Jung non aveva paura di pensare l'impensabile, al punto che la sua mente raziocinante sembrava arrivare all'ultima torsione, ma per mantenersi, poi, integra al fondo. E guadagnarsi un posto nelle liste nere della gestapo, accanto al maestro amato - odiato, Freud. Questo per dire anche, nel solito modo contorto, che mi va bene superare il razionalismo, come il nostro buon amico Francesco agogna nel suo ultimo post, ma a condizione di approdare a una ratio più alta e comprensiva del nostro stare al mondo. Lo scientismo è l'anima nera della scienza, ma la scienza (intesa come sapere umano, conquista di mille secoli) è tutto ciò che abbiamo. Buon anno a tutti.




Jung era rimasto scottato dalla sua esperienza col nazismo. Aveva visto qualcosa nella mente dei suoi pazienti tedeschi, a partire dal 1918, ma non aveva saputo pronosticare l’intensità della catastrofe che si preparava:

“In ciascuno dei miei pazienti tedeschi si poteva costatare un disturbo dell’inconscio collettivo. Gli archetipi che potei osservare esprimevano primitività, violenza e crudeltà. Allora nella Germania si ravvisavano soltanto segni di depressione e indizi di grande irrequietezza, ma questo non placò i miei sospetti. In un articolo […] avanzavo l’ipotesi che la “bestia bionda” si rivoltasse in preda a un sonno agitato, e che non fosse impossibile un suo brusco risveglio. La marea che stava crescendo si annunziò in forma di simboli mitologici collettivi, che esprimevano primitività e violenza, in breve: tutte le potenze delle tenebre. Quando si verifica che tali simboli facciano la loro comparsa in un gran numero di individui, senza però venire da essi compresi, capita che comncino ad attrarli insieme, quasi in virtù di una forza magnetica, ed ecco formarsi una massa. Un capo sarà presto trovato nell’individuo che mostri la minore forza di resistenza, il più ridotto senso di responsabilità e, in conseguenza della sua inferiorità, la più forte volontà di potenza. Questo scatenerà tutte le energie pronte ad esplodere e la massa seguirà con la forza irresistibile di una valanga”.

Poscritto ai saggi di storia contemporanea 1946

Nel secondo dopoguerra, nel momento più acuto del confronto militare tra i blocchi, comincia di nuovo ad avvertire segni di grande tensione e l’emergere di simboli di trasformazione, tanto da poter affermare che l’umanità si trova alla soglia di avvenimenti che corrispondono alla fine di un eone; egli intuisce mutamenti nella costellazione delle dominanti psichiche e uno smottamento secolare dei contenuti dell’inconscio collettivo[1]. Cosa sta accadendo? Jung si dice preoccupato per le sorti di quanti si lasciano sorprendere impreparati dagli eventi e poi si trovano alle prese con un mondo incomprensibile. Si tratta di un terreno infido, pieno di nebulose fantasie, ma il grande psichiatra non si spaventava certo ad avventurarsi in certe paludi.

Egli indirizza l’attenzione su certi avvenimenti significativi ed appunto

“Le notizie e le voci che ci giungono da tutti gli angoli della terra a proposito di corpi rotondi che attraversano la nostra troposfera ed atmosfera chiamati saucers, teller, soucoupes, disks e ufo, insomma dischi volanti”

e si sente spinto a lanciare un grido d’allarme proprio come al tempo in cui si preannunciavano gli avvenimenti destinati a colpire l’Europa fin nelle sue fondamenta, fino a mettere in gioco la sua reputazione, duramente conquistata. Il compito è impari, avverte, e il fallimento sicuro.

Cosa dicono i rapporti ufficiali e semiufficiali sugli ufo? Che si vede qualcosa, ma non si sa che cosa. È quasi impossibile farsi un’idea precisa di questi oggetti, perché essi non si comportano come corpi, ma sfuggono alle leggi di gravitazione come il pensiero. A parte le osservazioni di testimoni qualificati, qualche fotografia e qualche eco radar, non esiste una prova indiscutibile dell’esistenza fisica degli ufo. Esistono casi accertati in cui l’osservazione visuale fu confermata da una contemporanea eco radar, ma evenienze simili sono rare. L’incertezza è rimasta e quanto più a lungo durava, tanto più grande diventava la probabilità che il fenomeno possedesse, accanto a un possibile fondamento fisico anche una componente psichica di considerevole importanza. Un evento così oscuro, contraddittorio, singolare e tuttavia frequente, non può che stimolare la fantasia conscia e quella inconscia. La prima genera ipotesi speculative e racconti fantascientifici; la seconda fornisce lo sfondo mitologico di questi accadimenti.

La situazione nata da questo incrocio tra eventi psicologici e (pseudo?)-eventi fisici era tale che spesso non si sapeva o non si poteva distinguere, neppure con la più grande buona volontà se fosse una percezione primaria a provocare tale visione o se, al contrario, una fantasia primaria generata dall’inconscio assalisse d’improvviso la coscienza con illusioni e visioni. Il materiale a disposizione secondo Jung autorizza entrambe le interpretazioni.

In certi casi si tratta di un processo obiettivamente reale cioè fisico (ma sconosciuto) che costituisce il terreno su cui si genera un mito concomitante, nell’altro caso è un archetipo (un contenuto dell’inconscio collettivo) a provocare una determinata visione. A questo dualismo Jung aggiunge un terzo elemento: la possibilità di una coincidenza sincronica tra un evento fisico e un fatto mentale, ma questo è, forse, un altro discorso.

L’interesse di Jung è rivolto principalmente, come possiamo attenderci, all’aspetto psicologico del fenomeno; egli intende considerare, almeno in prima battuta, ciò che si racconta degli ufo come una semplice voce, una diceria dal valore aneddotico, dal cui contesto psichico trarre delle conclusioni.

Come si presentano i rapporti sugli ufo alla nostra mente di scettici? Come un racconto ripetuto nei più diversi punti della terra, che si distingue dalle dicerie abituali per il fatto che si esprime in visioni, o ne trae alimento per affabulare. Jung parla appunto di voce visionaria..

Queste voci sono molto affini alle visioni collettive storiche, e si possono ricordare quelle dei crociati all’assedio di Gerusalemme, dei combattenti di Mons durante la I guerra mondiale, della moltitudine dei credenti a Fatima. A prescindere dalle voci collettive si danno casi in cui una o più persone vedono qualcosa che non esiste nella realtà fisica. Jung mette in guardia dagli illusi: statisticamente è vero che bastano due persone a comprovare un evento, ma ciò può essere inesatto nel caso particolare. Si possono percepire cose inesistenti, anche se questo è un fatto che non sappiamo spiegarci. E di regola non si vanno a verificare “cose viste con i propri occhi”, mentre in casi eccezionali come quelli che riguardano gli ufo le cautele non sono mai troppe..

Storicamente il fenomeno Ufo nasce durante la II guerra mondiale in seguito all’osservazione in Svezia di certi misteriosi proiettili (attribuiti ai russi) e soprattutto per i rapporti degli aviatori alleati sui Foo Fighters, e cioè certe sfere luminose che sembravano in qualche modo accompagnare i loro bombardieri nelle incursioni sulla Germania. Nei primi anni del dopoguerra seguirono una serie di avventurose osservazioni di dischi volanti sugli Stati Uniti (spesso ad opera di piloti militari e civili) e poi in tutto il mondo.

Quasi subito, per l’impossibilità di attribuire loro una plausibile origine terrestre, anche per le loro proprietà fisiche (velocità, accelerazione, cambiamenti di rotta ‘impossibili etc.), fece nascere rapidamente l’ipotesi di una origine extraterrestre. E si deve ricordare l’importante precedente della trasmissione radiofonica di Orson Welles a New York (1938) sull’invasione dei marziani, che fu presa sul serio da molti ascoltatori e provocò grande panico. Il radiodramma probabilmente centrava l’emozione latente della guerra prossima a scoppiare.

Il motivo dell’invasione extraterrestre entra dunque subito a far parte del corredo delle voci; la pretesa curiosità dei dischi volanti per le installazioni militari suscita un qualche riconoscimento ufficiale del fenomeno, che presto però cadrà nel silenzio. Il profilo che l’accumularsi delle voci delinea è di sorprendente stranezza: la loro traiettoria descrive angoli possibili soltanto ad un oggetto non sottoposto alla gravità terrestre, ma il loro volo è anche simile a quello di un insetto che si ferma su qualche oggetto che gli interessa, oppure gli gira intorno come spinto dalla curiosità, per ripartire di colpo come una freccia e scoprire nuovi oggetti procedendo a zig-zag. Il loro interesse per il mondo industriale o militare non è affatto esclusivo, dato che sono stati osservati anche su zone per lo più deserte come il Sahara, l’Antartide o l’Himalaya. Non si sa cosa cerchino o cosa di preciso vogliano osservare. A volte sembra che arrivino a un diametro di 500 metri, altre volte sono piccoli come un lampione elettrico. Esistono ampie navi madre da cui sgusciano fuori o in cui cercano riparo piccoli ufo. A volte hanno un equipaggio, altre no e sembrano comandati a distanza.. Secondo le voci i loro abitatori sono nani alti circa tre piedi e di struttura simile a quella umana, oppure, al contrario, del tutto diversi, giganti di 15 piedi, anzi: di statura media. Non c’è accordo sui colori, ça va sans dire. Sembrano innocui, tutto sommato, e ciò nonostante dotati con evidenza di armi terribili. I loro tentativi di contatto non si rivolgono mai alle persone ‘giuste’ o alle autorità, ma piuttosto al primo che passa, meglio se illetterato, semplice, inconsapevole. Ovviamente, per completare il quadro, non mancano notizie di rapimenti di esseri umani da parte degli alieni.

Naturalmente, conclude il Nostro, di fronte a una tale cumulo di strampalate contraddizioni, ogni individuo che si vanti di possedere un po’ di buonsenso sente di subire un violento affronto. A questo punto si potrebbe anche condividere il ragionevole giudizio della maggioranza degli esperti e concepire le varie migliaia di resoconti sugli ufo come voci di visionari. Di obiettivo resterebbe una raccolta impressionante di osservazioni e di deduzioni sbagliate, in cui vengono proiettate premesse psichiche collettive.

Ma, se di proiezione psicologica si tratta, ne deve esistere anche una causa psichica, perché non si può ammettere che una psicosi collettiva di questa portata costituisca un fatto di nessuna importanza e puramente casuale. Evidentemente esiste un fondo emozionale ovunque presente: alla base di questo tipo di voci c’è una tensione affettiva motivata da una situazione d’emergenza, cioè da un pericolo collettivo o da un bisogno psichico vitale. Per esempio la pressione minacciosa del pericolo atomico.

Certe cose avvengono quando l’individuo è dissociato psichicamente, quando cioè sopravviene una scissione tra l’atteggiamento diciamo diurno della coscienza e i contenuti dell’inconscio ad esso contrapposti. I contenuti estranei non possono essere integrati direttamente e allora si esprimono indirettamente, anche con visioni inattese e apparentemente inspiegabili. Anticamente eventi naturali inconsueti come meteore, comete, piogge di sangue, la nascita di un vitello con due teste, venivano interpretati come avvenimenti minacciosi, altri come positivi (gli antichi latini distinguevano appunto tra prodigia – negativi- e portenta – positivi) segni della collera o del favore degli dei. Si cercano, e si notano, segni nei cieli.

La capitale questione posta da Jung è che i processi associativi di molti individui possono presentare un parallelismo spaziale e temporale, creando un evento psichico globale. Ciò starebbe a significare che la stessa causa collettiva produce effetti psichici identici o perlomeno molto simili. E una conferma sarebbe data dal fatto che le interpretazioni o le immagini visionarie accadono anche agli individui meno propensi a prestarvi fede. Sarà un caso, ma si parla molto spesso, rispetto al fenomeno di cui ci occupiamo, di “testimoni insospettabili” per la loro freddezza di giudizio, per senso critico o mancanza di fantasia. L’inconscio si fa largo comunque, a qualsiasi costo: se è il caso, fa ricorso a misure drastiche.

Il mezzo più efficace a cui l’inconscio ricorre è la proiezione: l’estroflessione di un oggetto in cui compare ciò che prima costituiva il segreto dell’inconscio. La fantasia oltrepassa le potenze terrene e approda in cielo. E allora avviene che cominciano a porsi questioni di principio anche persone che non avevano mai pensato alla religione. Questo processo si osserva ovunque: nelle malattie mentali, nelle manie di persecuzione e nelle allucinazioni, e naturalmente in dimensioni macroscopiche nella propaganda politica . I contenuti collettivi eleggono dei portatori di proiezione di tipo corrispondente, come framassoni, gesuiti, ebrei, capitalisti, bolscevichi, imperialisti etc. In una situazione minacciosa come quella odierna la fantasia approda direttamente nello spazio cosmico. E non è difficile capire il perché: il nostro mondo è scisso, intimamente in crisi, e non si vede da dove potrebbe arrivare una decisione e un aiuto. Non è strano allora che anche chi nella vita diurna non si pone alcun interrogativo venga visitato da visioni, cioè da un mito diffuso, accettato da alcuni, e respinto da altri come una cosa ridicola.

Mentre nei secoli passati gli oggetti visti nei cieli erano un miracolo tra gli altri in un mondo di portenti, le voci di massa diffuse universalmente sembrano riservate all’epoca presente illuminata e razionalista. Ma questo si verifica in un orizzonte storiografico, nota Jung, sempre più segnato da fattori psicologici e psicopatologici.

Tornando alle voci visionarie, ciò che di regola viene osservato è un corpo d’apparenza spesso incandescente, che irraggia fiamme di diversi colori, rotondo, a forma di disco o sfera, o più raramente di forma affusolata o cilindrica. Questi corpi rotondi sono figure simili a quelle che l’inconscio porta alla luce nei sogni: sono simboli che raffigurano in forma visibile un pensiero non pensato. Essi vanno interpretati. Balza agli occhi l’analogia di questi corpi rotondi col Mandala (il termine sanscrito per Cerchio). Esso è un simbolo della Totalità sempre esistito, e che riaffiora continuamente, anche senza trasmissione esteriore, dalla preistoria ad oggi: è il cerchio che limita e custodisce, è il cerchio solare preistorico, è il cerchio magico, è il microcosmo degli alchimisti, è il simbolo moderno della totalità psichica.

E qui Jung cita il sogno di una sedicenne: l’autrice si trova all’ingresso di un grande edificio sconosciuto. Sulla soglia l’attende una fata che la conduce all’interno, dove c’è un lungo colonnato, ed esattamente in una specie di spazio centrale verso cui confluiscono da tutte le parti colonnati simili. La fata avanza verso il centro e si tramuta in un’alta fiamma. Tre serpenti strisciano come in circolo attorno al fuoco. È un classico sogno archetipale infantile che ha lo scopo manifesto di difesa dagli influssi spiacevoli di un ambiente familiare turbato e di conservare l’equilibrio interiore. Il Mandala protegge una totalità psichica, la difende da forze esterne, tende a unificare opposti interni ed è anche un esplicito simbolo di individuazione: esso rappresenta l’anima in forma sferica.

Si potrebbe quindi interpretare gli ufo come anime, le nostre stesse anime che vengono a visitarci, nella forma di un ‘rotundum’ che esprime la totalità dell’individuo ( il sé come unione di coscienza e inconscio). Questi archetipi riaffiorano costantemente in individui che nulla sanno delle tradizioni ermetiche.

Ma il circolo rappresenta anche l’immagine divina: “Dio è il circolo il cui centro è ovunque e la cui circonferenza è da nessuna parte”: l’Uno-Tutto, ancora un Rotondo compiuto e perfetto; nella tradizione epifanie di questo genere sono spesso associate al fuoco e alla luce. Se ci poniamo dal punto di vista del mondo antico, diventa facile intendere gli ufo come ‘divinità’. La rotondità unifica i contrari e compensa la dissociazione caratteristica del nostro tempo. Oggi come non mai la situazione mondiale è adatta ad evocare l’attesa di una soluzione soprannaturale che però non osa mostrarsi chiaramente, notava Jung in quei tempi bui. (Mentre nel nostro tempo torniamo tranquillamente a parlare di guerre sante e infinite…quanta strada abbiamo fatto). Il recupero del cristianesimo che si tenta infatti non arriva alla fede nell’aldilà o nella fine del mondo, non lascia spazio a interventi metafisici propriamente detti.

Invece l’uomo moderno accetta senza difficoltà ciò che presenta un’apparenza tecnica.

E poi la fisica nucleare ha indotto nella mente dei profani un’insicurezza di giudizio che supera di molto quella dei fisici e permette di considerare possibili cose prima dichiarate impossibili, come i viaggi interstellari. È sintomatico che l’archetipo assuma oggi una forma concreta, addirittura tecnica, per evitare l’indecenza di una personificazione mitologica. L’idea impopolare di un intervento metafisico diventa accettabile sotto forma di viaggio nello spazio.

Il discorso pare a questo punto compiuto e accettabile: la decostruzione di un mito moderno sulla base della psicologia del profondo e della teoria degli archetipi. Jung potrebbe fermarsi qui, ma da studioso attento alla forza cogente dell’evidenza empirica ci ricorda che i fatti scomodi non si possono ignorare: la natura apparentemente fisica degli ufo pone enigmi alle menti migliori. Il mito non perde la sua consistenza per il fatto di essere generato da un fenomeno fisico sconosciuto.

Ci si potrebbe accontentare della spiegazione psicologica dei dischi volanti e del fatto indiscutibile che la fantasia e persino la menzogna hanno una parte decisiva nella formazione delle voci, e sbarazzarsi della faccenda. Vi sono purtroppo delle buone ragioni per non potere liquidare la questione con tanta semplicità.

Infatti la sola alternativa è questa: o esistono proiezioni psichiche che rimandano un’eco radar, o viceversa è stata l’apparizione di corpi reali a fornire lo spunto a proiezioni mitologiche.

Del disco volante sappiamo soltanto che possiede una superficie che è vista dall’occhio e rimanda un’eco radar. Non sappiamo per il resto di cosa si tratta. I movimenti di questi oggetti tradiscono peraltro la presenza di una libera volontà e di una reattività psichica. Il loro volo è erratico come quello degli insetti, la velocità variabile, le accelerazioni e le virate tali che nessun essere umano potrebbe sopportarle. Se queste ‘cose’ sono in qualche modo ‘reali’- e a giudizio umano non pare più possibile nutrire dubbi a proposito – non ci resta che la scelta tra accettare l’idea di oggetti sottratti alla forza di gravità e dunque a tutte le leggi fisiche conosciute, o riconoscere la natura psichica del fenomeno.

La spiegazione fisica al momento in cui Jung scrive non aveva fatto un passo avanti da dieci anni, e non ne avrebbe fatti nei quaranta successivi, anche se l’aspetto fisico mantiene un’importanza fondamentale. D’altra parte, la prospettiva opposta, che si tratti di qualcosa di psichico dotato di certe proprietà fisiche sembra ancora più improbabile, perché da dove mai potrebbe venire una cosa simile? Se non da un mondo in cui l’essere si fonderebbe su un sostrato finora sconosciuto, che possiede natura materiale e al tempo stesso psichica. E poiché questo mondo ignoto sarebbe poi il nostro, non avremmo forse a che fare, attraverso questo strano ‘gioco’, con una metafora del cosmo?

Qualcosa di psichico materializzato. Un’assurdità? La parapsicologia conosce certo la circostanza della materializzazione; il fenomeno è però legato alla presenza di medium che devono emanare sostanza ponderabile e possono farlo solo nelle loro immediate vicinanze.

Che qualcosa di psichico in possesso di proprietà materiali, provvisto di grande carica energetica, possa apparire percepibile, lontano da ogni medium umano, nello spazio aereo, è qualcosa che oltrepassa la nostra comprensione.

E qui conviene arrestarsi


[1] Ein moderner Mythus. Von Dingen, die am Himmel Geschen werde, Rascher, Zurich, 1958. Trad. Italiana: Su cose che si vedono in cielo, Bompiani, Milano, 1960. Oggi in: Opere di C.G. Jung, vol. 10/2, Bollati-Boringhieri, Torino, 1986-1998.

lunedì 24 dicembre 2007

Babbo Natale , filosofo doc , dispensatore di ottimismo


Era una fredda notte d'inverno, fra gli anni 243 e 366 dopo Cristo, quando nell'antica Roma imperiale, amici e parenti si scambiarono le prime "stranae" per festeggiare il "dies natalis". Agli auguri di buona salute, si accompagnarono presto ricchi cesti di frutta e dolciumi, e poi doni di ogni tipo, perché la nascita di Gesù e, insieme, l'anniversario dell'ascesa al trono dell'Imperatore, divenissero il simbolo di una prosperità che avrebbe dovuto protrarsi per l'intero anno.
Passarono i secoli ed un bel giorno del 1800, il rito trovò la sua personificazione in un forte vecchio rubicondo dalla barba bianca, residente al Polo Nord dove, secondo la tradizione, aiutato da numerosi gnomi costruirebbe dei giocattoli da distribuire come doni durante la notte di Natale, con l'ausilio di una slitta trainata da renne volanti e passando attraverso i camini delle case. Forse che Babbo Natale non sia la personificazione di una filosofia spicciola che augura prosperità e benessere per tutti ? Ben vengano ed auguri per tutti i filosofi.

giovedì 20 dicembre 2007

Del colloquiare con altre intelligenze


Che non siamo soli nell’universo lo sospettiamo o lo sogniamo tutti. Ma pochissimi si sentono di poterlo affermare con certezza. Di solito coloro che si azzardano sono presi per scemi, visionari, mitomani o, nel caso di persone accreditate, come studiosi esibizionisti e privi di scrupoli. Io sono tra questi elementi un po' strani: ci sono arrivato "casualmente" dopo aver oltrepassato lunghi anni di razionalismo estremo, vissuti nel mondo della ricerca scientifica.
Mi sembra poco utile in questo periodo storico parlare ancora di cose come l’Area 51, degli avvistamenti di UFO, degli attualissimi cerchi nel grano, e di tutti quei fenomeni noti e meno noti che hanno fatto parte di una “moda” che ha affascinato milioni di persone tra gli anni ’50 ed i ’70. Non sto nemmeno a spiegare il perché di questa inutilità, visto che (forse) ci comprendiamo.
Ciò che possiamo dimostrare a noi stessi dipende molto dalla personale voglia di ricercare, e dalla costanza con cui siamo in grado di compiere determinati esperimenti.
Una possibilità, oggi molto più “aperta e sicura” rispetto a 30 anni fa, è costituita dalle tecniche che fanno parte del campo della cosiddetta medianità. Quei “segreti” che fino a tempi recentissimi erano appannaggio di ristretti gruppi che praticavano le cosiddette sedute spiritiche, termine alquanto fuorviante, e che oggi hanno lasciato il posto ad esperimenti molto più “dinamici e solari”, ma anche più “elevati ed eleganti”. L’uscire dall'oscurantismo, ma anche dal fenomeno da baraccone, per me si chiama evoluzione. Questa “apertura” è stata messa in atto da poche persone, per così dire facenti parte di un illuminismo molto moderno, le quali hanno avuto il coraggio di aprire al mondo la straordinarietà che ciascuno ha dentro.
Stiamo parlando infatti di possibilità dell’essere umano di essere “antenna e ricetrasmittente” insieme, e di poter accedere via via alla possibilità di dialogare con altre intelligenze, senza usare complicate e fantascientifiche strumentazioni. Con risultati fisicamente constatabili. Attraverso questi esperimenti, da condurre sempre in gruppo, è possibile contattare altre forme di coscienza che si trovano probabilmente in dimensioni parallele alla nostra o incarnate in altri punti dello spazio-tempo molto distanti da noi. Per poter accedere a queste possibilità colloquiali, bisogna innanzitutto crederci. Ma si fa presto a superare questo primo gradino, allorquando si cominciano a vedere i primi risultati.
Il discorso è lungo, ma prima di scendere eventualmente in alcuni particolari più tecnici, vorrei avere un riscontro da voi, per capire se un argomento del genere interessa su queste pagine. Secondo me sì, perché può aiutarci a capire come siamo fatti e dove ci troviamo oltrepassando, di un tantino in più, le pure congetture e gli aspetti speculativi.
Ovvio che tutto ciò che arriva come informazione medianica deve essere vagliato e il più possibile verificato: non vi sono certezze assolute, proprio come accade navigando su internet. Però è molto, ma molto, ma molto interessante. E, seguendo poche semplici regole, si eliminano i rischi connaturati a tale tipo di ricerca. A me non è mai successo nulla: io sono ancora perfettamente sano di corpo e anche di mente (credo)…

Vi auguro buone feste, inviandovi un pensiero affettuoso e luminoso per questo nuovo anno che si appresta alle porte !

mercoledì 12 dicembre 2007

La Libertà e la pancia vuota

Ieri sera la interessante discussione su Isaia Berlin ha finito per riguardare alla grande il tema della libertà. Inevitabilmente qualcuno , anzi più di uno , ha parlato dei sistemi politici e della libertà, in particolare della libertà che forse c'è , forse non c'è, in Occidente . Certamente il modello occidentale di libertà fa discutere. Secondo Pietro è addirittura preferibile una chiara dittatura ad un sistema politico democratico per modo di dire, che orienti in modo nascosto e subdolo le coscienze. Almeno nel caso della dittatura, sembra dire Pietro , è chiaro che non c'è libertà e si può reagire.
Tale parere ( se si è ben capito ) non ha trovato molti d'accordo , anche se , devo dire dopo una riflessione postuma , che è pur vero che nei paesi occidentali la libertà è spesso fittizia. In particolare a me sembra che la libertà sia come una parola vuota. Sopratutto è sganciata dal tema dei diritti e delle opportunità. Negli Stati Uniti (paese che si pregia di essere liberissimo) , ad esempio , non c'è ,come è noto, assistenza sanitaria paritaria per tutti. Si paga a caro prezzo la salute , e non tutti se lo possono permettere. Però si è "liberi " e "liberi" di farsi seguire da chi si vuole e come si vuole. Ma senza risorse ciò non è possibile . Quindi si è liberi di star male , dico io , se si è non ambienti.
Così pure per il lavoro. Nel meridione d'Italia si è liberi , ma senza lavoro liberi di fare che? Una libertà senza diritto al lavoro è fragilissima, e può essere facilmente piegata dal primo offerente con una buona offerta mercenaria . Si pensi al voto di scambio . Chi ha la pancia vuota non se ne fa nulla della libertà di voto ( o meglio deve possedere una forta spinta ideale per non rinunciarvi) e può preferire ( come è successo e succede ) di accettare una qualunque forma di regalia ( nel passato democratico cristiano del nostro paese bastava un po di pasta ) pur di riempire la pancia in cambio della libertà. E' tristissimo , ma il voto clientelare, diffusissimo dalle parti nostre , si basa sulle pancie vuote e sul concetto fittizio di libertà. Quindi ieri sera avremmo dovuto parlare della libertà insieme al concetto basilare di "pancia vuota" , cosa che non si è fatto.
Per concludere può dirsi filosoficamente che chi ha la pancia piena non capisce in genere chi ha la pancia vuota: il primo è disposto a lottare (specie dopo pranzo) eroicamente in difesa della libertà e critica i cedimenti etici di chi è senza pane , il secondo (prima e dopo i pasti mancanti) trova ogni sorta di giustificazione morale per risolvere i problemi di elementare sopravvivenza anche in deroga ad i principi etici. Concludendo si può dire che il tema della libertà , trattato da solo, senza connessione con il tema della felicità o delle pari opportunità e dei diritti umani , è purtroppo un tema "vuoto ",una fantasticheria che è roba da filosofi con tutto il rispetto per i filosofi. Probabilmente per realizzare una vera libertà "politica", per tutti i cittadini ricchi e e poveri della polis ,libertà reale e vissuta, bisogna offrire occasioni di lavoro per tutti , sganciate (si badi bene ) da qualunque forma di gratitudine politica o obbligazione non dovuta e perniciosa , e basate esclusivamente sul diritto al lavoro e sulla capacità di lavoro .

giovedì 6 dicembre 2007

Dimitri, ovvero: Dai magici ritratti dell’inconscio alle Idee archetipiche

Sono sempre molto interessato, su queste pagine, allo scambio di esperienze ed esperimenti rispetto alla pura speculazione.

Lo scorso anno ho visitato a Parigi una mostra di immagini a dir poco singolare. Ne è autore un grafico ed artista francese, Dimitri, il quale ha creato una tecnica che evidenzia il potere della visualizzazione impressiva. La mostra è allestita permanentemente al Grande Arche della Defense, lo straordinario quartiere futurista della capitale.

"Pour le peintre comme pour le visiteur, c’est le signal du départ pour un voyage au coeur de sensations inconnues dans un monde sans limite et sans âge" déclare Francis Bouvier, Président du Toit de la Grande Arche.
En effet, le spectateur devient acteur privilégié de l’art en participant à l’élaboration du spectacle visuel. La peinture en rémanence est un art qui s’appuie sur la persistance rétinienne, pour permettre au cerveau de virtualiser en positif- et de reconnaître- des peintures regardées en négatif très contrasté.
Dimitri s’est inspiré de célébrités : Julia Roberts, Georges Clooney, Marilyn Monroe…

Le immagini esposte ritraggono personaggi famosi per lo più contemporanei i quali, attraverso un processo di iconizzazione grafica digitale, vengono resi assolutamente irriconoscibili a prima vista, cioè al processo di identificazione conscio. Va notato che l’autore ha scelto proprio dei personaggi-simbolo, e che questa scelta non è casuale, perché amplifica l’effetto del richiamo iconografico-simbolico.
L’unico modo che consente di riconoscere facilmente i personaggi non è quello visivo diretto, ma quello impressivo. Si deve fissare l’immagine per almeno 3 - 5 minuti di orologio (che sono lunghi da trascorrere, per il nostro comune senso della pazienza!). Questo processo di fissazione prolungata e concentrata, permette all’immagine di imprimersi nella retina; allorché si deve chiudere gli occhi ed attendere altri 10-15 secondi. Allora si forma “dentro” l’osservatore un’immagine molto chiara, che rivela immediatamente l’identità del soggetto ritratto.



Vi assicuro che l’effetto-sorpresa è strabiliante, ed il semplice raccontarlo, al confronto, non rende affatto lo stupore di “vedere” con chiarezza qualcosa “attraverso la mente”.

Dopo essermi divertito un po’ a saltellare da Humphrey Bogart a Bob Marley a Marilyn Monroe, (che riconoscevo solo nel momento in cui chiudevo gli occhi...!) mi sono fermato a riflettere su quanto, certi nostri meccanismi di funzionamento, lavorino attraverso parti inconsce in senso davvero molto esteso. Quasi certamente, le immagini dei cartelloni pubblicitari, oltre al ben noto meccanismo del “subliminale da rapidità”, nascondono una serie di altri messaggi, che vengono sparati nell’inconscio degli osservatori attraverso questo genere di trucchi, appositamente predisposti per “pilotare” ed incrementare le nostre scelte consumistiche. Ovvio che i risultati possono essere constatati in termini di influenza su un campione di popolazione, e non sono certo dei meccanismi ai quali tutti sono costretti ad obbedire come robot. Però hanno effetto sulle masse.

Al di là dell’uso scorretto e sconsiderato della Conoscenza che l’Uomo ha di sé stesso, mi intriga pensare che una gran parte di noi si muove, riconosce, decide ed agisce al di là del vaglio razionale, cui tanto siamo affezionati anche quando ci dilettiamo a filosofare sul perché e sul percome dell’esistenza. Diciamo sempre …”io penso, io ritengo, io valuto…” Ma io chi?

E’ straordinario rendersi conto di come il riconoscimento di qualcuno o di qualcosa non avviene attraverso l’immagine che il bulbo oculare trasmette “in diretta” al cervello, ma soprattutto attraverso una serie di elaborazioni successive alla pura osservazione, le quali fanno parte di un complesso processo cognitivo in gran parte inconscio..

Ma cosa succede se vediamo un volto, o un oggetto, od una qualsiasi altra cosa che ci sembra di non aver mai visto prima? Magari, senza rendercene conto subito, potrebbe darsi che in verità la stiamo comunque riconoscendo…
E se si tratta di un qualcosa che effettivamente non abbiamo mai incontrato prima, quale sarà l’immagine inconscia che verrà proiettata dentro di noi, e come verrà processata?

Vi è mai successo di scoprire che una certa cosa la sapevate fare, senza averla mai vista e fatta prima? E che la vostra sensazione fosse proprio quella di un "vago ricordo"? Finora non è mai stato dimostrato che la coscienza umana possa attingere direttamente ad eventuali memorie ontologiche condensate nel DNA dei propri geni. Pertanto restano difficili da spiegare alcune particolari esperienze individuali, ad esempio come quella di un bimbo di tre anni che sa suonare un violino alla meraviglia, senza che nessun professore di musica glielo abbia insegnato.

Un’altra domanda interessante, che discende dalle precedenti considerazioni e le travalica, potrebbe essere: “…Questo tipo di memoria inconscia, risiede davvero nel nostro corpo fisico individuale? Cosa impedisce che il nostro Essere possa collegarsi ad un serbatoio di conoscenza più ampio ed esterno, senza averne coscienza istantanea?”
Di fatto questo processo è pari a quello che esercitiamo consapevolmente quando ci colleghiamo ad internet…Se ci penso bene, l’intera memoria di Internet, che ormai comprende e sintetizza le informazioni di quasi tutta l’umanità, potrebbe essere concentrata in pochi grammi di materia, e con modeste pretese energetiche per essere tenuta in vita per molti millenni, ben oltre la vita degli stessi creatori.

ὰρχέτῦπος
I miti, ed alcune strampalate idee filosofiche di un lontano passato poi riprese dalle ben più recenti tesi psicologiche junghiane, presuppongono che l’uomo abbia in sé degli archetipi che, come idee platoniche primeve, sono impresse nel profondo della sua coscienza; queste idee possono anche essere espresse attraverso simboli archetipici. Ma se noi studiamo oggi Filone, Dionigi o Platone, li critichiamo (perdonate l’efficace strafalcione filosofico) attraverso la nostra “ragion pura”, e siamo portati a pensare che quella del “mondo delle idee” e degli archetipi sia una proiezione mitica, per noi fantastica, coerente con lo stile iconografico secondo cui l’attuale mondo occidentale classifica quello della Grecia classica. Quella stessa nostra razionalità che si inceppa quando tenta di spiegare, ad esempio, il ritrovamento del “Meccanismo di Antikitera”, il quale rivela che nell’antichità classica vi erano perfette conoscenze scientifiche, tecniche e matematiche, di fatto soltanto “riscoperte” nel tardo ‘500…


Di pari passo, qualcun altro che ha studiando i grafi di tutte le espressioni primordiali dell’umanità (per lo più da arte rupestre) si è accorto che esistono una trentina simboli base che le accomunano tutte quante, indipendentemente dall'area geografica in cui sono stati ritrovate.
Sarebbe interessante fissare attentamente, meditare e magari “ricordare” questi simboli, provare l’effetto che producono dentro di noi, al di là della coscienza razionale a cui non dicono nulla. Ma questo fa eventualmente parte della sperimentazione volontaria, non della speculazione.

Alcuni miti raccontano che l’uomo abbia perso il possesso di un linguaggio universalmente conosciuto, e che inoltre sia stato privato del possesso e del controllo di idee archetipiche, poiché un suo grande avversario, approfittando del fatto che l’Uomo "dormiva", gliele ha sottratte, o meglio, occultate….Nella Bibbia questo antagonista è indicato come dio, e risulta evidente dai medesimi racconti che questo dio non sia poi tanto amico delle sue creature. Magari quella del dio è solo un’interpretazione successiva di un ben più antico monito, inviato ad una residua parte della razza umana eventualmente in grado di afferrare il messaggio.

Se ci guardiamo intorno, la storiella del linguaggio universale e degli archetipi sottratti risponderebbe perfettamente alla grande stupidità e cecità che oggi imperversa nel mondo, ancor più in quello del progresso tecnologico rapido ed incontrollato: il mondo di quella sapienza razionale, fredda e calcolatrice, che ha fatto in modo che il piccolo creatore si sentisse solo nell’universo.

sabato 1 dicembre 2007

Da Maria Ales

Nel corso delll'ultima cena avevo organizzato una risposta all'interrogativo di Pietro sul pensiero di I. Berlin intorno alla svalutazione dell'incontro del pensiero con il sommerso - l’ inconscio, come lo chiama il suo inventore S. Freud - ma sono stata battuta sul filo di lana da un irresistibile intervento. Anche se continuo a pensare che il confronto abbia senso nell’ immediato e nella diretta, ripiego sulla differita ricorrendo al blog.
La perplessità di Pietro mi trova d’ accordo. Il mio non esser psicoanalista poi mi permette di non usare un linguaggio specifico ma di spaziare in altre semantiche interpretative per es. quella della pragmatica della comunicazione umana dove l’ aspetto analogico del messaggio che solitamente non viene attenzionato, dunque resta al di fuori del pensiero consapevole che usa invece la parola e la scrittura, è spesso veicolato nel sintomo della patologia. Il livello del non detto ma sempre presente in ogni interazione, da senso alla relazione e la qualifica, permette cioè di riconoscere nella comunicazione l'autenticità o no con tutte le forme distorte che vanno dal pensiero entro i limiti al pensiero oltre i limiti della norma. Sto dicendo che ridurre l'espressione comunicativa dell’uomo esclusivamente al pensiero logico priverebbe la mente della parte che è il fornello alimentatore o la cartina di tornasole capaci di testare la sostanza e la autenticità del messaggio, dunque della relazione.
Tornando al grande S. Freud, ci voleva proprio Alberto questa sera: mi sento di dire che una conto è parlare dell’inconscio individuale e un conto è riferirsi alle masse, a quel corpo di un gruppo - folla, dove le dinamiche hanno leggi differenti. Freud ne ha fatto uno studio, credo alla fine della sua maturità culturale e professionale.
Ma tornando all’ individuo penso che il processo evolutivo che parte dalla nascita e va avanti tutta la vita, se non si inceppa, sia costituito di progressive conquiste conoscitive di aspetti anche non razionali del proprio se e di integrazioni sempre più allargate, familiari, sociali, culturali plurimi, dove il soggetto, l’ io pensante, attinge ad energie anche inconsapevoli senza le quali è un io di carta, parafrasando Andreoli
In conclusione non posso fare a meno di professare la mia ammirazione per la lezione di Gianni Rigamonti Fioravanti sul pensiero liberale, difficile ma porta con grande senso di saggezza; dovrei studiare e non ho il tempo per ora.
Ciao Maria Ales

DEFINIZIONE

Eleganza s.f. = pregevole sceltezza - Raffinatezza o convenienza non facilmente raggiungibile nè imitabile - Elemento o motivo di gusto o di gradevole ricercatezza.

Dizionario Devoto Oli della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 2004, pag.950

lunedì 26 novembre 2007

Una mente rocciosa


Vi propongo un articolo di Jim Holt, uscito sul New York Times il 18 novembre. Al di là del suo valore intrinseco, va ad attualizzare i temi attorno a cui ci muoviamo e ci scontriamo. Penso alla dicotomia panteismo - monoteismo creazionista delineata l'altra volta da Augusto e alle sue considerazioni sul 'carattere limitato e ontologicamente fragile del mondo' da cui discenderebbe (semplifico) che 'se tutto è sacro niente è sacro' onde il bisogno di un'alterità trascendente che riscatti il cosmo dalla sua contingenza dandogli senso e direzione. Ordine e caso: una contraddizione affascinante che ho visto all'opera nei paradossi della 'scimmia dattilografa'. Un nodo su cui tornare.

La traduzione è mia.

Mind of a Rock
Jim Holt, NYT 18-11-07

La maggior parte di noi non ha dubbi che i nostri simili siano coscienti; siamo anche abbastanza sicuri che molti animali abbiano una coscienza; alcuni, come le grandi scimmie anche l’autocoscienza, la consapevolezza di sé; altri, come cani, gatti, maiali forse mancano di un sé, ma certo sperimentano stati interiori di dolore e piacere. Di creature più piccole, come i moscerini non siamo più così sicuri; non abbiamo alcuna remora quando li uccidiamo. Per quanto riguarda le piante, ovviamente non hanno una mente, eccetto che nelle favole. E così gli oggetti non viventi, come le tavole o le rocce.

Tutto questo è semplice buon senso. Ma non sempre il buon senso è una guida affidabile alla scoperta del mondo. E la parte del mondo che è più recalcitrante alle nostre esplorazioni al momento è proprio la coscienza. Come è possibile che i processi elettrochimici nell’agglomerato di materia grigia che costituisce il nostro cervello diano luogo – o ancora più miteriosamente, siano – l’abbagliante messa in scena della coscienza, con i suoi trasporti di gioia, le sue trafitture d’angoscia, i suoi allunghi di mediocre appagamento misto a noia? E’ questa l’ultima frontiera della scienza, che assorbe le energie di una comunità mondiale di scienziati della mente, psicologi, filosofi, informatici eccetera.

Il problema della coscienza si è rivelato così impervio che alcuni di questi pensatori si sono risolti a un’ipotesi che suona disperata se non completamente folle. Forse, dicono, la mente non si limita ai cervelli di alcuni animali. Forse essa è ubiqua, presente in ogni briciolo di materia, su fino alle galassie, giù fino agli elettroni e ai neutrini, senza trascurare entità intermedie come un bicchiere d’acqua o una pianta in vaso. Per di più, essa non è venuta fuori di colpo quando certe particelle fisiche su un certo pianeta ebbero l’opportunità di acquisire la giusta configurazione; invece, vi sarebbe stata coscienza fin dall’inizio dei tempi.

La dottrina che il nocciolo del mondo sia la mente prende il nome di panpsichismo. Pochi decenni or sono, il filosofo Thomas Nagel ha dimostrato che esso è l’inevitabile conseguenza di alcune premesse che suonano molto ragionevoli. Per prima cosa, il nostro cervello consiste di particelle di materia. Secondo, queste particelle, in certi arrangiamenti, producono pensieri e sensazioni soggettive. Terzo, le proprietà fisiche da sé sole non possono spiegare la soggettività (nessuna equazione della fisica può spiegare l’ineffabile esperienza di gustare una fragola). Ora, ragiona Nagel, le proprietà di un sistema complesso come il cervello non vengono fuori dal nulla; esse devono derivare dalle proprietà dei costituenti basilari del sistema stesso. I quali devono avere essi stessi proprietà soggettive – le quali, nella giusta combinazione, contribuiscono ai nostri intimi pensieri e sensazioni. Ma gli elettroni, protoni e netroni che formano i nostri cervelli non sono differenti da quelli che formano il resto del mondo. Ne deriva che l’intero universo consiste di particelle di coscienza, per così dire.

Nagel non arrivò ad abbracciare il panpsichismo. Ma oggi il concetto sta incontrando una certa moda. Il filosofo australiano David Chalmers e il fisico di Oxford Roger Penrose hanno parlato in sua difesa. Nel suo recente libro “Consciousness and Its Place in Nature”, il filosofo britannico Galen Strawson difende il panpsichismo contro numerosi critici. Come possono, si meraviglia lo scettico, minuscoli granelli di polvere mentale (mind dust), con i loro stati psichici presumibilmente molto semplici, combinarsi e formare quella sorta di complicata esperienza propria di noi umani? Dopo tutto, se metti diverse persone nella stessa stanza, le loro menti individuali non vanno a formare una mente collettiva (o invece si?). Resta il fatto spiacevole che non si possono testare le capacità mentali della luna, per esempio (ma vale lo stesso per la gente – come si può realmente provare che il collega d’ufficio non è un robot incosciente?). Rimane l’irrimediabile stranezza dell’idea di un protone con proto-emozioni, proto-credenze e proto-desideri. A cosa potrebbe somigliare il desiderio di un protone? “forse vorrebbe diventare un quark’ chiosa il solito scettico impertinente.

Il panpsichismo resta più facile comunque da parodiare che da refutare. Anche se si rivelasse un vicolo cieco nella ricerca sulla coscienza, potrebbe per altri versi aiutarci a uscire da un certo provincialismo nel modo in cui guardiamo al cosmo. Siamo esseri biologici. Esistiamo in ragione di composti chimici che si replicano. Recepiamo informazione dal nostro ambiente, e la elaboriamo in modo che i processi auto-replicanti continuino. Come sottoprodotto di tutto ciò, abbiamo sviluppato un cervello che, con appassionata convinzione, riteniamo la cosa più complicata dell’universo. E guardiamo con sussiego la materia bruta.

Prendi la roccia qua sopra (foto di Hansel Adams). Non sembra cha si dia da fare granché, almeno a un’impressione superficiale. Ma a livello micro essa consiste di un numero inimmaginabile di atomi connessi da flessibili legami chimici, tutto in vibrazione a velocità che i nostri supercomputer si sognano. E non vibrano a casaccio. La roccia ‘vede’ l’intero universo tramite la gravitazione e i segnali elettromagnetici che riceve continuamente. Questo sistema può essere considerato un processore di informazione per utti gli usi, la cui dinamica interna rispecchia qualsiasi sequenza di stati mentali che il nostro cervello attraversa. E dove c’è informazione, dice il convinto panpsichista, c’è coscienza. Secondo lo slogan di Chalmers: “L’esperienza è informazione dall’interno; la fisica è informazione dall’esterno”.

Ma la roccia non si esperisce come risultato di tutto questo ‘pensare’. Perché dovrebbe? La sua esistenza, a differenza della nostra, non dipende dalla lotta per la sopravvivenza e la riproduzione. Essa è indifferente alla prospettiva di essere polverizzata. Se siete inclini alla poesia, potreste pensare che la roccia è un essere puramente contemplativo. E potreste trarne la morale che l’universo è, ed è sempre stato, saturo di mente, anche se noi tardivi snob replicanti darwiniani siamo troppo ottusi per capirlo.





I Pizzini di Dio


Cari amici, martedì 13 novembre abbiamo concluso il commento al libro di Augusto Cavadi "E per passione la filosofia" che ci ha dato importanti spunti di riflessione e che avrebbe meritato più tempo per svilupparli tutti.
Ad Anna Pensato il filosofo ideale descritto da Augusto in un passo del libro ha ricordato il poeta Gibran e la sua ricerca dell’equilibrio tra giudizio ed impulso all’azione, che è poi il tema del Fedro di Platone con la splendida metafora del carro in balia di due cavalli, che rappresentano la passione e la ragione.
La sig.ra Carla ha poi efficacemente fatto notare come nella nostra ricerca non siamo liberi, perché condizionati da retaggi culturali e religiosi che risalgono all’infanzia.
Il confronto si è subito acceso sul quinto capitolo del libro: "del Mondo, dunque di Dio" nel quale Augusto dà sinteticamente conto delle risposte della Filosofia al problema dell’Essere e di Dio. Augusto arriva, dopo un avvincente percorso, ad una propria prospettiva che declina in questo modo: ciò che esiste è contingente; presuppone, quindi, un essere necessario da cui derivano senso ed esistenza; questo essere necessario e trascendente è Dio.
Ma di fronte alla nostra legittima curiosità di conoscere l’identità di questo Dio, Augusto allude, accenna, mostra di sapere qualcosa ma si ferma lì: "se mi piace un film - si giustitifica - me lo godo anche se non so chi è il regista" Poi spiega: "La ragione ci dice che c’è una trascendenza, qualcosa da cui tutto ha avuto origine e che tutto sostiene. Il mio non è un atteggiamento fideistico: al contrario, ci vuole molta più fede a credere che tutto si è autocreato casualmente, che l'universo ha prodotto un essere cosciente come l’uomo senza saperlo, senza che ci sia un logos, una razionalità trascendente alla base di tutto..."
E glissando sulla domanda: "di Chi stai parlando?" , con linguaggio tra l’ispirato e l’ambiguo continua: "Beati i semplici che colgono l'essenza delle cose….. " E quali sono queste cose essenziali?" l’abbiamo incalzato, ma Augusto sembrava godere a lasciarci nell’incertezza proprio quando, grazie a lui, eravamo ad un passo dalla Verità. Taceva, come se il suo silenzio alludesse a verità ultime che stava a noi decifrare.
Alla fine, spazientito dallo stile ZEN di Augusto, Francesco Palazzo lo ha stretto al muro prima con un generico: " per me è in malafede chi conosce cose essenziali e ne tace" per passare, poi, ad un sorprendete attacco frontale:
Francesco: "Augusto, tu la sai più lunga di quanto non vuoi farci intendere, siamo stanchi di allusioni e mezze verità, vogliamo discorsi chiari, che ci aiutino a identificare il Super Capo dei Capi, l’ autore di tutte le cose: lo hai visto? Conosci il suo vero volto? "
Augusto: "Tu l’hai detto!"
Francesco:"Allora dicci chi è"
Augusto, schernendosi: "Forse di Lui posso dire solo quello che non è, come insegna la teologia negativa."
Francesco: "Quella non è teologia ma reticenza ed omertà. E’ vigliaccheria bella e buona! Chi sa deve avere il coraggio della denuncia. Ed i fiancheggiatori come te devono parlare. Dove lo hai incontrato? Era solo?"
Augusto: "Era uno e trino insieme"
Francesco: "Non fare il gioco delle tre carte con noi, dicci chi è, dove si nasconde, tanto siamo sulle sue tracce, prima o poi lo scoveremo "
Augusto (sarcastico): "non vi sarà difficile, dicono che è dappertutto!" Poi, facendosi serio: "In verità i panteisti vi depistano, quelli sono capaci di farvi credere che è anche dentro di voi Ma non è mica un virus, anche se effettivamente si attacca alle cose vive… ma voi, perché Lo cercate, cos’ha fatto di male?"
Francesco: "Ha fatto il mondo, ti pare poco? E adesso deve dirci perché"
Augusto: "Forse gli è sfuggito di mano …"
Francesco: "Non cercare di sminuire le Sue responsabilità, ha fatto tutto intenzionalmente e con premeditazione, ha mirato al mondo, ad altezza d’uomo!"
Augusto: "il tuo è solo creazionismo antropocentrico!"
Francesco: "Chiamalo come vuoi, ma solo a noi uomini di questa storia interessa qualcosa. E tu devi dirci tutto quello che sai"
Augusto: "va bene – concede - forse posso dirvi qualcosa, ma con una parabola....del resto di Lui si può parlare solo per metafore, nel linguaggio dei poeti e dei bambini. Per questo Vi racconterò una storia vera, che ho saputo da Adriana. Un bambino, ai primi giorni di scuola, aveva appena cominciato a prendere confidenza con matite, quaderni e insegnanti quando, una mattina, la direttrice entra in classe e annunzia: adesso arriva la vostra maestra. E il bimbo chiede: quale, quella a righe o quella a quadretti? Questa la storia. Ebbene: Dio è sia a righe che a quadretti"!
Fuori dallo studio io ed Anna, con la scusa che siamo suoi compari, abbiamo cercato di saperne di più, ma Augusto si è allontanato lasciandoci un sorriso enigmatico. Solo dopo ci siamo accorti che aveva perso un pizzino, in cui era scritto: " la Musica è una vibrazione in cerca di chi, dotato di un appropriato apparato auditivo collegato al cervello, sia in grado di ascoltarla e di percepirne l’armonia. Se non incontra nessuno, se tutti siamo sordi, resta solo un’inutile vibrazione persa nello spazio, che non esiste come musica. Allo stesso modo Dio, come la musica e l’armonia, non ha un’esistenza oggettiva ma solo latente, possibile. Se non siamo in grado di percepirLo con i nostri sensi spirituali, se non ci sono un incontro ed una relazione, Dio rimane in un regno incantato, in letargo, in attesa di un risveglio che non dipende da Lui. Altro che l’onnipotenza di cui cianciano i teologi, la Sua esistenza è più precaria di quella di un direttore d’orchestra CO.CO.CO alla disperata ricerca di un nuovo contratto a progetto che solo noi possiamo dargli.!"
Martedì inizieremo a commentare il brano di Isaiah Berlin: le idee politiche del ventesimo secolo. Gianni ci guiderà con un’appropriata introduzione.
Vi lascio con alcune citazioni
Pietro
- Vi benedica il Signore e Vi protegga. Sappia che, se Vi posso essere utile, con il volere di Dio sono a sua completa disposizione. (da un pizzino di Bernardo Provenzano).
- Dio creò l'uomo alla fine, quando era già stanco. Questo spiega molto. Mark Twain
- Il volto di Dio Padre potrebbe essere nient'altro che il nostro, quello di ognuno di noi (Meister Eckart)
- E Dio creò Adamo dal fango, lo creò a sua immagine e somiglianza e poi gli sputò. E Adamo disse "cominciamo bene!" Giobe Covatta

domenica 25 novembre 2007

Dove siete?

Sempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura.

E come il vento odo stormir tra queste piante, quell'infinito silenzio a questa voce vo comparando e mi sovvien l'eterno e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.
Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare..

..forse l'ha detto qualcuno..

venerdì 16 novembre 2007

Da Rosanna Provenzano


Carissimi
finalmente veniamo fuori in tutti i sensi.....
il 31 ottobre alle 21.00 è nato PIETRO (che spero sia forte di spalle e di intelletto come il nostro caro amico e che abbia la stessa vena ironica ed il meglio di noi/ voi tutti) ! Vi mando una sua foto... sperando di non disturbare il delirio filosofico che oramai alberga dentro tutti !! A proposito quando posso iscriverlo al gruppo? Occorrono certificati particolari.... tipo quelli richiesti dal pediatra? Lui è ancora nell'essere e quindi riesce a produrre soltanto vagiti filosofici!!! Ma è comunque un contributo,no?

Un abbaccio a tutti da me ed Emilio.Sperando che Pietro vi conosca al più presto!!! Almeno appena mi riprenderò del tutto!
Ancora grazie per il vostro affetto

mercoledì 14 novembre 2007

I'm still alive..


Ieri sera non ero con voi perchè sono stata alcuni giorni all'Ettore Maiorana dove avevo una relazione. Vi ho pensato con affetto e tanta stima e sono impaziente di leggere sul blog quanto verrà....

lunedì 12 novembre 2007


Due sistemi di pensiero l’un contro l’altro armati si sono confrontati l’ultimo martedì tra i partecipanti alla cenetta flosofica. Da una parte si sono schierati i relativisti secondo i quali ci sono tante verità quanti sono i punti di vista, dall’altra si sono posizionati i realisti che hanno perentoriamente sponsorizzato una realtà "oggettiva" (che, guarda caso, coinciderebbe proprio con la loro).
Ci sono stati momenti di vera tensione tra le opposte tifoserie quando il realista Augusto ha usato, a proposito della verità, la parolaccia "assoluta", con la scusa che lui la proclamerebbe con pacatezza ed umiltà: "sono aperto al dialogo ed all’ascolto- ha assicurato - e disposto anche a mettere in discussione la mia verità, quantunque sia l’unica che esiste". Di fatto, però, ha accusato noi relativisti di aprire la strada al nichilismo ed al vuoto di valori: senza criteri "oggettivi" di riferimento a cui ancorarsi – ci ha avvertito - non resterebbe che il terrorismo per risolvere i problemi di convivenza tra gli uomini!
Ma le minacce di Augusto, non hanno intimorito i relativisti che, con Marcella, hanno vivamente protestato contro la pretesa di una Verità assoluta e, quindi, non modulata a seconda dei contesti; una verità, quindi, che si pretende abbia fondamento e valore "oggettivi" a prescindere dai luoghi, dai tempi, dalle culture e dai punti di osservazione: "terroristi sarete voi realisti- ha ribattuto Marcella - che cercate di intimorire i filosofi laici al grido: se non c’è una verità oggettiva tutto è permesso!
Malauguratamente, però, con Augusto si è subito schierato Alberto secondo cui noi relativisti proveremmo fastidio per il realismo solo perché ci costringe a confrontarci con i fatti: "non si può sostenere tutto e, contemporaneamente, il contrario di tutto", ha incalzato e, sfruttando bassamente le sue conoscenze scientifiche in campo neurologico, ha spiegato che le persone sane si distinguono da quelle disturbate proprio perché sono capaci di uno sguardo oggettivo sul mondo e non confondono le loro visioni con la realtà, con ciò praticamente diagnosticando a noi relativisti disturbi di cognizione e sintomi di scollamento dalla realtà.
Solo un pacato intervento di un’altra specialista della mente, Maria Ales, ha impedito che dalle offese verbali si passasse ai fatti, ricordando come anche le persone sane vivono nella contraddizione dato che sentono in un modo e agiscono in un altro, mentre la loro comunicazione si svolge, molto spesso, tra riserve mentali e bugie, tra il dire una cosa e pensarne un’altra. La contraddizione, ha concluso acutamente Maria (sempre più simpatica), è costitutiva proprio di ciò che noi chiamiamo realtà.
Ma il saggio intervento di Maria non è bastato per placare gli animi delle due fazioni ed Augusto, sempre più spazientito, ha insistito: non parliamo a vanvera, le cose o sono o non sono; Dio, ad esempio, o c’è o non c’è " ed ha chiosato: "terzium non datur", sperando così di metterci in soggezione con l’unica frase latina che conosce. A questo punto opportunamente Giovanni La Fiura ha provato a mediare, con un’abilità degna di Veltroni: "una terza via esiste - ha spiegato - in base alla quale Dio c’è e, nello stesso tempo non c’è. E’ vero – ha proseguito - che Dio esiste ma è anche vero che non esiste: Dio siamo noi, o meglio gli uomini del futuro, quando ci evolveremo e realizzeremo tutte le nostre potenzialità". Troppo bello, abbiamo pensato i relativisti: Dio, dunque, non è un dato di fatto noioso e scontato ma appartiene ad un regno del possibile che dipende da noi realizzare. Gli uomini, insomma - o almeno i più relativisti tra di loro - possono "generare" Dio (sarà questo che intendono dire le scritture quando parlano del "Figlio" dell’Uomo?).
Ma mentre una divina euforia si diffondeva già tra noi relativisti che vedevamo finalmente riconosciuto il ruolo creativo dell’uomo, ecco che viene fuori Francesco Palazzo a sbatterci in faccia una realtà molto più prosaica, con un’argomentazione che tradisce le sue ormai note fobie nei confronti dei materiali lapidei "non potete fare discorsi così generici- ha obiettato - esistono solo cose concrete, come il muro, duro e pesantemente oggettivo, che vi si parerà davanti quando andrete via in machina da qui, e se non lo scanserete in tempo vi ci fracasserete contro in un modo per nulla relativistico ma dolorosamente reale".
Di fronte a quest’ennesima intimidazione l’incanto si è rotto definitivamente ed a nulla è valso il poetico tentativo di Donatella ("forse il mondo è una bolla di sapone; oppure noi siamo solo i personaggi di un giochino informatico…") di fronte alla scelta di campo "realistica" che, alla fine, ha fatto anche Giovanni ribattendo: "se noi siamo solo personaggi virtuali di un giochino informatico, vuol dire che ci saranno delle persone ben reali che in questo momento stanno giocando con noi…").
Così non è rimasto che decidere in modo bipartisan di rivederci martedì prossimo 13 novembre per l’ultimo commento al libro di Augusto (da leggere sino alla fine).
Vi invito, intanto, a frequentare il nostro Blog (
http://cenettefilosofiche.blogspot.com/ ) dove le discussioni tra realisti e relativisti sono proseguite anche dopo quest’ultima cena; potrete così misurare l’intolleranza dei realisti che, approfittando slealmente del fatto che la realtà, con i suoi muri da evitare, si fa spesso complice del loro gretto riduzionismo, irridono alla poetica creatività di noi relativisti (basti dire che Alberto mi chiama sarcasticamente Luca perché tanto – spiega sghignazzando - Pietro non esiste oggettivamente).
Vi lascio, come al solito, con alcune famose citazioni (la prima l’ho trovata sul nostro blog ed è stata scritta da un noto realista in un momento di lucidità)
Ciao Pietro
"Nell'evo moderno, le verità assolute e basilari dal punto di vista ontologico , sono tramontate. Da Kant in poi l'unica verità certa è quella del soggetto che crede di conoscere una realtà oggettiva , ma che in realtà non va oltre le proprie categorie conoscitive…è tramontato il concetto oggettivo di verità…"(Alberto Spatola);
"Il fenomeno non è staccato dall'osservatore ma intrecciato ed intessuto con la sua individualità" (Goethe).
" Uno solo è il percorso che può consentirmi di esplorare davvero la realtà, ed è il viaggio interiore, almeno sinchè non mi riparano l’auto". (un Guru di oggi).

Pietro, dove seì?

Insomma, da quando c'è questo blog voliamo alto. Siamo giunti sino all'anima. Tutto molto stimolante. L'unica cosa che mi preoccupa è che non vedo ancora la consueta circolare di Pietro. In genere appariva il venerdì precedente l'incontro e siamo a lunedì. Già la mia piccola parte di cervello funzionante comincia ad avvertire una crisi d'astinenza.

sabato 10 novembre 2007

Neuroscienze e filosofia

Sul numero di novembre della rivista Mente & cervello si può leggere il resoconto di un interessante dialogo tra il fisiologo Vittorio Gallese (quello dei neuroni specchio) e la filosofa Roberta De Monticelli, i quali cercano di gettare un ponte tra i saperi andando al di là dei riduzionismi scientisti e dei pregiudizi teoretici verso le scienze. Gallese si pronuncia contro «la metafisica dello “scatolino”» e cioè la ricerca dei diversi gruppi di neuroni che da soli spiegherebbero ogni cosa, dal carattere alla storia di ciascuno, dalla timidezza al senso per gli affari, dal linguaggio all’amore…una metafisica che avrebbe «viziato molta parte delle neuroscienze del Novecento e pure un filone del programma dell’intelligenza artificiale» (p. 74). I due studiosi concordano anche sulla centralità del Corpo. «Il paradigma logocentrico e cartesiano del cognitivismo classico –afferma Gallese recuperando la terminologia di Jacques Derrida- si rifiuta di vedere l’importanza della presenza corporea, della dimensione pragmatica dell’esistenza, in cui il soggetto è costitutivamente intersoggettivo. Siamo ancora in pochi a dire queste cose» (p. 74). Lo scienziato conclude osservando che «tutti fanno filosofia, anche chi fa scienza. c’è chi lo fa in modo consapevole e chi no. Nel momento in cui iniziamo a parlare di intersoggettività, empatia, emozioni, libero arbitrio, bisogna mettersi d’accordo su che senso dare a questi termini. Su queste tematiche la fenomenologia può dire cose interessanti anche per un neuroscienziato. È imprescindibile un rapporto con la filosofia, perché queste domande devono essere formulate in modo corretto per presumere di avere risposte corrette» (p. 75).

(Su Cybersofia ho scritto una recensione un po' più ampia di questo numero di M&C)

giovedì 8 novembre 2007

Il cervello del XXI secolo


Come consigliava caldamente Pietro in una sua nota in questo blog, sono andato a leggere l’ottima recensione di Alberto Biuso a “Il cervello del XXI secolo” di Steven Rose.
Il recensore in parziale accordo/ disaccordo con il recensito ci ricorda che il cervello non è un organo unico e monocorde ma rappresenta un insieme plastico e variegato di strutture, «un insieme di processi dinamici, parzialmente correlati e parzialmente indipendenti», riprende ‘l’emotio, ergo sum’ di Damasio, ci parla del ricordo come evento attivo e critica il riduzionismo organicista della ‘scienza ufficiale’ incapace di avvicinarsi alla complessità del corpo – mente – cervello, e prosegue su tante altre cose interessanti alle quali vi rimando. Ho appena scritto che il cervello è plastico: sì, ma quanto plastico? Qui preme soffermarmi su una storia in cui sono inciampato (ma si trattava di una riscoperta) quando alla fine dell’articolo di Alberto sono passato doverosamente alla lettura dei commenti; e in quello sapido e frizzante del prof. Raciti stava incastonata appunto la Storia dell’uomo che visse senza un cervello o quasi (e si scioglie l’enigma della ‘radiografia’ di Homer Simpson in apertura).

Nel 2003 un paziente di Marsiglia viene ricoverato in ospedale con una diagnosi di idrocefalia; il cervello si presenta letteralmente compresso sulla parete della scatola cranica e le sue dimensioni sono ridotte al minimo. Nonostante ciò, assicura il neurologo Lionel Feuillet (quasi un collega di Rose), “l’uomo riesce a condurre una vita normale”.

Il caso è apparso sull’autorevole rivista medica londinese The Lancet. Sposato e padre di due figli, a questo impiegato pubblico di 44 anni è stata diagnosticata una idrocefalia non-comunicante (un aumento della quantità di liquido cefalo-rachidiano). Gli esami (scanner, IRM) hanno rivelato delle immagini molto inconsuete, con “delle cavità ventricolari enormi”. Il cervello, sia la sostanza grigia che quella bianca, costituiva un sottile strato appiattito sulle pareti della scatola cranica. Per i medici la discordanza tra immagini tanto inquietanti e una vita quasi normale, è ‘un messaggio di speranza’: il cervello del paziente, che è stato curato efficacemente nella prima infanzia, ha avuto modo di adattarsi plasticamente alla patologia, con il solo scotto di un piccolo ritardo intellettuale (q.i. 75). E parliamo di una massa cerebrale ridotta di un buon 80-90%...

Che si possa vivere senza usare il cervello, appare un dato incontrovertibile, se ci guardiamo attorno, però questa è solo una battuta, e non delle migliori…

Attingendo fin dai tempi pionieristici all’inesauribile riserva del meraviglioso che è internet, avevo letto diverse volte di storie simili: persone con un cervello ridottissimo, quasi inesistente che conducevano una vita normale, alcuni di loro con un alto quoziente intellettivo.

John Lorber, il neurologo inglese tra i pochissimi al mondo ad avere approfondito il caso degli idrocefali intelligenti fin dalla metà degli anni ‘60, ha posto provocatoriamente la questione se il cervello è veramente necessario .. Uno dei primi casi portati alla sua attenzione riguardava un giovane con un q.i. di 126, premiato per le sue doti matematiche, ma privo virtualmente di cervello; un esame non invasivo (cat scan) chiarì che alle pareti del suo cranio aderiva uno strato di cellule cerebrali non più spesso di un millimetro; il resto della cavità cranica era occupato da fluido cerebrospinale; il ragazzo continuò la sua vita normalmente, eccetto che per la nuova consapevolezza di non avere cervello. Evidenze aneddotiche come queste sono comparse spesso nella letteratura medica. Merito di Lorber è stato lo studio sistematico di questi casi. Ne ha raccolti più di 600 e li ha divisi a seconda della gravità:

- quelli con un cervello quasi normale

- quelli con una capacità ridotta al 50-70%

- quelli con una capacità ridotta al 70-90%

- quelli più gravi, con la cavità cranica riempita al 95% di fluido

Dell’ultimo gruppo, che comprendeva circa il 10% del campione, la metà era gravemente ritardata. L’altra metà aveva un q.i. superiore a 100. Gli scettici hanno attribuito i risultati a errori di lettura dei cat-scan e certo, ammette Lorber, ‘smorfiarli’ è abbastanza difficoltoso; “io non so se lo studente di matematica aveva un cervello di 50, 100 o 150 grammi. So però che era ben lontano dal chilo e mezzo della media”. Si attribuisce il merito di queste prestazioni mentali apparentemente impossibili alla ‘ridondanza’ del cervello e alla sua capacità di riassegnare le funzioni, anche se, ammettiamolo, sono risposte che non spiegano molto.

Le anomalie, che poi sono la punta visibile di complesse fenomenologie e non scherzi di natura, vengono spesso marginalizzate, perché esigono risposte che oggi la scienza non è in grado di dare, e questo avviene in vari settori, pensiamo agli esperimenti che hanno confermato l’esistenza della fusione fredda (di fatto ignorati o ridicolizzati) o alle evidenze osservative che contraddicono la teoria del big bang (gli eretici sono stati banditi dai grandi telescopi) ; viene più comodo confermare le vecchie certezze, e i relativi assetti di potere, chiudendo le carte scomode dentro un cassetto.

Tornando al punto, forse è stata sovrastimata l’importanza della corteccia cerebrale: si è fatta anche l’ipotesi che funga da libreria di consultazione, mentre le strutture profonde del cervello avrebbero un ruolo più decisivo; forse al contrario è proprio il neopallio, lo strato più esterno della corteccia che in molti idrocefali si salva (anche ridotto a un millimetro ma ‘spalmato’ su una vasta superficie), ad assicurare le funzioni intellettive; vero è che il cervello ha una grande capacità di adattamento alle patologie e alle lesioni, e gli spendidi libri di Oliver Sacks ce lo dimostrano. E vero è, soprattutto, che non sappiamo come il cervello produca la sua mente, ammesso che “la mente sia semplicemente ciò che il cervello fa” (Minsky). Non sappiamo come si ricrei immediatamente e momento per momento l’unità della coscienza e della nostra vita interiore.

martedì 6 novembre 2007

Il quasi-reale, ovvero: ipnosi e principio di verità

Noi e l'ipnosi
L’ipnosi è un possibile stato della coscienza. Potremmo anche definirlo “alterato”, ma di fatto l’esperienza del mondo attuale, con l’uso diffusissimo di linguaggi e di simbolismi “ipnotici” da parte della pubblicità, della politica e dei media, ci dimostra che in questo stato ci ritroviamo molto spesso. Per cui è difficile dire quando lo siamo o no. Non ce ne siamo accorti? E’ proprio quello che volevano! Chi sono “loro” ? Semplice, i detentori di un qualsiasi potere sulla massa. Pensaci. Stai guidando, e mentre la tua parte razionale è intento, e crede di guidare, la tua vera coscienza legge perfettamente, e recepisce, cosa c’è scritto nei grandi cartelloni pubblicitari, lettera per lettera. In realtà, siamo guidati, e molto spesso anche.

L’ipnosi come ricerca ha altri scopi. Innanzitutto esplora un terreno traballante, ancorato sul famoso interrogativo se può esistere una “verità comune” su cui potremmo essere tutti d’accordo. Ebbene, praticando l’ipnosi su svariati soggetti (consenzienti !) è curioso osservare che si arriva per necessità di cose al principio espresso da Alfred Korzybski, di cui raccontava Giovanni. Questo principio, definito secondo una corrente terminologia ipnotista adottata da alcune scuole, si chiama “quasi-reale”.

Caratteristiche del quasi-reale
Il quasi-reale di una persona altro non è che la sua personale rappresentazione del mondo esperienziale, unica ed irripetibile, ma fedele a sé stessa, entro archi di tempo prefissati e sufficientemente lunghi. Al suo interno possono coesistere contraddizioni e paradossi ma il soggetto, di fronte a determinate domande, sarà coerente con sé medesimo nelle risposte. Il gatto può essere bianco e nero nello stesso momento, ma per lui/lei sarà sempre così, fino a quando non trova una motivazione profonda per sostituire quella particolare rappresentazione.

L’altra caratteristica fondamentale che si osserva, è che tutto ciò che il soggetto percepisce come facente parte del suo mondo interiore è per lui assolutamente “vera”. Un ipnotista che non tenesse conto di questo principio, rischierebbe di far seriamente male al suo interlocutore. Se hai davanti a te un soggetto che, durante lo stato di ipnosi, “vede” davanti a se una tigre che sta per sbranarlo, non puoi dirgli -“Ma no, non ti preoccupare ! Stai sognando!”. Dal momento che per lui la tigre è assolutamente reale, rischieresti di entrare in rotta di collisione col suo essere e di combinare guai. Che ne so, dovrai dirgli magari: “Guarda alla tua destra, vedrai una porta stretta: rifugiati velocemente lì dove la tigre è troppo grande per passare !”. Il suo quasi-reale ha il concetto di porta stretta, per cui egli la visualizzerà velocemente, e sarà altrettanto “vera”, ed il gioco sarà fatto.

Il quasi-reale è quindi la rappresentazione, la mappa del mondo di ciascuno, e risulta formato da un insieme di ricordi, di concetti, di attributi possibili e di valori assegnati. In generale non è un casellario squadrato. Ogni volta che si ripete l’esperimento con la medesima persona, in generale non si riuscirà a tornare nello stesso punto seguendo il medesimo percorso. Poiché nel frattempo qualcosa sarà mutato, essendo la mappa in aggiornamento ed estensione costante. Il quasi-reale delle persone non è rigido, può essere modificato usando alcuni “trucchi”, anzi viene comunque continuamente modificato in questo modo. Quante volte ci è successo di entrare in un grande magazzino con l’intento di comperare alcune cose, ed alla fine di uscirne con altre completamente diverse? Quando abbiamo comprato la nostra auto, perché abbiamo scelto proprio quella?

Qualcuno ha fatto giustamente notare (PNL) che la mappa non è il territorio. Se davvero esista uno ed un solo territorio indipendente da noi e pertanto “vero” non può saperlo nessuno essendo, il nostro personale punto di osservazione, ancora una volta, un quasi-reale come tanti altri. La verità assoluta potrebbe assimilarsi al concetto di infinito, un limite estremo che è possibile solo concepire teoricamente ma forse non raggiungere e verificare, almeno a partire dalla condizione umana in cui ci troviamo.

Un'altra caratteristica interessantissima del quasi-reale, individuabile attraverso l’ipnosi, è che il soggetto riesce ad interagire con effetti fisici consistenti nel mondo esterno, su di sè o su gli altri, usando la propria personale interpretazione. Quindi l’input e l’output hanno la stessa “forza” incisiva nella materia.
Ciò ci ricorda, molto umilmente, che non è necessario avere in mano la “verità assoluta” per produrre gli effetti desiderati, ma che bastano il desiderio profondo, la volontà, l’energia. Tutte cose che si scaturiscono normalmente dal quasi-reale di ciascuno.
Potenzialità dello stato ipnotico cosciente
Una persona in stato ipnotico è di per sé felice; è perfettamente in grado di controllare sé stesso di calmare i dolori, arrestare una emorragia, ed in gran parte di rigenerarsi energeticamente e fisicamente in poco tempo. Questo è sempre verificato biunivocamente, nella relazione tra soggetto ed ipnotista: per questo l’ipnosi può funzionare terapeuticamente, ma senza certezze di ottenere gli effetti desiderati da entrambi. Per raggiungere un risultato si deve trovare la strada giusta.
In ipnosi è normale ricordare perfettamente ogni momento della propria vita andando indietro nel tempo, fino a sei giorni prima di nascere. Basta dare data ed ora, e chiedere “Cosa stai facendo in questo momento?”. Il soggetto è anche in grado di rivisitare altre “vite”, collocabili in un passato storico (Sono sue? Non lo sono? Certamente sono per lui “vere”. Entreremmo qui nel campo delle interpretazioni, e ciascuno avrà le sue. Quindi lasciamo stare…).

A confronto di tutto ciò, un individuo “in normale stato di veglia”, quasi normalmente è già fortunato se riesce a sentirsi né stanco né stressato. Di solito non vede bene, o non sente bene, e i suoi muscoli di occidentale benestante sono quasi completamente atrofizzati. E’ distratto, o ha il mal di testa. Non respira e non digerisce correttamente; non si nutre, correttamente. Se non mangia o non beve o non dorme o non fa l’amore “ai suoi propri orari”, allora soffre. Se questo è un Uomo “sveglio”, ditemi voi….
Cognizione della realtà ed ipotesi "oniriche"
Tornando adesso a rivisitare la questione dal punto di vista filosofico o scientifico o esistenziale, ci chiediamo: cosa possiamo conoscere davvero? Tentare di rispondere a questa domanda (forse) è il vero motivo per cui ci troviamo qui. Da un lato vi sono i filosofi, dall’altro i poeti, dall’altro ancora gli scienziati ed i matematici e ciascuno ammira il mondo dai balconi dal proprio personale palazzo.
Vi è però un saggio (sarà forse un maestro, un illuminato ?) che parla attraverso i miti. I miti sono più flessibili, ed hanno la capacità di contraddirsi, senza che questo costituisca un problema. Così come ci piaceva che la mamma ci raccontasse le favole prima di andare a letto, e non ci importava per niente se fossero vere o inventate, allo stesso modo molti “maestri dello spirito” hanno parlato sull’argomento della verità in questo particolare modo. E forse, con umiltà, ci hanno insegnato che il sogno non è per noi meno importante del ragionamento o dell’arte.

Uno ha detto una volta: “l’Essere è Verita, la Verità è l’Essere.”
Un altro invece ha raccontato che una grande, immensa Divinità si sia frantumata nel Mondo delle Forme dopo averlo creato, per tentare un esperimento grandioso: ampliarsi e ricomprendere sé stesso a partire dalla molteplicità, cortocircuitando la propria assoluta unità primeva. Una sfida che può anche perdere, se non si ritrova “in tempo e nel tempo”. Cosa succederebbe se non ci riuscisse? Non si sa, poiché la Divinità non era stupida (speriamo!). Se avesse predeterminato qual’era la fine del film, si sarebbe annoiata. Invece ha pensato di entrare in un numero infinitamente grande di esseri individuali, dotandoli del potere più grande che può esistere: la libertà di scelta e di creazione (o distruzione). Individui che possono popolare liberamente ogni angolo dell’Universo conosciuto e di tutti gli Universi del possibile. Sta a loro riconoscere, o meno, la propria unità e la propria origine. Se questo dovesse mai avvenire il Mondo delle Forme sarebbe “divinizzato”, e la partita vinta. Altrimenti la materia, l’energia e le forme scomparirebbero nel nulla dal quale sono emerse.
Non dovrebbe stupirci allora il constatare che in giro nell’universo vi siano molte forme di vita distruttive, verso sé e verso altre specie.
Verità assoluta e verità relative non si contraddicono...
Secondo questa particolare visione, l’Uomo non è costretto a riconoscere Dio, ma le so facesse, “potrebbe” anche convenirgli. Come fare? Attraverso un atto di volontà, innanzitutto. Ma certamente non può bastare. Ma la fine del film non è data, perché ciascuno ha la propria, ed attraverso la propria può vedere e modificare, se vuole, il mondo. Può aprire delle porte "molto particolari".
Viceversa puoi anche pensare che la materia sia sempre esistita, che il nostro pensiero è prodotto dalla materia, e che alla fine tutto scomparirà comunque. Dobbiamo scegliere: siamo noi il creatore al Centro dell'Universo: creeremo ciò che desideriamo, la vita o la morte sono in nostro potere, che intendiamo usarlo o meno. Chi desidera l’annullamento totale, riuscirà certamente ad accontentare se stesso. Se una parte di noi desidera approcciare una ipotesi di “Vita Eterna” deve farlo qui ed ora, perché nessuno ha il diritto di influenzare il film personale di qualcun'altro, e perché nessun altro ha il diritto di rispondere al posto nostro alla nostra intima domanda. Quando il film (personale e collettivo) sarà finito non sappiamo nemmeno cosa succederà. Fa parte delle regole del gioco, ma soprattutto della nostra esperienza ontologica.

Se tutto ciò fosse “vero”, o semplicemente desiderato, vorrebbe dire che per conoscere meglio qualcosa del mondo abbiamo bisogno di mettere in comune ciò che “abbiamo visto, sentito e compreso” con tutti gli altri esseri umani. Senza di ciò non potremmo consolidare dei risultati. Il mondo è innanzitutto il mondo interiore di ciascuno. Non esisterebbero allora punti di vista più “veri” di altri, ma solo punti di vista, che però sarebbero tessere di un unico grande mosaico che ciascuno può scegliere liberamente di condividere per uno scopo più grande, diverso da quello egoistico. Ogni tessera potrebbe essere quindi dotata di una propria funzione particolare in un contesto più ampio, che può essere riconosciuto solo individualmente. Sembra perverso, ma per me è bellissimo.
Il mio colore ha bisogno del tuo...
Come la luce che entra in un cristallo si scompone in un raggio di arcobaleno, in modo inverso se tu unisci il tuo proprio colore con quello degli altri otterrai, otterrete, otterremo, la Luce.
Attenti però, se guardata direttamente da vicino, la luce fa male agli occhi!

“…Verrà il giorno in cui il Filosofo, il Poeta, il Fisiologo, parleranno la stessa lingua, e si comprenderanno…”

E. Schurè
(da “i Grandi Iniziati”)

sabato 3 novembre 2007

Ancora contraddizione


Secondo Aristotele la metafisica riguarda lo studio dell’essere, l’ontologia: il principio di non contraddizione ne è il più fermo sostegno. Senza di esso non possiamo conoscere nulla di ciò che conosciamo e non possiamo demarcare la materia e il soggetto di alcuna scienza, come la biologia o la matematica. Se è per questo, non potremmo neanche distinguere tra loro un uomo e un coniglio, né dire se sono bianchi o neri. L’incapacità di fare distinzioni renderebbe impossibile qualunque discussione razionale. Il principio di non contraddizione insomma è la base della ricerca scientifica, come del ragionare comune e di ogni tipo di comunicazione.

il principio di non-contraddizione afferma la falsità di ogni proposizione implicante che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proposizione non-A, sono entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. Secondo le parole di Aristotele, "Non è lecito affermare che qualcosa sia e non sia nello stesso modo ed allo stesso tempo." (voce wiki ita)

Si può dire anche così:

Un sistema logico dove siano valide le comuni regole di inferenza e dove sia anche presente una contraddizione, ossia sia VERA (completamente vera) una affermazione e anche la sua negazione, è privo di logica, di struttura e di informazione, poiché tutte le affermazioni sono vere (comprese le loro negazioni). E quindi non può essere interessante poiché non comunica informazione. (voce wiki ita).

Pietro si chiedeva l’altra volta se per caso nel contesto gnoseologico aperto dalla fisica quantistica non fosse andato in crisi anche il principio di non contraddizione. Ora, a mio modesto avviso, la logica comune, quella che permette di andare avanti nella vita, di scambiare informazioni, di ragionare, come diceva Aristotele (e di cui non godono certe persone, purtroppo, come gli schizofrenici) e come ribadisce giustamente Alberto, non è certamente sovvertita dalla nuova fisica: non posso predicare del mio paracqua che è bianco e nero nello stesso modo e nello stesso tempo, senza accusare con questo anche qualche problemino, quantomeno visivo. Non credo a questi sprechi, ma ammettiamo pure per un attimo che siano vere le teorie di Everett, Deutsch e altri: che ad ogni momento, ad ogni infinitesima scelta si dipartano dal nostro universo mille e mille altri universi in cui si realizzano tutte le possibili alternative che non si sono realizzate da noi (la teoria del multiverso: molto parca nelle assunzioni teoriche e però prodiga di universi). Ma questo non vuol dire che all’interno di ogni universo succitato non valgano più alcune regole logiche (che poi sono onto-logiche) fondamentali. Non si può vivere in un posto in cui non si può distinguere un essere dall’altro, un tavolo da un precipizio, e forse non si può nemmeno immaginare un simile luogo, e pensare in un simile luogo. Non ci riusciremmo di sicuro noi umani, ma solo, forse, il Dio di Spinoza, quello della coincidentia oppositorum.

Nulla è andato in crisi allora, dopo il 900, il secolo breve della fisica, e di tanti altri sconvolgimenti? Non credo proprio. Forse si è come attenuata la natura dell’essere delle cose, il loro stare al mondo, per così dire. Non si può più usare il verbo essere come una volta. Già nel 1933 Alfred Korzybski ha proposto di evitare per quanto possibile il verbo ‘è’ dell’identità, quello che si usa in proposizioni come “Joe è un comunista”, “Mary è una stupida commessa”, “l’universo è una grande macchina”. Il linguaggio che evita il verbo essere serve come antibiotico, secondo Korzybski e i suoi emuli (come l’acuto ed eccentrico R.A. Wilson da cui traggo queste notazioni) verso il pensare demonologico, farcito di stranezze e superstizioni, a cui costringe la grammatica identitaria. Secondo il piano della General Semantic, ci si propone di sostituire al quadro essenzialista del buon vecchio Aristotele, un linguaggio operativo/ esistenziale. Facciamo alcuni esempi in liguaggio essenzialista e traduciamoli in stile operativo:

Il fotone è un’onda – il fotone si comporta come un’onda se viene misurato da certi strumenti.

Il fotone è una particella - il fotone appare come una particella se viene misurato da certi altri strumenti.

John è infelice e irritabile – John in ufficio sembra infelice e irritabile.

John è brillante e allegro – John sembra brillante e allegro in vacanza sulla spiaggia.

La macchina coinvolta nell’incidente era una Ford blu – a mia memoria penso di ricordare che la macchina coinvolta nell’incidente fosse una Ford blu.

Questa è un’idea fascista – a me sembra un’idea fascista.

Beethoven era meglio di Mozart – nel mio attuale stato, sospeso tra educazione musicale e ignoranza, Beethoven sembra meglio di Mozart.

L’erba è verde – alla maggior parte degli esseri umani, l’erba appare verde.

Il primo uomo ha colpito il secondo con un coltello – penso di aver visto che il primo uomo colpisse il secondo con un coltello.

Notiamo subito che la prima e la seconda proposizione (“il fotone è un’onda”, “il fotone è una particella”) si contraddicono a vicenda, se scritte nel ‘linguaggio dell’essere’, né più né meno come se scrivessimo “Robin è un ragazzo” e “Robin è una ragazza”. Nondimeno, alla fine del diciannovesimo secolo i fisici si trovarono a dibattere accanitamente su queste proposizioni, finché, all’inizio degli anni ’20, non divenne ovvio che il risultato sperimentale dipendeva dagli strumenti, o meglio dal set-up strumentale, dal progetto dell’esperimento stesso. Un tipo di esperimento dimostrava ogni volta la natura ondulatoria della luce, e un altro la sua natura particellare. Questa contraddizione causò una notevole costernazione nella piccola comunità dei fisici. Qualche teorico dei quanti cominciò a scherzare sulle ‘ondicelle’. Altri proclamarono affranti che ‘l’universo non è razionale’, e intendevano dire che l’universo non seguiva la logica dell’essere. Altri ancora restarono in attesa speranzosi dell’esperimento definitivo che avrebbe provato se il fotone è un’onda oppure è una particella. E ancora aspettano. Con la traduzione operativa delle due proposizioni, paradossi e irrazionalità spariscono dall’universo: poiché la logica operativa ci ha costretto a parlare di ciò che nello spazio-tempo dell’esperimento è effettivamente avvenuto (una misurazione, nello specifico), mentre il linguaggio dell’essere, per così dire, ci lasciava fantasticare su qualcosa che nello spazio-tempo non è stato mai osservato: il come è del fotone , la sua essenza.

La debolezza (o la forza) del ragionamento aristotelico sta nell’assunzione che delle ‘cose’ dimorano nella realtà, che al fondo di ogni oggetto si acquatti ciò che il cinico filosofo Max Stirner chiamava uno ‘spettro’. L’universo aristotelico presume appunto un assemblaggio di ‘cose’ con ‘essenze’ o ‘spettri’ al loro interno, mentre l’universo della scienza presume solo una rete di relazioni strutturali. Ma questo non significa che il ragionare non richieda più una logica stringente, proprio il contrario semmai.

L’ultima proposizione, che non contiene il verbo essere, e potrebbe quindi andar bene per la logica operativa, introduce però nuove sottigliezze. Infatti se la riferiamo a un famoso (per la sua infidia) esperimento psicologico, rivelerà ancora una volta la spassosa fallacia del linguaggio comune.

Nell’esperimento due uomini irrompono in una classe della facoltà di psicologia, lottando e strepitando, finché uno fa la mossa di accoltellare l’altro, che crolla esanime. La maggioranza degli studenti, ovunque l’esperimento sia stato provato, dichiarano di aver visto un coltello nella mano dell’aggressore. In effetti, costui non ha usato un coltello. Ha usato una banana.