sabato 19 aprile 2008

Augusto Cavadi si è finalmente degnato di farci visita: è un giorno importante per il Blog
Ecco il suo contributo

IL DESTINO DELL'ANIMA SECONDO UNA TEOLOGIA LAICAPossibili ragioni di un successo editorialeIl successo editoriale, davvero imprevedibile per un titolo di teologia, dell'ultimo volume di Vito Mancuso si spiega con una serie di ragioni che si inanellano in sequenza. La prima è che affronta un tema che sfida il turbinio delle mode e non cessa di interpellare gli animi che mantengono un guizzo di vivacità spirituale. Ma - e siamo ad una seconda ragione - l'autore affronta l'argomento dell'anima cercando di dialogare con la cultura filosofica e scientifica contemporanea: dunque prendendo sul serio obiezioni e suggerimenti che di solito i laboratori teologici preferiscono ignorare. Inoltre - questa potrebbe essere una terza ragione - egli, infrangendo la prosopopea diffusa fra quanti trattano di simili questioni, si preoccupa di usare un linguaggio per quanto possibile non-tecnico evitando le sottigliezze specialistiche di chi scrive più per fare mostra di sé ai colleghi che per sollecitare la riflessione del lettore 'medio'. Infine individuerei una quarta ragione nel fatto che l'interrogazione sull'anima viene formulata in maniera fortemente problematica rispetto alla tradizione cattolica a cui Mancuso ribadisce più volte di appartenere. Se egli avesse proposto le medesime idee dichiarandosi esterno alla Chiesa cattolica, molto probabilmente sarebbe stato letto da una cerchia molto più limitata di specialisti: così, invece, egli ha dato voce alle inquietudini sotterranee di quei milioni di cattolici (più o meno praticanti, più o meno istruiti) che, secondo l'ormai celebre espressione di Pietro Prini, hanno consumato uno "scisma sommerso", staccandosi d fatto dall'obbedienza al Magistero senza sprecare fiato per formulare apertamente e pubblicamente il loro dissenso. Questi scismatici anonimi leggono, con stupore misto ad ammirazione, un teologo che - senza infingimenti clericali ed anzi con un pizzico di civetteria - scrive: "Oggi in teologia, soprattutto in Italia, per lo più non si pensa, si obbedisce, nel senso che anche quando si pensa, spesso lo si fa come vuole l'autorità, per fondare, spiegare, difendere ciò che è già stato stabilito dall'autorità. Un pensiero, diciamo così, pilotato. Ma, come mostrerò in queste pagine, le autorità bibliche e magisteriali sono talora in contraddizione tra loro quando si tratta dell'anima e del suo destino, e non su aspetti secondari" (p. 32). In questo contesto, all'autore non sembra restare che una sola via: ristabilire davvero il primato del Logos" (ivi).Alcune tesi principaliMa che cosa sostiene, nella trama essenziale, questo corposo saggio?Che la questione antropologica non può essere isolata dal più ampio quadro della questione cosmologica in cui è incastonata e che, a sua volta, la questione cosmologica implica una interpretazione, più radicale, ontologica e teologica.Perciò Mancuso si chiede, preliminarmente, cosa debba intendersi per 'natura' (nel senso comprensivo dei Greci che, in quanto physis, vedevano in essa la matrice generativa di tutto ciò che a qualsiasi titolo può considerarsi essente) e quale sia il rapporto fra essa 'natura' e Dio. La prospettiva in cui si colloca esplicitamente l'autore è quella pionieristicamente indicata da Teilhard de Chardin quando intitolava uno dei suoi primi scritti La potenza spirituale della materia: " Dobbiamo cambiare prospettiva rispetto al racconto biblico di Genesi 2,7 secondo cui Dio prese la polvere, plasmò l'uomo e poi infuse il suo soffio vitale. Per stare all'immagine mitica utilizzata dal testo, occorre piuttosto pensare che Dio infuse il suo soffio vitale prima, direttamente nella polvere, nella materia-mater, la quale poi da sé, autonomamente, ha dato origine alla vita in tutte le sue forme, compresa quella dell'uomo. Si tratta di una prospettiva legittima anche a livello biblico alla luce dei racconti di creazione della tradizione sapienziale, in particolare Proverbi 8 e Siracide 24" (p. 14).Da questa angolazione - "una prospettiva che parte dal basso" (p. 53) - "l'anima spirituale, che pure conduce chi la coltiva in un'altra dimensione facendolo entrare nell'eterno, è da pensarsi non come una sostanza separata che proviene dall'esterno ma come una peculiare configurazione dell'unica energia che ci costituisce" (p. 54).Rispetto a questa materia in evoluzione - di cui l'Uomo costituisce il vertice (attuale) - in che rapporto concepire Dio? Il tendenziale monismo antropologico (l'anima come dimensione consapevole e spirituale di quell'unica realtà che chiamiamo materia quando la consideriamo nella sua dimensione visibile e misurabile) è coerentemente inquadrato in un più ampio monismo onto-teologico: "il divino, in questa prospettiva, non è nulla di misterioso o di qualitativamente altro rispetto all'essere, ma è la pienezza dell'essere, come sapevano perfettamente i Greci" (p. 102). E - si potrebbe aggiungere per compensare un'omissione eloquente - come hanno ricordato fortemente gli idealisti post-kantiani, in particolare Hegel e Schelling. E' chiaro che Mancuso contesta una Trascendenza di Dio che venga concepita unilateralmente, adialetticamente, come distanza abissale fra il Principio creatore e l'universo creato. Dio non è al di là del mondo, ma nel cuore del mondo: Egli "non agisce mai direttamente nel mondo, ma sempre e solo tramite la mediazione della sapienza, sia come sapienza impersonale nella logica della natura e della storia, sia come sapienza personale nella dimensione dell'anima umana. (...) La Sapienza divina agisce nella natura ordinando l'energia verso una sempre maggiore informazione e complessità", "nell'anima spirituale come grazia che attrae verso il bene e che vince la forza di gravità dell'egoismo primordiale" (p. 105). In questo quadro onto-teologico, l'ipotesi di una vita oltre la morte fisica del soggetto individuale non si configura come il risultato apodittico di una dimostrazione bensì come una sorta - direbbe Karl Jaspers riecheggiando Kant - di "fede razionale". Secondo Mancuso, infatti, è legittimo sperare che le "quattro discontinuità" di cui siamo testimoni ("il passaggio dal minuscolo puntino cosmico all'origine del Big bang alla vastità dell'essere; il passaggio dalla materia inerte alla vita; il passaggio dalla vita naturale all'intelligenza; il passaggio dall'intelligenza autorefernziale alla morale e alla spiritualità") (p. 111) siano a loro volta superate da una "quinta discontinuità all'interno del processo evolutivo dell'energia cosmica": "una vita dopo la morte di tipo personale" (p. 134). Alla luce di questa impostazione prevalentemente teoretico-metafisica l'autore affronta le tematiche più squisitamente teologiche dei "novissimi". "Morte e giudizio": "A chi spetta, quindi, la vita eterna? La vita eterna spetta a chi la possiede già adesso. L'eterno non è il futuro, ma è il presente, la dimensione più vera del tempo. Chi, nel tempo che gli è stato dato, ha raggiunto la forma sovra-naturale dell'essere, quando muore nel corpo vi permane con l'anima" (p. 205). "Paradiso": "Il Dio eterno è il custode del tempo, o meglio di quella parte del tempo che merita di essere custodita perché raggiunge la stessa dimensione di verità, di bellezza e di giustizia che compete ontologicamente all'eternità" (p. 229). "Inferno": in proposito l'autore esclude che l'inferno possa consistere in una condanna eterna per peccati comunque temporali, ma confessa di trovarsi "nell'incertezza riguardo all'alternativa fra apocatastasi e morte dell'anima" (p. 275). "Purgatorio": coincide con "il momento della morte fisica e gli istanti immediatamente precedenti e successivi ad essa. E' allora che avviene la grande purificazione" (p. 279). "Limbo": oggi è stato finalmente cancellato da quella stessa autorità ecclesiale che l'aveva inventato, ma ciò non servirà a molto "se non si comprende che la gran parte degli errori e delle incongruenze nella dogmatica derivano dalla posizione del peccato originale, questo mostro speculativo e spirituale, il cancro che Agostino ha lasciato in eredità all'Occidente" (p. 287). "Parusia e giudizio universale": "Il giudizio è universale nel senso che vi viene sottoposto ogni essere umano secondo criteri universali, gli stessi criteri di ordine, equità e giustizia che la creazione già contiene" (p. 301). Alla fin dei conti, il messaggio del libro è sintetizzato nelle ultime righe: "Dice la sapienza di Israele: 'Chi pratica la giustizia si procura la vita' (Proverbi 11,19). Basta solo essere giusti. Tutto qui, qualcosa di molto semplice, che ogni uomo vuole da sé. Simplex sigillum veri" (p. 317). Qualche considerazione criticaCome aveva previsto il cardinal Martini nella lettera che funge da antifona al volume, quest'ultimo ha suscitato nel mondo cattolico delle reazioni molto vivaci. Esse partono da un presupposto: che la Bibbia sia fondamentalmente una rivelazione di verità nel senso di informazioni metafisiche (e che il Magistero costituisca l'istanza ultima in caso di conflitto interpretativo sul modo di intendere tale patrimonio conoscitivo). Se questo presupposto regge, Mancuso non può essere considerato un teologo cattolico. Ma sappiamo che negli ultimi due secoli, soprattutto dopo Kant e Kierkegaard, si è diffusa una diversa visione della Scrittura: essa non sarebbe né fonte di conoscenza scientifica (e questo, con ritardo su Galileo Galilei, lo riconoscono tutti i cristiani, tranne i fondamentalisti) né fonte di conoscenza filosofica (e questo lo si stenta ad ammettere, soprattutto in ambito cattolico), bensì una fonte di orientamento esistenziale (di tipo mistico-spirituale ed etico). Se questa prospettiva regge, Mancuso non può essere liquidato sbrigativamente con l'accusa di eresia, ma va confutato puntualmente con gli stessi attrezzi logico-razionali a cui egli fa ripetutamente appello. Se la Bibbia, come in Italia ha sottolineato più di altri Carlo Molari, non ci fornisce delle notizie supplementari (e altrimenti inaccessibili) sulla struttura ontologica dell'universo e del suo Creatore, ma ci racconta chi vuole essere Dio per l'uomo e come sogna che l'uomo sia per Lui, Mancuso ha il diritto di asserire che "più si comprende la ricchezza e la bellezza della vita per quello che è, meno si pensa il divino come una cosa diversa e totalmente altra. Il centro speculativo del Cristianesimo, l'incarnazione di Dio in un uomo, è esattamente la massima espressione di questa equazione fondamentale: pienezza della vita= divino" (p. 103).Al suo diritto di asserire questo, corrisponde il diritto di chi non è d'accordo di avanzare obiezioni e contro-argomentazioni, non certo di lanciare scomuniche.Per esempio l'obiezione di chi possa trovare sproporzionatamente antropocentrica la tesi che "la perfetta manifestazione della Sapienza creatrice" sia "l'idea di Uomo"; che "il mondo" sia "finalizzato dal basso alla produzione dell'Idea di Uomo, declinata nei miliardi di esistenze concrete, ognuna unica e irripetibile, cui essa dà luogo" (p. 72).Oppure l'obiezione che l'amore - in cui giustamente Mancuso riconosce il cuore del cristianesimo - sia da lui concepito in termini più di eros mistico (di stampo neoplatonico) che di agape diaconale (di stampo evangelico). Egli infatti cita, con condivisione, Albert Schweitzer, teologo cristiano insignito del premio Nobel per la pace: "L'elemento essenziale del Cristianesimo così come Gesù lo predicò e il pensiero lo comprende, è che soltanto con l'amore possiamo giungere alla comunione con Dio" (p. 296). Ma quando prova ad esplicitare questa convinzione, l'autore sembra insistere sulla "comunione della più intima interiorità con la volontà di Gesù" (ivi), senza preoccuparsi di aggiungere che tale comunione - secondo Gesù stesso - non ha altra verifica affidabile che il servizio al debole e all'impoverito. Si può affermare, come fa Mancuso, che l'amore cristiano consiste "nell'avvento del regno di Dio nell'anima di ogni uomo" (ivi) , ma a patto di non omettere che tale regno deve rendersi visibile, attraverso i nostri spiriti, nella storia oggettiva, concreta, della collettività umana. Deve farsi, come ama ricordare Armido Rizzi, pane e carezze per i fratelli e le sorelle meno fortunati. Non è solo una questione di estensione (dall'ottica individuale all'ottica sociale), bensì più radicalmente di intenzione: l'amore biblico, a differenza dell'eros platonico anche cristianizzato dai Padri della Chiesa, non è una forma di egocentrismo spirituale quanto di autodonazione gratuita. Augusto CavadiSINTESI.Augusto Cavadi. Il destino dell'anima secondo una teologia laica. Il volume di Vito Mancuso, L'anima e il suo destino, Cortina, Milano 2007, sta conoscendo un successo editoriale imprevedibile. Quali ne sono le possibili ragioni? Quali le principali tesi antropologiche, cosmologiche, ontologiche e teologiche esposte nel saggio? La presentazione si conclude con una serie di interrogativi critici mirati più ad alimentare la riflessione che a stroncarla con l'invocazione di censure autoritarie.
17 aprile 2008 18.27