martedì 3 febbraio 2009

Il caso Englaro

In attesa che Socrate (il consulente filosofico arrestato ad Atene) venga liberato, sia pur su cauzione, provo a ravvivare l'interesse per questo Blog , chiosando un pò sul caso Englaro. Perchè una vicenda così intima , straziente e privata è diventata un polpettone mediatico così esteso nei media ? Non sarebbe una vicenda cui può partecipare di diritto e principalmente chi la vive in prima persona ? ( escludo Eluana perchè non è più in grado di partecipare)- ma certamente è giusto che esprima un parere decisivo chi vive la vicenda da dentro e quindi la famiglia. A che titolo io o tu possiamo esprimere un parere decisivo ? A questa prima domanda una parziale risposta può darsi a favore solo di un parere espresso anche da chi gestisce il Servizio Sanitario Nazionale, dagli operatori coinvolti sino al Ministro del Welfare. Questo perchè occorre una struttura sanitaria per porre fine ai giorni di vita di Eluana. E' giusto allora che anche chi sia coinvolto per ragioni professionali dia un proprio parere in quanto parte in causa sia pur per ragioni professionali. Si pone allora lo spinoso problema se staccare la spina di apparecchiature complesse quali sono quelle dei reparti di rianimazione sia etico oppure no. A mio modesto avviso per pronunziarsi sugli aspetti etici di questa operazione ( il distacco della energia elettrica dall'apparecchio tipo polmone di acciaio ) non pone problemi bioetici qualora sia venuta meno ciò che gli antichi trattati di medicina legale definivano "vita". Tali trattati , che non cito per non appesantire l'intervento, definivano il fenomeno vita come caratterizzato dalla persistenza del cd. " tripode vitale " , cioè della triade formata dal battito cardiaco, dagli atti della respirazione e dalla coscienza. Il caso di Eluana si complica perchè persistono (artificialmente) battito e respiro, in assenza di coscienza. Ma per capire che staccare la spina in questo caso non è eutanasia , ma solo il por fine ad una sorta di luciferino accanimento terapeutico, basta osservare che se non ci fossero le complicate macchine moderne , Eluana potrebbe (teoricamente ) sopravvivere solo se un ipotetico rianimatore instancabile stesse per anni ed anni di seguito a manovrare con l'Ambu.
Per chi non lo sapesse l'Ambu è quella sorta di pallone ovalare che i rianimatori usano per "ventilare" il paziente che ha difficoltà respiratorie. Praticamente la medicina è vittima dei suoi progressi ed avendo trovato un Ambu meccanico ed artificiale si pone il falso problema se sia giusto cessare di farlo funzionare quando il/la paziente non "si risveglia " più . Non ci vuole molto a capire che dopo un ragionevole lasso di tempo, che si può anche definire , che può essere anche di alcuni giorni, di fronte ad un elettroencefalogramma piatto non ha più alcun senso mantenere in vita una persona "artificialmente". Oltretutto l'apparente atto di bontà o pietas nei confronti del paziente che si vuol rianimare ma non si risveglia , costa energie e risorse strappate ingiustamente a tanti altri pazienti che potrebbero salvarsi e che non trovano posto in rianimazione . E chi lavora nel campo ospedaliero sa quante volte ciò accade. Quindi per me il caso Englaro non è un caso di eutanasia , ma di accanimento terapeutico.
Altra cosa è tuttavia il caso di chi vive una vita di sofferenze e privazioni e opti per l'eutanasia. Anche qui c'è una sofferenza intensa e che tocca per primo chi la vive, ( vedi ad es. il caso Welby ), ma non può dirsi che sia già cessata la vita del soggetto che la vive tra tante difficoltà. Quindi interrompere l'alimentazione elettrica ad apparecchiature particolari di supporto non rappresenta in questo caso un cessare l'accanimento terapeutico, ma una opzione nei confronti dell'eutanasia. Cosa fare in questi casi ? Chi decide ? Chi ha diritto a parlare ? Anche qui la prima parola va data a chi vive il problema e del resto tutta la legislazione sul c.d. "consenso informato" va in questo senso. Faccio un esempio chiarificatore : se un paziente oncologico viene posto di fronte alla scelta chemioterapia si o no , e rifiuta fa una scelta eutanasica ? Credo proprio di no perchè di fronte ad un male ineluttabile si può decidere di non soffrire ulteriormente con cure che alla fin fine possono essere solo palliative. Gli altri operatori che hanno diritto di parola sono di nuovo gli operatori sanitari che obtorto collo possono essere chiamati in causa ad operare in un senso o nell'altro. La mia considerazione è questa : vista la pluralità di pareri dello stato laico e di tutti, si dovrebbe dare la possibilità di astenersi a quegli operatori che non vogliono comunque partecipare ad un atto " terminale " di fine della vita , permettendogli l'obiezione di coscienza. Altresì la c.d eutanasia dovrebbe permettersi solo quando condizioni di vita oramai solamente artificiali non possono più permettere una ripresa autonoma del tripode vitale. Ma tale possibilità dovrebbe comunque prevedere anche la scelta di vivere di chi si trova in condizioni simili. Faccio un esempio : ci sono pazienti che da decenni vivono dentro un polmone di acciaio perchè autonomamente non respirerebbero più. Sono anche coscienti. Vogliono continuare a vivere . Chi ha il coraggio di dirgli che devono morire ? Nella stessa condizione ci può essere chi come Welby non ne può più . Chi può dargli torto ? Uno stato laico e di tutti, deve tener conto di tali diversità di vedute e non può imporre visioni del mondo ad alcuno, nè in un senso nè nell'altro, sia pur lasciando al dialogo ed al dibattito la possibilità a tutti di esprimersi.
Alberto Spatola