lunedì 26 novembre 2007

Una mente rocciosa


Vi propongo un articolo di Jim Holt, uscito sul New York Times il 18 novembre. Al di là del suo valore intrinseco, va ad attualizzare i temi attorno a cui ci muoviamo e ci scontriamo. Penso alla dicotomia panteismo - monoteismo creazionista delineata l'altra volta da Augusto e alle sue considerazioni sul 'carattere limitato e ontologicamente fragile del mondo' da cui discenderebbe (semplifico) che 'se tutto è sacro niente è sacro' onde il bisogno di un'alterità trascendente che riscatti il cosmo dalla sua contingenza dandogli senso e direzione. Ordine e caso: una contraddizione affascinante che ho visto all'opera nei paradossi della 'scimmia dattilografa'. Un nodo su cui tornare.

La traduzione è mia.

Mind of a Rock
Jim Holt, NYT 18-11-07

La maggior parte di noi non ha dubbi che i nostri simili siano coscienti; siamo anche abbastanza sicuri che molti animali abbiano una coscienza; alcuni, come le grandi scimmie anche l’autocoscienza, la consapevolezza di sé; altri, come cani, gatti, maiali forse mancano di un sé, ma certo sperimentano stati interiori di dolore e piacere. Di creature più piccole, come i moscerini non siamo più così sicuri; non abbiamo alcuna remora quando li uccidiamo. Per quanto riguarda le piante, ovviamente non hanno una mente, eccetto che nelle favole. E così gli oggetti non viventi, come le tavole o le rocce.

Tutto questo è semplice buon senso. Ma non sempre il buon senso è una guida affidabile alla scoperta del mondo. E la parte del mondo che è più recalcitrante alle nostre esplorazioni al momento è proprio la coscienza. Come è possibile che i processi elettrochimici nell’agglomerato di materia grigia che costituisce il nostro cervello diano luogo – o ancora più miteriosamente, siano – l’abbagliante messa in scena della coscienza, con i suoi trasporti di gioia, le sue trafitture d’angoscia, i suoi allunghi di mediocre appagamento misto a noia? E’ questa l’ultima frontiera della scienza, che assorbe le energie di una comunità mondiale di scienziati della mente, psicologi, filosofi, informatici eccetera.

Il problema della coscienza si è rivelato così impervio che alcuni di questi pensatori si sono risolti a un’ipotesi che suona disperata se non completamente folle. Forse, dicono, la mente non si limita ai cervelli di alcuni animali. Forse essa è ubiqua, presente in ogni briciolo di materia, su fino alle galassie, giù fino agli elettroni e ai neutrini, senza trascurare entità intermedie come un bicchiere d’acqua o una pianta in vaso. Per di più, essa non è venuta fuori di colpo quando certe particelle fisiche su un certo pianeta ebbero l’opportunità di acquisire la giusta configurazione; invece, vi sarebbe stata coscienza fin dall’inizio dei tempi.

La dottrina che il nocciolo del mondo sia la mente prende il nome di panpsichismo. Pochi decenni or sono, il filosofo Thomas Nagel ha dimostrato che esso è l’inevitabile conseguenza di alcune premesse che suonano molto ragionevoli. Per prima cosa, il nostro cervello consiste di particelle di materia. Secondo, queste particelle, in certi arrangiamenti, producono pensieri e sensazioni soggettive. Terzo, le proprietà fisiche da sé sole non possono spiegare la soggettività (nessuna equazione della fisica può spiegare l’ineffabile esperienza di gustare una fragola). Ora, ragiona Nagel, le proprietà di un sistema complesso come il cervello non vengono fuori dal nulla; esse devono derivare dalle proprietà dei costituenti basilari del sistema stesso. I quali devono avere essi stessi proprietà soggettive – le quali, nella giusta combinazione, contribuiscono ai nostri intimi pensieri e sensazioni. Ma gli elettroni, protoni e netroni che formano i nostri cervelli non sono differenti da quelli che formano il resto del mondo. Ne deriva che l’intero universo consiste di particelle di coscienza, per così dire.

Nagel non arrivò ad abbracciare il panpsichismo. Ma oggi il concetto sta incontrando una certa moda. Il filosofo australiano David Chalmers e il fisico di Oxford Roger Penrose hanno parlato in sua difesa. Nel suo recente libro “Consciousness and Its Place in Nature”, il filosofo britannico Galen Strawson difende il panpsichismo contro numerosi critici. Come possono, si meraviglia lo scettico, minuscoli granelli di polvere mentale (mind dust), con i loro stati psichici presumibilmente molto semplici, combinarsi e formare quella sorta di complicata esperienza propria di noi umani? Dopo tutto, se metti diverse persone nella stessa stanza, le loro menti individuali non vanno a formare una mente collettiva (o invece si?). Resta il fatto spiacevole che non si possono testare le capacità mentali della luna, per esempio (ma vale lo stesso per la gente – come si può realmente provare che il collega d’ufficio non è un robot incosciente?). Rimane l’irrimediabile stranezza dell’idea di un protone con proto-emozioni, proto-credenze e proto-desideri. A cosa potrebbe somigliare il desiderio di un protone? “forse vorrebbe diventare un quark’ chiosa il solito scettico impertinente.

Il panpsichismo resta più facile comunque da parodiare che da refutare. Anche se si rivelasse un vicolo cieco nella ricerca sulla coscienza, potrebbe per altri versi aiutarci a uscire da un certo provincialismo nel modo in cui guardiamo al cosmo. Siamo esseri biologici. Esistiamo in ragione di composti chimici che si replicano. Recepiamo informazione dal nostro ambiente, e la elaboriamo in modo che i processi auto-replicanti continuino. Come sottoprodotto di tutto ciò, abbiamo sviluppato un cervello che, con appassionata convinzione, riteniamo la cosa più complicata dell’universo. E guardiamo con sussiego la materia bruta.

Prendi la roccia qua sopra (foto di Hansel Adams). Non sembra cha si dia da fare granché, almeno a un’impressione superficiale. Ma a livello micro essa consiste di un numero inimmaginabile di atomi connessi da flessibili legami chimici, tutto in vibrazione a velocità che i nostri supercomputer si sognano. E non vibrano a casaccio. La roccia ‘vede’ l’intero universo tramite la gravitazione e i segnali elettromagnetici che riceve continuamente. Questo sistema può essere considerato un processore di informazione per utti gli usi, la cui dinamica interna rispecchia qualsiasi sequenza di stati mentali che il nostro cervello attraversa. E dove c’è informazione, dice il convinto panpsichista, c’è coscienza. Secondo lo slogan di Chalmers: “L’esperienza è informazione dall’interno; la fisica è informazione dall’esterno”.

Ma la roccia non si esperisce come risultato di tutto questo ‘pensare’. Perché dovrebbe? La sua esistenza, a differenza della nostra, non dipende dalla lotta per la sopravvivenza e la riproduzione. Essa è indifferente alla prospettiva di essere polverizzata. Se siete inclini alla poesia, potreste pensare che la roccia è un essere puramente contemplativo. E potreste trarne la morale che l’universo è, ed è sempre stato, saturo di mente, anche se noi tardivi snob replicanti darwiniani siamo troppo ottusi per capirlo.





I Pizzini di Dio


Cari amici, martedì 13 novembre abbiamo concluso il commento al libro di Augusto Cavadi "E per passione la filosofia" che ci ha dato importanti spunti di riflessione e che avrebbe meritato più tempo per svilupparli tutti.
Ad Anna Pensato il filosofo ideale descritto da Augusto in un passo del libro ha ricordato il poeta Gibran e la sua ricerca dell’equilibrio tra giudizio ed impulso all’azione, che è poi il tema del Fedro di Platone con la splendida metafora del carro in balia di due cavalli, che rappresentano la passione e la ragione.
La sig.ra Carla ha poi efficacemente fatto notare come nella nostra ricerca non siamo liberi, perché condizionati da retaggi culturali e religiosi che risalgono all’infanzia.
Il confronto si è subito acceso sul quinto capitolo del libro: "del Mondo, dunque di Dio" nel quale Augusto dà sinteticamente conto delle risposte della Filosofia al problema dell’Essere e di Dio. Augusto arriva, dopo un avvincente percorso, ad una propria prospettiva che declina in questo modo: ciò che esiste è contingente; presuppone, quindi, un essere necessario da cui derivano senso ed esistenza; questo essere necessario e trascendente è Dio.
Ma di fronte alla nostra legittima curiosità di conoscere l’identità di questo Dio, Augusto allude, accenna, mostra di sapere qualcosa ma si ferma lì: "se mi piace un film - si giustitifica - me lo godo anche se non so chi è il regista" Poi spiega: "La ragione ci dice che c’è una trascendenza, qualcosa da cui tutto ha avuto origine e che tutto sostiene. Il mio non è un atteggiamento fideistico: al contrario, ci vuole molta più fede a credere che tutto si è autocreato casualmente, che l'universo ha prodotto un essere cosciente come l’uomo senza saperlo, senza che ci sia un logos, una razionalità trascendente alla base di tutto..."
E glissando sulla domanda: "di Chi stai parlando?" , con linguaggio tra l’ispirato e l’ambiguo continua: "Beati i semplici che colgono l'essenza delle cose….. " E quali sono queste cose essenziali?" l’abbiamo incalzato, ma Augusto sembrava godere a lasciarci nell’incertezza proprio quando, grazie a lui, eravamo ad un passo dalla Verità. Taceva, come se il suo silenzio alludesse a verità ultime che stava a noi decifrare.
Alla fine, spazientito dallo stile ZEN di Augusto, Francesco Palazzo lo ha stretto al muro prima con un generico: " per me è in malafede chi conosce cose essenziali e ne tace" per passare, poi, ad un sorprendete attacco frontale:
Francesco: "Augusto, tu la sai più lunga di quanto non vuoi farci intendere, siamo stanchi di allusioni e mezze verità, vogliamo discorsi chiari, che ci aiutino a identificare il Super Capo dei Capi, l’ autore di tutte le cose: lo hai visto? Conosci il suo vero volto? "
Augusto: "Tu l’hai detto!"
Francesco:"Allora dicci chi è"
Augusto, schernendosi: "Forse di Lui posso dire solo quello che non è, come insegna la teologia negativa."
Francesco: "Quella non è teologia ma reticenza ed omertà. E’ vigliaccheria bella e buona! Chi sa deve avere il coraggio della denuncia. Ed i fiancheggiatori come te devono parlare. Dove lo hai incontrato? Era solo?"
Augusto: "Era uno e trino insieme"
Francesco: "Non fare il gioco delle tre carte con noi, dicci chi è, dove si nasconde, tanto siamo sulle sue tracce, prima o poi lo scoveremo "
Augusto (sarcastico): "non vi sarà difficile, dicono che è dappertutto!" Poi, facendosi serio: "In verità i panteisti vi depistano, quelli sono capaci di farvi credere che è anche dentro di voi Ma non è mica un virus, anche se effettivamente si attacca alle cose vive… ma voi, perché Lo cercate, cos’ha fatto di male?"
Francesco: "Ha fatto il mondo, ti pare poco? E adesso deve dirci perché"
Augusto: "Forse gli è sfuggito di mano …"
Francesco: "Non cercare di sminuire le Sue responsabilità, ha fatto tutto intenzionalmente e con premeditazione, ha mirato al mondo, ad altezza d’uomo!"
Augusto: "il tuo è solo creazionismo antropocentrico!"
Francesco: "Chiamalo come vuoi, ma solo a noi uomini di questa storia interessa qualcosa. E tu devi dirci tutto quello che sai"
Augusto: "va bene – concede - forse posso dirvi qualcosa, ma con una parabola....del resto di Lui si può parlare solo per metafore, nel linguaggio dei poeti e dei bambini. Per questo Vi racconterò una storia vera, che ho saputo da Adriana. Un bambino, ai primi giorni di scuola, aveva appena cominciato a prendere confidenza con matite, quaderni e insegnanti quando, una mattina, la direttrice entra in classe e annunzia: adesso arriva la vostra maestra. E il bimbo chiede: quale, quella a righe o quella a quadretti? Questa la storia. Ebbene: Dio è sia a righe che a quadretti"!
Fuori dallo studio io ed Anna, con la scusa che siamo suoi compari, abbiamo cercato di saperne di più, ma Augusto si è allontanato lasciandoci un sorriso enigmatico. Solo dopo ci siamo accorti che aveva perso un pizzino, in cui era scritto: " la Musica è una vibrazione in cerca di chi, dotato di un appropriato apparato auditivo collegato al cervello, sia in grado di ascoltarla e di percepirne l’armonia. Se non incontra nessuno, se tutti siamo sordi, resta solo un’inutile vibrazione persa nello spazio, che non esiste come musica. Allo stesso modo Dio, come la musica e l’armonia, non ha un’esistenza oggettiva ma solo latente, possibile. Se non siamo in grado di percepirLo con i nostri sensi spirituali, se non ci sono un incontro ed una relazione, Dio rimane in un regno incantato, in letargo, in attesa di un risveglio che non dipende da Lui. Altro che l’onnipotenza di cui cianciano i teologi, la Sua esistenza è più precaria di quella di un direttore d’orchestra CO.CO.CO alla disperata ricerca di un nuovo contratto a progetto che solo noi possiamo dargli.!"
Martedì inizieremo a commentare il brano di Isaiah Berlin: le idee politiche del ventesimo secolo. Gianni ci guiderà con un’appropriata introduzione.
Vi lascio con alcune citazioni
Pietro
- Vi benedica il Signore e Vi protegga. Sappia che, se Vi posso essere utile, con il volere di Dio sono a sua completa disposizione. (da un pizzino di Bernardo Provenzano).
- Dio creò l'uomo alla fine, quando era già stanco. Questo spiega molto. Mark Twain
- Il volto di Dio Padre potrebbe essere nient'altro che il nostro, quello di ognuno di noi (Meister Eckart)
- E Dio creò Adamo dal fango, lo creò a sua immagine e somiglianza e poi gli sputò. E Adamo disse "cominciamo bene!" Giobe Covatta

domenica 25 novembre 2007

Dove siete?

Sempre caro mi fu quest'ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura.

E come il vento odo stormir tra queste piante, quell'infinito silenzio a questa voce vo comparando e mi sovvien l'eterno e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.
Così tra questa immensità s'annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare..

..forse l'ha detto qualcuno..

venerdì 16 novembre 2007

Da Rosanna Provenzano


Carissimi
finalmente veniamo fuori in tutti i sensi.....
il 31 ottobre alle 21.00 è nato PIETRO (che spero sia forte di spalle e di intelletto come il nostro caro amico e che abbia la stessa vena ironica ed il meglio di noi/ voi tutti) ! Vi mando una sua foto... sperando di non disturbare il delirio filosofico che oramai alberga dentro tutti !! A proposito quando posso iscriverlo al gruppo? Occorrono certificati particolari.... tipo quelli richiesti dal pediatra? Lui è ancora nell'essere e quindi riesce a produrre soltanto vagiti filosofici!!! Ma è comunque un contributo,no?

Un abbaccio a tutti da me ed Emilio.Sperando che Pietro vi conosca al più presto!!! Almeno appena mi riprenderò del tutto!
Ancora grazie per il vostro affetto

mercoledì 14 novembre 2007

I'm still alive..


Ieri sera non ero con voi perchè sono stata alcuni giorni all'Ettore Maiorana dove avevo una relazione. Vi ho pensato con affetto e tanta stima e sono impaziente di leggere sul blog quanto verrà....

lunedì 12 novembre 2007


Due sistemi di pensiero l’un contro l’altro armati si sono confrontati l’ultimo martedì tra i partecipanti alla cenetta flosofica. Da una parte si sono schierati i relativisti secondo i quali ci sono tante verità quanti sono i punti di vista, dall’altra si sono posizionati i realisti che hanno perentoriamente sponsorizzato una realtà "oggettiva" (che, guarda caso, coinciderebbe proprio con la loro).
Ci sono stati momenti di vera tensione tra le opposte tifoserie quando il realista Augusto ha usato, a proposito della verità, la parolaccia "assoluta", con la scusa che lui la proclamerebbe con pacatezza ed umiltà: "sono aperto al dialogo ed all’ascolto- ha assicurato - e disposto anche a mettere in discussione la mia verità, quantunque sia l’unica che esiste". Di fatto, però, ha accusato noi relativisti di aprire la strada al nichilismo ed al vuoto di valori: senza criteri "oggettivi" di riferimento a cui ancorarsi – ci ha avvertito - non resterebbe che il terrorismo per risolvere i problemi di convivenza tra gli uomini!
Ma le minacce di Augusto, non hanno intimorito i relativisti che, con Marcella, hanno vivamente protestato contro la pretesa di una Verità assoluta e, quindi, non modulata a seconda dei contesti; una verità, quindi, che si pretende abbia fondamento e valore "oggettivi" a prescindere dai luoghi, dai tempi, dalle culture e dai punti di osservazione: "terroristi sarete voi realisti- ha ribattuto Marcella - che cercate di intimorire i filosofi laici al grido: se non c’è una verità oggettiva tutto è permesso!
Malauguratamente, però, con Augusto si è subito schierato Alberto secondo cui noi relativisti proveremmo fastidio per il realismo solo perché ci costringe a confrontarci con i fatti: "non si può sostenere tutto e, contemporaneamente, il contrario di tutto", ha incalzato e, sfruttando bassamente le sue conoscenze scientifiche in campo neurologico, ha spiegato che le persone sane si distinguono da quelle disturbate proprio perché sono capaci di uno sguardo oggettivo sul mondo e non confondono le loro visioni con la realtà, con ciò praticamente diagnosticando a noi relativisti disturbi di cognizione e sintomi di scollamento dalla realtà.
Solo un pacato intervento di un’altra specialista della mente, Maria Ales, ha impedito che dalle offese verbali si passasse ai fatti, ricordando come anche le persone sane vivono nella contraddizione dato che sentono in un modo e agiscono in un altro, mentre la loro comunicazione si svolge, molto spesso, tra riserve mentali e bugie, tra il dire una cosa e pensarne un’altra. La contraddizione, ha concluso acutamente Maria (sempre più simpatica), è costitutiva proprio di ciò che noi chiamiamo realtà.
Ma il saggio intervento di Maria non è bastato per placare gli animi delle due fazioni ed Augusto, sempre più spazientito, ha insistito: non parliamo a vanvera, le cose o sono o non sono; Dio, ad esempio, o c’è o non c’è " ed ha chiosato: "terzium non datur", sperando così di metterci in soggezione con l’unica frase latina che conosce. A questo punto opportunamente Giovanni La Fiura ha provato a mediare, con un’abilità degna di Veltroni: "una terza via esiste - ha spiegato - in base alla quale Dio c’è e, nello stesso tempo non c’è. E’ vero – ha proseguito - che Dio esiste ma è anche vero che non esiste: Dio siamo noi, o meglio gli uomini del futuro, quando ci evolveremo e realizzeremo tutte le nostre potenzialità". Troppo bello, abbiamo pensato i relativisti: Dio, dunque, non è un dato di fatto noioso e scontato ma appartiene ad un regno del possibile che dipende da noi realizzare. Gli uomini, insomma - o almeno i più relativisti tra di loro - possono "generare" Dio (sarà questo che intendono dire le scritture quando parlano del "Figlio" dell’Uomo?).
Ma mentre una divina euforia si diffondeva già tra noi relativisti che vedevamo finalmente riconosciuto il ruolo creativo dell’uomo, ecco che viene fuori Francesco Palazzo a sbatterci in faccia una realtà molto più prosaica, con un’argomentazione che tradisce le sue ormai note fobie nei confronti dei materiali lapidei "non potete fare discorsi così generici- ha obiettato - esistono solo cose concrete, come il muro, duro e pesantemente oggettivo, che vi si parerà davanti quando andrete via in machina da qui, e se non lo scanserete in tempo vi ci fracasserete contro in un modo per nulla relativistico ma dolorosamente reale".
Di fronte a quest’ennesima intimidazione l’incanto si è rotto definitivamente ed a nulla è valso il poetico tentativo di Donatella ("forse il mondo è una bolla di sapone; oppure noi siamo solo i personaggi di un giochino informatico…") di fronte alla scelta di campo "realistica" che, alla fine, ha fatto anche Giovanni ribattendo: "se noi siamo solo personaggi virtuali di un giochino informatico, vuol dire che ci saranno delle persone ben reali che in questo momento stanno giocando con noi…").
Così non è rimasto che decidere in modo bipartisan di rivederci martedì prossimo 13 novembre per l’ultimo commento al libro di Augusto (da leggere sino alla fine).
Vi invito, intanto, a frequentare il nostro Blog (
http://cenettefilosofiche.blogspot.com/ ) dove le discussioni tra realisti e relativisti sono proseguite anche dopo quest’ultima cena; potrete così misurare l’intolleranza dei realisti che, approfittando slealmente del fatto che la realtà, con i suoi muri da evitare, si fa spesso complice del loro gretto riduzionismo, irridono alla poetica creatività di noi relativisti (basti dire che Alberto mi chiama sarcasticamente Luca perché tanto – spiega sghignazzando - Pietro non esiste oggettivamente).
Vi lascio, come al solito, con alcune famose citazioni (la prima l’ho trovata sul nostro blog ed è stata scritta da un noto realista in un momento di lucidità)
Ciao Pietro
"Nell'evo moderno, le verità assolute e basilari dal punto di vista ontologico , sono tramontate. Da Kant in poi l'unica verità certa è quella del soggetto che crede di conoscere una realtà oggettiva , ma che in realtà non va oltre le proprie categorie conoscitive…è tramontato il concetto oggettivo di verità…"(Alberto Spatola);
"Il fenomeno non è staccato dall'osservatore ma intrecciato ed intessuto con la sua individualità" (Goethe).
" Uno solo è il percorso che può consentirmi di esplorare davvero la realtà, ed è il viaggio interiore, almeno sinchè non mi riparano l’auto". (un Guru di oggi).

Pietro, dove seì?

Insomma, da quando c'è questo blog voliamo alto. Siamo giunti sino all'anima. Tutto molto stimolante. L'unica cosa che mi preoccupa è che non vedo ancora la consueta circolare di Pietro. In genere appariva il venerdì precedente l'incontro e siamo a lunedì. Già la mia piccola parte di cervello funzionante comincia ad avvertire una crisi d'astinenza.

sabato 10 novembre 2007

Neuroscienze e filosofia

Sul numero di novembre della rivista Mente & cervello si può leggere il resoconto di un interessante dialogo tra il fisiologo Vittorio Gallese (quello dei neuroni specchio) e la filosofa Roberta De Monticelli, i quali cercano di gettare un ponte tra i saperi andando al di là dei riduzionismi scientisti e dei pregiudizi teoretici verso le scienze. Gallese si pronuncia contro «la metafisica dello “scatolino”» e cioè la ricerca dei diversi gruppi di neuroni che da soli spiegherebbero ogni cosa, dal carattere alla storia di ciascuno, dalla timidezza al senso per gli affari, dal linguaggio all’amore…una metafisica che avrebbe «viziato molta parte delle neuroscienze del Novecento e pure un filone del programma dell’intelligenza artificiale» (p. 74). I due studiosi concordano anche sulla centralità del Corpo. «Il paradigma logocentrico e cartesiano del cognitivismo classico –afferma Gallese recuperando la terminologia di Jacques Derrida- si rifiuta di vedere l’importanza della presenza corporea, della dimensione pragmatica dell’esistenza, in cui il soggetto è costitutivamente intersoggettivo. Siamo ancora in pochi a dire queste cose» (p. 74). Lo scienziato conclude osservando che «tutti fanno filosofia, anche chi fa scienza. c’è chi lo fa in modo consapevole e chi no. Nel momento in cui iniziamo a parlare di intersoggettività, empatia, emozioni, libero arbitrio, bisogna mettersi d’accordo su che senso dare a questi termini. Su queste tematiche la fenomenologia può dire cose interessanti anche per un neuroscienziato. È imprescindibile un rapporto con la filosofia, perché queste domande devono essere formulate in modo corretto per presumere di avere risposte corrette» (p. 75).

(Su Cybersofia ho scritto una recensione un po' più ampia di questo numero di M&C)

giovedì 8 novembre 2007

Il cervello del XXI secolo


Come consigliava caldamente Pietro in una sua nota in questo blog, sono andato a leggere l’ottima recensione di Alberto Biuso a “Il cervello del XXI secolo” di Steven Rose.
Il recensore in parziale accordo/ disaccordo con il recensito ci ricorda che il cervello non è un organo unico e monocorde ma rappresenta un insieme plastico e variegato di strutture, «un insieme di processi dinamici, parzialmente correlati e parzialmente indipendenti», riprende ‘l’emotio, ergo sum’ di Damasio, ci parla del ricordo come evento attivo e critica il riduzionismo organicista della ‘scienza ufficiale’ incapace di avvicinarsi alla complessità del corpo – mente – cervello, e prosegue su tante altre cose interessanti alle quali vi rimando. Ho appena scritto che il cervello è plastico: sì, ma quanto plastico? Qui preme soffermarmi su una storia in cui sono inciampato (ma si trattava di una riscoperta) quando alla fine dell’articolo di Alberto sono passato doverosamente alla lettura dei commenti; e in quello sapido e frizzante del prof. Raciti stava incastonata appunto la Storia dell’uomo che visse senza un cervello o quasi (e si scioglie l’enigma della ‘radiografia’ di Homer Simpson in apertura).

Nel 2003 un paziente di Marsiglia viene ricoverato in ospedale con una diagnosi di idrocefalia; il cervello si presenta letteralmente compresso sulla parete della scatola cranica e le sue dimensioni sono ridotte al minimo. Nonostante ciò, assicura il neurologo Lionel Feuillet (quasi un collega di Rose), “l’uomo riesce a condurre una vita normale”.

Il caso è apparso sull’autorevole rivista medica londinese The Lancet. Sposato e padre di due figli, a questo impiegato pubblico di 44 anni è stata diagnosticata una idrocefalia non-comunicante (un aumento della quantità di liquido cefalo-rachidiano). Gli esami (scanner, IRM) hanno rivelato delle immagini molto inconsuete, con “delle cavità ventricolari enormi”. Il cervello, sia la sostanza grigia che quella bianca, costituiva un sottile strato appiattito sulle pareti della scatola cranica. Per i medici la discordanza tra immagini tanto inquietanti e una vita quasi normale, è ‘un messaggio di speranza’: il cervello del paziente, che è stato curato efficacemente nella prima infanzia, ha avuto modo di adattarsi plasticamente alla patologia, con il solo scotto di un piccolo ritardo intellettuale (q.i. 75). E parliamo di una massa cerebrale ridotta di un buon 80-90%...

Che si possa vivere senza usare il cervello, appare un dato incontrovertibile, se ci guardiamo attorno, però questa è solo una battuta, e non delle migliori…

Attingendo fin dai tempi pionieristici all’inesauribile riserva del meraviglioso che è internet, avevo letto diverse volte di storie simili: persone con un cervello ridottissimo, quasi inesistente che conducevano una vita normale, alcuni di loro con un alto quoziente intellettivo.

John Lorber, il neurologo inglese tra i pochissimi al mondo ad avere approfondito il caso degli idrocefali intelligenti fin dalla metà degli anni ‘60, ha posto provocatoriamente la questione se il cervello è veramente necessario .. Uno dei primi casi portati alla sua attenzione riguardava un giovane con un q.i. di 126, premiato per le sue doti matematiche, ma privo virtualmente di cervello; un esame non invasivo (cat scan) chiarì che alle pareti del suo cranio aderiva uno strato di cellule cerebrali non più spesso di un millimetro; il resto della cavità cranica era occupato da fluido cerebrospinale; il ragazzo continuò la sua vita normalmente, eccetto che per la nuova consapevolezza di non avere cervello. Evidenze aneddotiche come queste sono comparse spesso nella letteratura medica. Merito di Lorber è stato lo studio sistematico di questi casi. Ne ha raccolti più di 600 e li ha divisi a seconda della gravità:

- quelli con un cervello quasi normale

- quelli con una capacità ridotta al 50-70%

- quelli con una capacità ridotta al 70-90%

- quelli più gravi, con la cavità cranica riempita al 95% di fluido

Dell’ultimo gruppo, che comprendeva circa il 10% del campione, la metà era gravemente ritardata. L’altra metà aveva un q.i. superiore a 100. Gli scettici hanno attribuito i risultati a errori di lettura dei cat-scan e certo, ammette Lorber, ‘smorfiarli’ è abbastanza difficoltoso; “io non so se lo studente di matematica aveva un cervello di 50, 100 o 150 grammi. So però che era ben lontano dal chilo e mezzo della media”. Si attribuisce il merito di queste prestazioni mentali apparentemente impossibili alla ‘ridondanza’ del cervello e alla sua capacità di riassegnare le funzioni, anche se, ammettiamolo, sono risposte che non spiegano molto.

Le anomalie, che poi sono la punta visibile di complesse fenomenologie e non scherzi di natura, vengono spesso marginalizzate, perché esigono risposte che oggi la scienza non è in grado di dare, e questo avviene in vari settori, pensiamo agli esperimenti che hanno confermato l’esistenza della fusione fredda (di fatto ignorati o ridicolizzati) o alle evidenze osservative che contraddicono la teoria del big bang (gli eretici sono stati banditi dai grandi telescopi) ; viene più comodo confermare le vecchie certezze, e i relativi assetti di potere, chiudendo le carte scomode dentro un cassetto.

Tornando al punto, forse è stata sovrastimata l’importanza della corteccia cerebrale: si è fatta anche l’ipotesi che funga da libreria di consultazione, mentre le strutture profonde del cervello avrebbero un ruolo più decisivo; forse al contrario è proprio il neopallio, lo strato più esterno della corteccia che in molti idrocefali si salva (anche ridotto a un millimetro ma ‘spalmato’ su una vasta superficie), ad assicurare le funzioni intellettive; vero è che il cervello ha una grande capacità di adattamento alle patologie e alle lesioni, e gli spendidi libri di Oliver Sacks ce lo dimostrano. E vero è, soprattutto, che non sappiamo come il cervello produca la sua mente, ammesso che “la mente sia semplicemente ciò che il cervello fa” (Minsky). Non sappiamo come si ricrei immediatamente e momento per momento l’unità della coscienza e della nostra vita interiore.

martedì 6 novembre 2007

Il quasi-reale, ovvero: ipnosi e principio di verità

Noi e l'ipnosi
L’ipnosi è un possibile stato della coscienza. Potremmo anche definirlo “alterato”, ma di fatto l’esperienza del mondo attuale, con l’uso diffusissimo di linguaggi e di simbolismi “ipnotici” da parte della pubblicità, della politica e dei media, ci dimostra che in questo stato ci ritroviamo molto spesso. Per cui è difficile dire quando lo siamo o no. Non ce ne siamo accorti? E’ proprio quello che volevano! Chi sono “loro” ? Semplice, i detentori di un qualsiasi potere sulla massa. Pensaci. Stai guidando, e mentre la tua parte razionale è intento, e crede di guidare, la tua vera coscienza legge perfettamente, e recepisce, cosa c’è scritto nei grandi cartelloni pubblicitari, lettera per lettera. In realtà, siamo guidati, e molto spesso anche.

L’ipnosi come ricerca ha altri scopi. Innanzitutto esplora un terreno traballante, ancorato sul famoso interrogativo se può esistere una “verità comune” su cui potremmo essere tutti d’accordo. Ebbene, praticando l’ipnosi su svariati soggetti (consenzienti !) è curioso osservare che si arriva per necessità di cose al principio espresso da Alfred Korzybski, di cui raccontava Giovanni. Questo principio, definito secondo una corrente terminologia ipnotista adottata da alcune scuole, si chiama “quasi-reale”.

Caratteristiche del quasi-reale
Il quasi-reale di una persona altro non è che la sua personale rappresentazione del mondo esperienziale, unica ed irripetibile, ma fedele a sé stessa, entro archi di tempo prefissati e sufficientemente lunghi. Al suo interno possono coesistere contraddizioni e paradossi ma il soggetto, di fronte a determinate domande, sarà coerente con sé medesimo nelle risposte. Il gatto può essere bianco e nero nello stesso momento, ma per lui/lei sarà sempre così, fino a quando non trova una motivazione profonda per sostituire quella particolare rappresentazione.

L’altra caratteristica fondamentale che si osserva, è che tutto ciò che il soggetto percepisce come facente parte del suo mondo interiore è per lui assolutamente “vera”. Un ipnotista che non tenesse conto di questo principio, rischierebbe di far seriamente male al suo interlocutore. Se hai davanti a te un soggetto che, durante lo stato di ipnosi, “vede” davanti a se una tigre che sta per sbranarlo, non puoi dirgli -“Ma no, non ti preoccupare ! Stai sognando!”. Dal momento che per lui la tigre è assolutamente reale, rischieresti di entrare in rotta di collisione col suo essere e di combinare guai. Che ne so, dovrai dirgli magari: “Guarda alla tua destra, vedrai una porta stretta: rifugiati velocemente lì dove la tigre è troppo grande per passare !”. Il suo quasi-reale ha il concetto di porta stretta, per cui egli la visualizzerà velocemente, e sarà altrettanto “vera”, ed il gioco sarà fatto.

Il quasi-reale è quindi la rappresentazione, la mappa del mondo di ciascuno, e risulta formato da un insieme di ricordi, di concetti, di attributi possibili e di valori assegnati. In generale non è un casellario squadrato. Ogni volta che si ripete l’esperimento con la medesima persona, in generale non si riuscirà a tornare nello stesso punto seguendo il medesimo percorso. Poiché nel frattempo qualcosa sarà mutato, essendo la mappa in aggiornamento ed estensione costante. Il quasi-reale delle persone non è rigido, può essere modificato usando alcuni “trucchi”, anzi viene comunque continuamente modificato in questo modo. Quante volte ci è successo di entrare in un grande magazzino con l’intento di comperare alcune cose, ed alla fine di uscirne con altre completamente diverse? Quando abbiamo comprato la nostra auto, perché abbiamo scelto proprio quella?

Qualcuno ha fatto giustamente notare (PNL) che la mappa non è il territorio. Se davvero esista uno ed un solo territorio indipendente da noi e pertanto “vero” non può saperlo nessuno essendo, il nostro personale punto di osservazione, ancora una volta, un quasi-reale come tanti altri. La verità assoluta potrebbe assimilarsi al concetto di infinito, un limite estremo che è possibile solo concepire teoricamente ma forse non raggiungere e verificare, almeno a partire dalla condizione umana in cui ci troviamo.

Un'altra caratteristica interessantissima del quasi-reale, individuabile attraverso l’ipnosi, è che il soggetto riesce ad interagire con effetti fisici consistenti nel mondo esterno, su di sè o su gli altri, usando la propria personale interpretazione. Quindi l’input e l’output hanno la stessa “forza” incisiva nella materia.
Ciò ci ricorda, molto umilmente, che non è necessario avere in mano la “verità assoluta” per produrre gli effetti desiderati, ma che bastano il desiderio profondo, la volontà, l’energia. Tutte cose che si scaturiscono normalmente dal quasi-reale di ciascuno.
Potenzialità dello stato ipnotico cosciente
Una persona in stato ipnotico è di per sé felice; è perfettamente in grado di controllare sé stesso di calmare i dolori, arrestare una emorragia, ed in gran parte di rigenerarsi energeticamente e fisicamente in poco tempo. Questo è sempre verificato biunivocamente, nella relazione tra soggetto ed ipnotista: per questo l’ipnosi può funzionare terapeuticamente, ma senza certezze di ottenere gli effetti desiderati da entrambi. Per raggiungere un risultato si deve trovare la strada giusta.
In ipnosi è normale ricordare perfettamente ogni momento della propria vita andando indietro nel tempo, fino a sei giorni prima di nascere. Basta dare data ed ora, e chiedere “Cosa stai facendo in questo momento?”. Il soggetto è anche in grado di rivisitare altre “vite”, collocabili in un passato storico (Sono sue? Non lo sono? Certamente sono per lui “vere”. Entreremmo qui nel campo delle interpretazioni, e ciascuno avrà le sue. Quindi lasciamo stare…).

A confronto di tutto ciò, un individuo “in normale stato di veglia”, quasi normalmente è già fortunato se riesce a sentirsi né stanco né stressato. Di solito non vede bene, o non sente bene, e i suoi muscoli di occidentale benestante sono quasi completamente atrofizzati. E’ distratto, o ha il mal di testa. Non respira e non digerisce correttamente; non si nutre, correttamente. Se non mangia o non beve o non dorme o non fa l’amore “ai suoi propri orari”, allora soffre. Se questo è un Uomo “sveglio”, ditemi voi….
Cognizione della realtà ed ipotesi "oniriche"
Tornando adesso a rivisitare la questione dal punto di vista filosofico o scientifico o esistenziale, ci chiediamo: cosa possiamo conoscere davvero? Tentare di rispondere a questa domanda (forse) è il vero motivo per cui ci troviamo qui. Da un lato vi sono i filosofi, dall’altro i poeti, dall’altro ancora gli scienziati ed i matematici e ciascuno ammira il mondo dai balconi dal proprio personale palazzo.
Vi è però un saggio (sarà forse un maestro, un illuminato ?) che parla attraverso i miti. I miti sono più flessibili, ed hanno la capacità di contraddirsi, senza che questo costituisca un problema. Così come ci piaceva che la mamma ci raccontasse le favole prima di andare a letto, e non ci importava per niente se fossero vere o inventate, allo stesso modo molti “maestri dello spirito” hanno parlato sull’argomento della verità in questo particolare modo. E forse, con umiltà, ci hanno insegnato che il sogno non è per noi meno importante del ragionamento o dell’arte.

Uno ha detto una volta: “l’Essere è Verita, la Verità è l’Essere.”
Un altro invece ha raccontato che una grande, immensa Divinità si sia frantumata nel Mondo delle Forme dopo averlo creato, per tentare un esperimento grandioso: ampliarsi e ricomprendere sé stesso a partire dalla molteplicità, cortocircuitando la propria assoluta unità primeva. Una sfida che può anche perdere, se non si ritrova “in tempo e nel tempo”. Cosa succederebbe se non ci riuscisse? Non si sa, poiché la Divinità non era stupida (speriamo!). Se avesse predeterminato qual’era la fine del film, si sarebbe annoiata. Invece ha pensato di entrare in un numero infinitamente grande di esseri individuali, dotandoli del potere più grande che può esistere: la libertà di scelta e di creazione (o distruzione). Individui che possono popolare liberamente ogni angolo dell’Universo conosciuto e di tutti gli Universi del possibile. Sta a loro riconoscere, o meno, la propria unità e la propria origine. Se questo dovesse mai avvenire il Mondo delle Forme sarebbe “divinizzato”, e la partita vinta. Altrimenti la materia, l’energia e le forme scomparirebbero nel nulla dal quale sono emerse.
Non dovrebbe stupirci allora il constatare che in giro nell’universo vi siano molte forme di vita distruttive, verso sé e verso altre specie.
Verità assoluta e verità relative non si contraddicono...
Secondo questa particolare visione, l’Uomo non è costretto a riconoscere Dio, ma le so facesse, “potrebbe” anche convenirgli. Come fare? Attraverso un atto di volontà, innanzitutto. Ma certamente non può bastare. Ma la fine del film non è data, perché ciascuno ha la propria, ed attraverso la propria può vedere e modificare, se vuole, il mondo. Può aprire delle porte "molto particolari".
Viceversa puoi anche pensare che la materia sia sempre esistita, che il nostro pensiero è prodotto dalla materia, e che alla fine tutto scomparirà comunque. Dobbiamo scegliere: siamo noi il creatore al Centro dell'Universo: creeremo ciò che desideriamo, la vita o la morte sono in nostro potere, che intendiamo usarlo o meno. Chi desidera l’annullamento totale, riuscirà certamente ad accontentare se stesso. Se una parte di noi desidera approcciare una ipotesi di “Vita Eterna” deve farlo qui ed ora, perché nessuno ha il diritto di influenzare il film personale di qualcun'altro, e perché nessun altro ha il diritto di rispondere al posto nostro alla nostra intima domanda. Quando il film (personale e collettivo) sarà finito non sappiamo nemmeno cosa succederà. Fa parte delle regole del gioco, ma soprattutto della nostra esperienza ontologica.

Se tutto ciò fosse “vero”, o semplicemente desiderato, vorrebbe dire che per conoscere meglio qualcosa del mondo abbiamo bisogno di mettere in comune ciò che “abbiamo visto, sentito e compreso” con tutti gli altri esseri umani. Senza di ciò non potremmo consolidare dei risultati. Il mondo è innanzitutto il mondo interiore di ciascuno. Non esisterebbero allora punti di vista più “veri” di altri, ma solo punti di vista, che però sarebbero tessere di un unico grande mosaico che ciascuno può scegliere liberamente di condividere per uno scopo più grande, diverso da quello egoistico. Ogni tessera potrebbe essere quindi dotata di una propria funzione particolare in un contesto più ampio, che può essere riconosciuto solo individualmente. Sembra perverso, ma per me è bellissimo.
Il mio colore ha bisogno del tuo...
Come la luce che entra in un cristallo si scompone in un raggio di arcobaleno, in modo inverso se tu unisci il tuo proprio colore con quello degli altri otterrai, otterrete, otterremo, la Luce.
Attenti però, se guardata direttamente da vicino, la luce fa male agli occhi!

“…Verrà il giorno in cui il Filosofo, il Poeta, il Fisiologo, parleranno la stessa lingua, e si comprenderanno…”

E. Schurè
(da “i Grandi Iniziati”)

sabato 3 novembre 2007

Ancora contraddizione


Secondo Aristotele la metafisica riguarda lo studio dell’essere, l’ontologia: il principio di non contraddizione ne è il più fermo sostegno. Senza di esso non possiamo conoscere nulla di ciò che conosciamo e non possiamo demarcare la materia e il soggetto di alcuna scienza, come la biologia o la matematica. Se è per questo, non potremmo neanche distinguere tra loro un uomo e un coniglio, né dire se sono bianchi o neri. L’incapacità di fare distinzioni renderebbe impossibile qualunque discussione razionale. Il principio di non contraddizione insomma è la base della ricerca scientifica, come del ragionare comune e di ogni tipo di comunicazione.

il principio di non-contraddizione afferma la falsità di ogni proposizione implicante che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proposizione non-A, sono entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. Secondo le parole di Aristotele, "Non è lecito affermare che qualcosa sia e non sia nello stesso modo ed allo stesso tempo." (voce wiki ita)

Si può dire anche così:

Un sistema logico dove siano valide le comuni regole di inferenza e dove sia anche presente una contraddizione, ossia sia VERA (completamente vera) una affermazione e anche la sua negazione, è privo di logica, di struttura e di informazione, poiché tutte le affermazioni sono vere (comprese le loro negazioni). E quindi non può essere interessante poiché non comunica informazione. (voce wiki ita).

Pietro si chiedeva l’altra volta se per caso nel contesto gnoseologico aperto dalla fisica quantistica non fosse andato in crisi anche il principio di non contraddizione. Ora, a mio modesto avviso, la logica comune, quella che permette di andare avanti nella vita, di scambiare informazioni, di ragionare, come diceva Aristotele (e di cui non godono certe persone, purtroppo, come gli schizofrenici) e come ribadisce giustamente Alberto, non è certamente sovvertita dalla nuova fisica: non posso predicare del mio paracqua che è bianco e nero nello stesso modo e nello stesso tempo, senza accusare con questo anche qualche problemino, quantomeno visivo. Non credo a questi sprechi, ma ammettiamo pure per un attimo che siano vere le teorie di Everett, Deutsch e altri: che ad ogni momento, ad ogni infinitesima scelta si dipartano dal nostro universo mille e mille altri universi in cui si realizzano tutte le possibili alternative che non si sono realizzate da noi (la teoria del multiverso: molto parca nelle assunzioni teoriche e però prodiga di universi). Ma questo non vuol dire che all’interno di ogni universo succitato non valgano più alcune regole logiche (che poi sono onto-logiche) fondamentali. Non si può vivere in un posto in cui non si può distinguere un essere dall’altro, un tavolo da un precipizio, e forse non si può nemmeno immaginare un simile luogo, e pensare in un simile luogo. Non ci riusciremmo di sicuro noi umani, ma solo, forse, il Dio di Spinoza, quello della coincidentia oppositorum.

Nulla è andato in crisi allora, dopo il 900, il secolo breve della fisica, e di tanti altri sconvolgimenti? Non credo proprio. Forse si è come attenuata la natura dell’essere delle cose, il loro stare al mondo, per così dire. Non si può più usare il verbo essere come una volta. Già nel 1933 Alfred Korzybski ha proposto di evitare per quanto possibile il verbo ‘è’ dell’identità, quello che si usa in proposizioni come “Joe è un comunista”, “Mary è una stupida commessa”, “l’universo è una grande macchina”. Il linguaggio che evita il verbo essere serve come antibiotico, secondo Korzybski e i suoi emuli (come l’acuto ed eccentrico R.A. Wilson da cui traggo queste notazioni) verso il pensare demonologico, farcito di stranezze e superstizioni, a cui costringe la grammatica identitaria. Secondo il piano della General Semantic, ci si propone di sostituire al quadro essenzialista del buon vecchio Aristotele, un linguaggio operativo/ esistenziale. Facciamo alcuni esempi in liguaggio essenzialista e traduciamoli in stile operativo:

Il fotone è un’onda – il fotone si comporta come un’onda se viene misurato da certi strumenti.

Il fotone è una particella - il fotone appare come una particella se viene misurato da certi altri strumenti.

John è infelice e irritabile – John in ufficio sembra infelice e irritabile.

John è brillante e allegro – John sembra brillante e allegro in vacanza sulla spiaggia.

La macchina coinvolta nell’incidente era una Ford blu – a mia memoria penso di ricordare che la macchina coinvolta nell’incidente fosse una Ford blu.

Questa è un’idea fascista – a me sembra un’idea fascista.

Beethoven era meglio di Mozart – nel mio attuale stato, sospeso tra educazione musicale e ignoranza, Beethoven sembra meglio di Mozart.

L’erba è verde – alla maggior parte degli esseri umani, l’erba appare verde.

Il primo uomo ha colpito il secondo con un coltello – penso di aver visto che il primo uomo colpisse il secondo con un coltello.

Notiamo subito che la prima e la seconda proposizione (“il fotone è un’onda”, “il fotone è una particella”) si contraddicono a vicenda, se scritte nel ‘linguaggio dell’essere’, né più né meno come se scrivessimo “Robin è un ragazzo” e “Robin è una ragazza”. Nondimeno, alla fine del diciannovesimo secolo i fisici si trovarono a dibattere accanitamente su queste proposizioni, finché, all’inizio degli anni ’20, non divenne ovvio che il risultato sperimentale dipendeva dagli strumenti, o meglio dal set-up strumentale, dal progetto dell’esperimento stesso. Un tipo di esperimento dimostrava ogni volta la natura ondulatoria della luce, e un altro la sua natura particellare. Questa contraddizione causò una notevole costernazione nella piccola comunità dei fisici. Qualche teorico dei quanti cominciò a scherzare sulle ‘ondicelle’. Altri proclamarono affranti che ‘l’universo non è razionale’, e intendevano dire che l’universo non seguiva la logica dell’essere. Altri ancora restarono in attesa speranzosi dell’esperimento definitivo che avrebbe provato se il fotone è un’onda oppure è una particella. E ancora aspettano. Con la traduzione operativa delle due proposizioni, paradossi e irrazionalità spariscono dall’universo: poiché la logica operativa ci ha costretto a parlare di ciò che nello spazio-tempo dell’esperimento è effettivamente avvenuto (una misurazione, nello specifico), mentre il linguaggio dell’essere, per così dire, ci lasciava fantasticare su qualcosa che nello spazio-tempo non è stato mai osservato: il come è del fotone , la sua essenza.

La debolezza (o la forza) del ragionamento aristotelico sta nell’assunzione che delle ‘cose’ dimorano nella realtà, che al fondo di ogni oggetto si acquatti ciò che il cinico filosofo Max Stirner chiamava uno ‘spettro’. L’universo aristotelico presume appunto un assemblaggio di ‘cose’ con ‘essenze’ o ‘spettri’ al loro interno, mentre l’universo della scienza presume solo una rete di relazioni strutturali. Ma questo non significa che il ragionare non richieda più una logica stringente, proprio il contrario semmai.

L’ultima proposizione, che non contiene il verbo essere, e potrebbe quindi andar bene per la logica operativa, introduce però nuove sottigliezze. Infatti se la riferiamo a un famoso (per la sua infidia) esperimento psicologico, rivelerà ancora una volta la spassosa fallacia del linguaggio comune.

Nell’esperimento due uomini irrompono in una classe della facoltà di psicologia, lottando e strepitando, finché uno fa la mossa di accoltellare l’altro, che crolla esanime. La maggioranza degli studenti, ovunque l’esperimento sia stato provato, dichiarano di aver visto un coltello nella mano dell’aggressore. In effetti, costui non ha usato un coltello. Ha usato una banana.

venerdì 2 novembre 2007

Archè tes antifaseos (principio di contraddizione)

La genesi del famosissimo principio logico, che nella tradizione posteriore è passato con il nome di principio di identità e di non-contraddizione, è nella metafisica aristotelica (se non ricordo male nel libro gamma) . Tale principio è un assioma logico, cioè in sostanza Aristotele dice : "E' impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo ,appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione " , per cui se A è A non puo essere nel contempo non A e Tertium non datur . In effetti Aristotele parla più propriamente , come si evince dal titolo, (archè tes antifaseos) , di principio di contraddizione, ed allude ad i termini contradditori. Cioè quando parliamo , e affermiamo qualcosa , non possiamo contemporaneamente dire di una cosa o di un soggetto , che è una cosa particolare , e nel contempo dire che non è quella cosa particolare. Se diciamo ad esempio che un gatto è bianco , non possiamo dire nel contempo che lo stesso gatto non è bianco.Augusto ha fatto l'esempio di Dio , che o c'è o non c'è , ed anche qui tertium non datur. ( non vale la simpatica obiezione dell'alunno che dice che Dio c'è per chi ci crede , perchè sostanzialmente equivale a dire che Dio non c'è ) . Ora la validita del " principio di contraddizione " o archè tes antifaseos, è una validità "logica " , cioè permette che i nostri discorsi ed enunciati siano di senso compiuto e comprensibili. E' fuor di dubbio che si può parlare senza senso alcuno, che si possono emettere suoni e parole senza alcun significato, che si può dire qualcosa di incomprensibile, come ad esempio purtroppo accade in alcuni gravi stati psicotici, ma ciò costituisce una sofferenza del dialogo e dell'umano relazionarsi , non altro.Volenti o nolenti non si può per nulla rinunziare al principio aristotelico, pena l'assurdo , che sì, può pure essere una scelta esistenziale , ma non porta da nessuna parte. (e comunque anche i filosofi che propendono verso il cd “assurdismo”, come Camus , Sartre et al , si esprimono compiutamente e sensatamente ) Va chiarito tuttavia a mio avviso, che l'affermazione del principio più noto nella storia della logica, poco o nulla ha a che vedere con il dogmatismo, l'autoritarismo, o il pensiero "forte".Nulla vieta che più interlocutori, che si esprimano dialogicamente attorno ad un problema , piccolo o grande che sia , la pensino in modo diverso. In questo senso , data anche la complessità infinita del reale, un certo relativismo è assolutamente fisiologico e fa parte della storia del pensiero filosofico e scientifico. Ammettere quindi la validità dell'archè tes antifaseos, vuol dire solo concepire il fatto che i dialoganti si esprimano in modo "logico " , non dicano una cosa e nel contempo la cosa contradditoria. Si può concepire tutto al più, ed accade di continuo, che dopo un certo periodo , anche breve di tempo , si possa cambiar parere, e ciò rappresenta l'evoluzione del pensiero, ma tale cambiamento è sempre dire una cosa sola , non due cose contradditorie insieme ed allo stesso tempo. Non si capisce perchè martedì sera, nella nostra bella riunione di cenacolanti, veniva fuori dalla discussione che ammettere il principio aristotelico era quasi ammettere una verità assoluta. In realtà il concetto di verità è, ad avviso di molti nella storia della filosofia, problematico , infinitamente poliedrico, inesauribile, e limitatamente attingibile nel senso di K. Jaspers.(v.) Concludo pertanto dicendo che in realtà le uniche poche verità condivisibili ( di minima ) sono quelle legate al senso comune (v.) e senza le quali non potremmo neppure parlare tra di noi: p.esempio provo a sintetizzarne alcune: 1) se si parla è per farsi capire e perchè si vuol dire qualcosa che ha un senso . 2) qualcosa c'è fuori e/o dentro ciascuno di noi 3) sento eticamente il rispetto per .l'altro/a 4) esiste il contrasto sanità/malattia e l'aspirazione alla felicità in tutti noi . Qualcuno obbietterà che anche questi pochi punti non sono da tutti condivisi , c’è chi parla volutamente in modo oscuro, o per raggirare e non far capire le proprie intenzioni. C’è chi pure, un po’ allucinato , arriva a dubitare, come Pirrone.(v) lo scettico, dell’esistenza di tutto (vedi i concetti di acatalepsia ed atarassia conseguenti). C’è poi chi non si cura di rispettare gli altri e la loro libertà , e c’è chi vuol morire e non aspira più ad alcuna felicità. Ma in realtà a tutte queste obiezioni si risponde che , per quanto ci sia di tutto a questo mondo , non sfugge a nessuno la differenza tra senso e non senso , tra aspirazione al bene (pur variamente e liberamente interpretata) e senso del male e della sofferenza , e soprattutto non sfugge a nessuno che “normalmente “ (sarebbe troppo lungo approfondire ora il concetto difficile di “normalità “, ma è impossibile in pratica rinunziare a tale concetto, soprattutto di fronte a gravi fatti di alienazione mentale) tutti aspiriamo alla salute ed alla felicità. E ,tra l’altro, come anche accenna Francesco Palazzo alla fine del suo intervento, tali aspirazioni , “normalmente” accomunano l’uomo della strada , e l’uomo colto.

giovedì 1 novembre 2007

Le Cenette segnalate

Carissimi,
sul mio sito personale segnalo periodicamente gli spazi della Rete che secondo me valgono una visita.
Ho indicato quindi molto volentieri queste vostre/nostre cenette palermitane.
Spero che la motivazione che ho inserito non ne tradisca lo spirito ma sono pronto -se volete- a modificarla!
Ecco l'indirizzo: www.biuso.it