lunedì 26 novembre 2007

Una mente rocciosa


Vi propongo un articolo di Jim Holt, uscito sul New York Times il 18 novembre. Al di là del suo valore intrinseco, va ad attualizzare i temi attorno a cui ci muoviamo e ci scontriamo. Penso alla dicotomia panteismo - monoteismo creazionista delineata l'altra volta da Augusto e alle sue considerazioni sul 'carattere limitato e ontologicamente fragile del mondo' da cui discenderebbe (semplifico) che 'se tutto è sacro niente è sacro' onde il bisogno di un'alterità trascendente che riscatti il cosmo dalla sua contingenza dandogli senso e direzione. Ordine e caso: una contraddizione affascinante che ho visto all'opera nei paradossi della 'scimmia dattilografa'. Un nodo su cui tornare.

La traduzione è mia.

Mind of a Rock
Jim Holt, NYT 18-11-07

La maggior parte di noi non ha dubbi che i nostri simili siano coscienti; siamo anche abbastanza sicuri che molti animali abbiano una coscienza; alcuni, come le grandi scimmie anche l’autocoscienza, la consapevolezza di sé; altri, come cani, gatti, maiali forse mancano di un sé, ma certo sperimentano stati interiori di dolore e piacere. Di creature più piccole, come i moscerini non siamo più così sicuri; non abbiamo alcuna remora quando li uccidiamo. Per quanto riguarda le piante, ovviamente non hanno una mente, eccetto che nelle favole. E così gli oggetti non viventi, come le tavole o le rocce.

Tutto questo è semplice buon senso. Ma non sempre il buon senso è una guida affidabile alla scoperta del mondo. E la parte del mondo che è più recalcitrante alle nostre esplorazioni al momento è proprio la coscienza. Come è possibile che i processi elettrochimici nell’agglomerato di materia grigia che costituisce il nostro cervello diano luogo – o ancora più miteriosamente, siano – l’abbagliante messa in scena della coscienza, con i suoi trasporti di gioia, le sue trafitture d’angoscia, i suoi allunghi di mediocre appagamento misto a noia? E’ questa l’ultima frontiera della scienza, che assorbe le energie di una comunità mondiale di scienziati della mente, psicologi, filosofi, informatici eccetera.

Il problema della coscienza si è rivelato così impervio che alcuni di questi pensatori si sono risolti a un’ipotesi che suona disperata se non completamente folle. Forse, dicono, la mente non si limita ai cervelli di alcuni animali. Forse essa è ubiqua, presente in ogni briciolo di materia, su fino alle galassie, giù fino agli elettroni e ai neutrini, senza trascurare entità intermedie come un bicchiere d’acqua o una pianta in vaso. Per di più, essa non è venuta fuori di colpo quando certe particelle fisiche su un certo pianeta ebbero l’opportunità di acquisire la giusta configurazione; invece, vi sarebbe stata coscienza fin dall’inizio dei tempi.

La dottrina che il nocciolo del mondo sia la mente prende il nome di panpsichismo. Pochi decenni or sono, il filosofo Thomas Nagel ha dimostrato che esso è l’inevitabile conseguenza di alcune premesse che suonano molto ragionevoli. Per prima cosa, il nostro cervello consiste di particelle di materia. Secondo, queste particelle, in certi arrangiamenti, producono pensieri e sensazioni soggettive. Terzo, le proprietà fisiche da sé sole non possono spiegare la soggettività (nessuna equazione della fisica può spiegare l’ineffabile esperienza di gustare una fragola). Ora, ragiona Nagel, le proprietà di un sistema complesso come il cervello non vengono fuori dal nulla; esse devono derivare dalle proprietà dei costituenti basilari del sistema stesso. I quali devono avere essi stessi proprietà soggettive – le quali, nella giusta combinazione, contribuiscono ai nostri intimi pensieri e sensazioni. Ma gli elettroni, protoni e netroni che formano i nostri cervelli non sono differenti da quelli che formano il resto del mondo. Ne deriva che l’intero universo consiste di particelle di coscienza, per così dire.

Nagel non arrivò ad abbracciare il panpsichismo. Ma oggi il concetto sta incontrando una certa moda. Il filosofo australiano David Chalmers e il fisico di Oxford Roger Penrose hanno parlato in sua difesa. Nel suo recente libro “Consciousness and Its Place in Nature”, il filosofo britannico Galen Strawson difende il panpsichismo contro numerosi critici. Come possono, si meraviglia lo scettico, minuscoli granelli di polvere mentale (mind dust), con i loro stati psichici presumibilmente molto semplici, combinarsi e formare quella sorta di complicata esperienza propria di noi umani? Dopo tutto, se metti diverse persone nella stessa stanza, le loro menti individuali non vanno a formare una mente collettiva (o invece si?). Resta il fatto spiacevole che non si possono testare le capacità mentali della luna, per esempio (ma vale lo stesso per la gente – come si può realmente provare che il collega d’ufficio non è un robot incosciente?). Rimane l’irrimediabile stranezza dell’idea di un protone con proto-emozioni, proto-credenze e proto-desideri. A cosa potrebbe somigliare il desiderio di un protone? “forse vorrebbe diventare un quark’ chiosa il solito scettico impertinente.

Il panpsichismo resta più facile comunque da parodiare che da refutare. Anche se si rivelasse un vicolo cieco nella ricerca sulla coscienza, potrebbe per altri versi aiutarci a uscire da un certo provincialismo nel modo in cui guardiamo al cosmo. Siamo esseri biologici. Esistiamo in ragione di composti chimici che si replicano. Recepiamo informazione dal nostro ambiente, e la elaboriamo in modo che i processi auto-replicanti continuino. Come sottoprodotto di tutto ciò, abbiamo sviluppato un cervello che, con appassionata convinzione, riteniamo la cosa più complicata dell’universo. E guardiamo con sussiego la materia bruta.

Prendi la roccia qua sopra (foto di Hansel Adams). Non sembra cha si dia da fare granché, almeno a un’impressione superficiale. Ma a livello micro essa consiste di un numero inimmaginabile di atomi connessi da flessibili legami chimici, tutto in vibrazione a velocità che i nostri supercomputer si sognano. E non vibrano a casaccio. La roccia ‘vede’ l’intero universo tramite la gravitazione e i segnali elettromagnetici che riceve continuamente. Questo sistema può essere considerato un processore di informazione per utti gli usi, la cui dinamica interna rispecchia qualsiasi sequenza di stati mentali che il nostro cervello attraversa. E dove c’è informazione, dice il convinto panpsichista, c’è coscienza. Secondo lo slogan di Chalmers: “L’esperienza è informazione dall’interno; la fisica è informazione dall’esterno”.

Ma la roccia non si esperisce come risultato di tutto questo ‘pensare’. Perché dovrebbe? La sua esistenza, a differenza della nostra, non dipende dalla lotta per la sopravvivenza e la riproduzione. Essa è indifferente alla prospettiva di essere polverizzata. Se siete inclini alla poesia, potreste pensare che la roccia è un essere puramente contemplativo. E potreste trarne la morale che l’universo è, ed è sempre stato, saturo di mente, anche se noi tardivi snob replicanti darwiniani siamo troppo ottusi per capirlo.





5 commenti:

Francesco Vitale ha detto...

Mah, certo tutto questo è molto bello... percorrere pensieri ed interrogativi già percorsi e pensati da altri, e sorprendrsi come tutti possiamo riconoscerci nei ragionamentio altrui, in parte dissentendo ed in parte concordando. Permaniamo nel campo della speculazione.
Una possibile alternativa potrebbe essere quella di esperire fisicamente possibilità collettive di contatto: ad esempio con le piante, oppure con coscienze "disincarnate".
In entrambi i casi, collettivamente testimoniati, saremmo costretti a chiederci: "Cosa ha generato questo flusso di informazioni sensate, visto che certamente non possono provenire dai presenti?".
Orbene, il fatto è che non potremo mai rispondere seriamente a questa domanda, finchè ci riteniamo mutilati, cioè incapaci di rompere quel muro del suono che qualcun altro ci ha messo davanti, da quando siamo nati. Da piccoli infatti parlavamo con tutte le creature, incarnate o meno, e gli adulti pensavano che noi avessimo degli amici immaginari, e che crescendo tutto questo ci sarebbe passato. Infatti i nostri "particolari fili telefonici" sono stati tutti tranciati...
Così, uno che è convinto di essere sordo e cieco penserà sempre che la luce che ha visto, o il suono che ha sentito, siano sempre frutto della sua immaginazione o piuttosto di un'allucinazione. Chi potrà mai contraddirlo?
"Comunicare" con altre possibili sedi di intelligenza significa rispondere, ed avere il "coraggio" di vagliare personalmente ulteriori risposte "fuori dall'ordinario". Altrimenti anche noi ci comportiamo da calcolatori: continueremo allora ad avere in risposta soltanto una sequenza di numeri...

pietro spalla ha detto...

Ha ragione Giovanni: gli spunti venuti fuori dall'ultima cenetta e quelli che lui ci propone con ques'articolo meriterebbero altri approfondimenti. A cominciare da quello che Giovanni ricorda del pensiero di Augusto: se tutto è sacro niente lo è, se Dio è dappertutto non è in nessun luogo; magari si potrebbe tradurre, invece, così: Se tutto è sacro, se Dio è dapppertutto, allora Dio ed il sacro non sono come li pensiamo noi.
Pampsichismo? certo deve dirci qualcosa il fatto che i componenti chimici che ci costuituiscono sono gli stessi di quelli che costituiscono tutto il cosmo.
Fa riflettere anche quello che scrive Francesco Vitale: abbiamo bisogno di sperimentare qualcosa, oltre che di ragionarci su. Sapendo, però, che tendiamo a rimuovere le esperienze che mettono in crisi i nostri pregiudizi.
Pietro

Donatella Ragusa ha detto...

E' molto bello quest'articolo; è bello lo slogan di Chalmers che mi piace ripetere, quasi a volerlo imparare: "l'esperienza è informazione dall'interno; la fisica è informazione dall'esterno". E se mi piace tanto è perchè mi fa pensare, ad esempio, alle polemiche nel mio campo professionale tra chi vorrebbe leggere tutto dall'interno (cosa potrebbe essere di altro "L'interpretazione dei sogni" di Freud?)e chi con onestà dichiarata tutto dall'esterno (cosa potrebbe essere di altro il "Mente e natura" di Bateson?). Che poi dopo parecchi decenni finalmente ci si parli, aldilà degli schieramenti, è uno sforzo ancora in corso. E più ancora mi piace la frase, perchè mi consola del grosso fraintendimento che ho avuto ieri sera, e di cui mi sono accorta soltanto tornando a casa dalla cenetta. Discutendo amenamente di politica o meglio di "pensieri" politici, Augusto, citando Freud, parlava di un 10% di razionalità che emerge, nell'uomo, come la punta di un iceberg totalmente irrazionale (attenzione, comunque, al riscaldamento del pianeta). Io, chi sa perchè, ho capito, dall'inizio alla fine, che si parlava di quote elettorali. Me ne scuso.

Donatella Ragusa ha detto...

E comunque anche l'albero della foto qualche pensierino in più lo fa fare..

alberto.spatola ha detto...

Una roccia non pensa, tuttavia può essere pensata. In genere la cd. materia "inanimata" è pensabile , ma sembra non pensare. Quindi assistiamo a tale strano fenomeno , quello della pensabilità di ciò che (sembra) non pensare. Si può parlare allora di proiezione e , come è noto , gli psicologi parlano di proiezione, quando viene fatto di pensare che, qualcosa che non pensi abitualmente, sembra che pensi . I narratori di favole poi, animano
la natura che non pensa, con pensieri ed emozioni che colorano poeticamente il mondo naturale e favolistico. Un esempio di proiezione può essere quello di un fulmine che viene interpretato quale castigo divino, oppure il segno dell'arcobaleno quale auspicio di pace. Il problema più difficile è forse quello di riuscire a leggere il libro della natura in modo neutrale. Sembra infatti che, vuoi per le infinite proiezioni di ciascun uomo o donna , o per il bisogno di colorare con interpretazioni favolistiche la realtà, ogni uomo sia portato ad "interpretare " il mondo in modo personale, e solo la cd. scienza sembra essere neutrale. ma lo è poi davvero ?
Sembra che l'arte colori il mondo a proprio piacimento , la scienza secondo una presunta oggettività.
Ma non è detto che la prima intuisca il reale meno che la seconda......