domenica 20 gennaio 2008

Leopardi e Schopenhauer

Caro Pietro e amici tutti,
vi ringrazio per l'aver preso in considerazione la mia breve analisi delle Operette.
Mi permetto di ribadire l'invito a leggere Leopardi nella sua profondità teoretica e non mediante un gossip storico che -alla fine- impedisce secondo me di comprenderlo.
Provate a leggerlo facendo lo sforzo di dimenticare tutto quello che sapete sulla sua vita, come se fosse un autore del tutto sconosciuto...

A motivare un invito così drastico c'è anche una clamorosa controprova e cioè Arthur Schopenhauer. Questo filosofo contemporaneo di Leopardi (1788-1860) era ricco, bello, un morettino che aveva un grande successo con le donne (non si sposò mai ed ebbe delle amanti da sballo) e -a partire dal 1848- conosciutissimo e ammirato in tutta Europa.
Eppure le affinità fra di lui e il nostro Giacomo sono grandissime. Schopenhauer critica in modo feroce e geniale ogni forma di idealismo metafisico, ottimismo antropologico, razionalismo gnoseologico, salvezza religiosa (e cristiana in particolare).

Contro Rousseau reputa che l'uomo sia naturalmente crudele e si unisca agli altri solo per bisogno, che il vero inferno sia questo nostro mondo che è il peggiore dei mondi possibili tanto che se lo fosse un po' di più sparirebbe proprio.
Contro ogni storicismo sostiene che la storia sia priva di senso e di scopi, che la cosa migliore ci sia preclusa perché consiste nel non essere mai nati. E rifiuta il suicidio anche perché vi vede un estremo atto d'amore verso la vita...

Tutto questo è pensato da un uomo a cui non mancava nulla. Come la mettiamo con lo stantio e banale luogo comune che affligge Leopardi fin dalle aule scolastiche? :-))