martedì 3 novembre 2009

I Tre Filosofi

Questa breve nota si potrebbe intitolare anche: "Ho smesso di ridere", poichè pensavo che gli altri filosofi si fossero addormentati nel lungo sonno estivo, passando poi direttamente al letargo invernale. Ma, come ci spiega la storiella, anche io potrei avere il naso sporco...


I tre filosofi

" Tre filosofi, dopo aver a lungo discusso di logica, si addormentano sotto un albero. Mentre dormono, tre uccellini depositano un piccolo escremento sulla fronte di ciascuno dei tre filosofi. Dopo alcune ore, quando gli escrementi si sono asciugati a dovere, i tre filosofi si svegliano. Guardandosi l'un l'altro, iniziano improvvisamente a ridere. Infatti ciascuno di essi vede l'escremento sulla fronte dei due compagni e, poiché i filosofi non sono santi, ride delle disgrazie altrui credendo di esserne immune. Tuttavia, dopo alcuni istanti, il più filosofo dei tre smette di ridere perché si rende conto di avere anche lui un escremento sulla fronte. Egli giunge a questa conclusione solo col ragionamento, senza tastarsi la fronte.

Qual è il ragionamento?
Perché egli è più filosofo degli altri? "


La soluzione, naturalmente a suo tempo, dopo che ciascuno avrà dato la sua.

lunedì 13 luglio 2009

L'ARTE DI VIVERE SENZA VERITA'


L’arte di vivere senza verità ( titolo rubato ad un articolo di Michel Foucault
apparso su Repubblica)


“conosciamo il falso del mondo,
non quello che è vero.
Eppure a quel pensiamo
sapendo che non sapremo”
(Fernando Pessoa)

Franz Kafka diceva che “la verità non è divisibile, perciò non può conoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna”.
La verità! La realtà oggettiva!.... anche gli scienziati, dopo le acquisizioni della Fisica quantistica, ci pensano molto meno.
Ma ciò significa che noi non la dobbiamo continuare a cercare? Certo che la cercheremo sempre e sempre di più, solo che forse dobbiamo cambiare strumenti: rinunciare a servirci della sola ragione e farci accompagnare da altri strumenti disponibili che spesso invece utilizziamo come mezzi alternativi di indagine intellettuale e apparentemente finalizzati a soddisfare altri bisogni. Strumenti che, a mio parere, hanno la loro dignità pari a quella della ragione stessa, anzi………la ragione, il cui primato per quasi quattro secoli è stato indiscusso, deve accettare il fatto di essere strutturata per non superare certi confini (e se li allarga i confini se ne vedrà presentare altri e poi altri ancora……). Sconfinare è compito dell’intuizione, della sfera emotiva, dei sentimenti, del mondo del possibile e dell’auspicabile. Inoltrarsi nell’Oltre, con la Musica, la Poesia, l’Arte, la Religione (ma anche con la Scienza, quando è momento creativo per formulare ipotesi) è atto intuitivo libero e personale che pretende in ultima analisi un atto di fiducia nelle nostre capacità non controllate dalla sola ragione ma anche e soprattutto……..dalla nostra coscienza ? dalla nostra anima ? dal nostro spirito ?
Sconfinare: che parola abusata e mal giudicata!
Sconfinare per me è volare libero col pensiero, come l’aquila che mai vola a stormi, ma anche come la gru che non vola mai da sola perché, volando a stormi, realizza l’esigenza di condividere la meta e il percorso relativo. La condivisione: altra esigenza a cui l’uomo non può rinunciare ed ecco il bisogno di amicizia, di amore, di solidarietà, di empatia, di appartenenza.
Continuando a citare Kafka, la difficoltà dell’uomo è “comprendere quale fortuna sia che il terreno su cui poggia non possa essere più grande dei due piedi che lo coprono”. Infatti io credo che il poter volare nell’Oltre, avendone solo sentimento e immaginazione, permette all’uomo di diversificarsi dall’ “essere angelo” per essere individuo, persona che può decidere fra il male ed il bene, persona che può credersi e forse sapersi libero. Condizione, la libertà, che gli consente di essere in grado di assumersi responsabilità, qualità questa che insieme alla libertà ci avvicina al divino più di mille altre!
D’altra parte, se si crede solo alla ragione, il rischio è lo scetticismo e il nichilismo, comunque l’inquietudine della coscienza; se ci si affida invece alla sfera non razionale della nostra coscienza ecco che si possono aprire delle prospettive altre e la parola “affidarsi” potrebbe assumere un significato nobile e mai confortevole però perché la propria coscienza non può consentire che la fiducia sia irresponsabile, non è come un corso d’acqua su cui ci si può lasciare andare ma è come le rapide dai molti percorsi tumultuosi che si devono scegliere e affrontare, badando a non essere travolti.
La verità forse esiste ma comunque è una meta nel terreno dello sconfinamento nell’Oltre e che forse ci può portare a credere di poter sopravvivere anche all’Universo.
Tutto ciò sento che mi conduce alla ricerca dell’Armonia del Mondo o, se volete, di Dio.
Ecco, leggendo il bel testo di Rosario, dove le parole verità, confine, sconfinamento, Oltre etc…… abbondano, sono stato sollecitato a queste considerazioni perché mi è difficile essere disponibile a vivere senza vie d’uscita.
“…..ma i viventi compiono
tutti l’errore di tracciar troppo netti confini.”

(Rainer Maria Rilke)

ARMANDO

mercoledì 17 giugno 2009

UNO ≠ MOLTI ?

Uno, due o diecimila?

Cosa scegli: Platone o Nietzsche, Dalì o Van Gogh, Leopardi o Bukowski? (Uno, nessuno, centomila….)

Esiste vera contraddizione tra i dualismi? Cosa ci fa distinguere l'accettabile dall'inaccettabile?

Potrebbe darsi che la nostra prospettiva temporale (e temporanea), bi-oculare, bi-lobotomica, simmetrica ma al contempo coniugata, ci rende difficile (o impossibile) il percepire una dimensione frattalizzata e onnipresente, nella quale siamo immersi incoscientemente e costretti a scegliere tra apparenti oppost, che potrebbero essere invero dei misteriosi collaboratori?

Ma come possiamo conoscere meglio quella che chiamiamo realtà, e darne risposte profonde, se prima non conosciamo meglio noi stessi, come siamo fatti, come percepiamo, con il corpo, con la mente, … (con l’anima)…. ?

Metterei nel calderone della discussione sia qualcosa di molto fisico, che i suggerimenti di uno dei grandi maestri dell’antichissima meditazione orientale. Mischiando il tutto con qualche risultato delle mie personali ricerche. Cominciamo da queste ultime.

Dentro di noi vi sono (almeno!) due personaggi ben diversi tra loro. E’ possibile vederli fisicamente sfruttando, ad esempio come ho fatto io, con tecniche fotografiche digitalizzate, la separazione della (a)-simmetria dei volti umani. Infatti ciò che consideriamo un volto unico rivela differenze ben evidenti tra l’emisfero destro e quello sinistro. Chi ha coraggio può fare questo esperimento con se stesso o con i propri amici, e vi assicuro che ci vuole fegato per guardarsi ed osservarsi in questo modo.

Chi avesse ancora più coraggio, potrebbe fare un lavoro interiore di identificazione separata, e scoprire che si tratta di due personaggi ben distinti, non raramente in competizione o in vera e propria lotta tra loro. Una metà potrebbe essere donna, l’altra un uomo. Uno potrebbe essere grasso, l’altro smilzo. Una allegra e sbarazzina, l’altra triste e riflessiva. Una raffinata, l’altra "porcellina" (!). Provate a immaginare tutte le altre qualità opposte (giovane-vecchio, intelligente-stupido, sapiente-ignorante, materialista-metafisico, stanco-energico… e così via). A volte si vede proprio bene che i due personaggi sono mooooolto differenti. Con un apposito lavoro, ciascuno potrebbe scoprire dove, nel profondo, risiede l’origine di un disturbo cronico. La persona che ingrassa potrebbe sapere chi è il “grassone” dentro di lui, e chi sta male potrebbe scoprire chi -dentro di lui- ha il mal di testa, di cuore o di fegato. E la persona, in stato di rilassamento profondo, può confermare quello che è il suo sentire, in modo libero, e se si sente donna piuttosto che uomo, ammetterlo. Se si sente aggressivo, piuttosto che pacato, ammetterlo. E così via. I suoi opposti interiori si intregrerebbero, imparerebbero ad ascoltarsi, a darsi spazio e fiducia recirpoca, e la smetterebbero di farsi una inutile guerra quotidiana.

Ma tutto questo è normalmente considerato come pura follia, esagerazione, condizionamento culturale, moda. Eccetera, eccetera.

Chi, allora, prevale dentro di noi? Solo uno: il più forte; gli altri personaggi della nostra interiorità subiscono. Qundi soffrono.

Eccovi allora un esempio fisico, una mia foto suddivisa in due e ricomposta in due visi differenti, questa volta perfettamente simmetrici. L’altro esempio appartiene alla mia attuale compagna, Dafne. Le metto qui a disposizione di tutti perché mi appartengono, senza incorrere in problemi legali. Ma in realtà ne ho una casistica ben vasta, e posso assicurare che alcune sono ben più sorprendenti (o sconcertanti?) di queste .


Io credo di conoscere bene i due personaggi oggi viventi, Francesco e Dafne, ma per conoscere meglio i quattro che sono integrati nei due, ho dovuto compiere un lavoro, che non può dirsi mai completo. Perché sconfinato è, l’essere umano.

Adesso però, proprio perchè lo vedo, posso dire di conoscere meglio John, nobiluomo alto e smilzo, che visse nell’Inghilterra del medio evo, frequentando una corte reale ostile alle libertà. Rifiutò quell’ambiente, e per questo, per le sue impudenze-imprudenze, fu ucciso dopo un lungo inseguimento, durato anni. Comprendo allora le sue paure.

Conosco meglio Juan, contadino e rivoluzionario, basso e tarchiato, poeta-cantautore, che visse nella Bolivia di fine ottocento. Si ribellò al potere dei padroni del luogo, e visse imboscato, lasciando tutto quel che aveva, quel poco che aveva, per la causa rivoluzionaria. Faceva attentati dinamitardi alle carrozze dei nobili, e diffondeva idee che incitavano le classi più deboli a ribellarsi ai ricchi. Non aveva paura di nulla (io sì !) Morì giovane, per un attacco di febbre infettiva, e i suoi compagni impiegarono molte settimane prima di recuperare la sua salma, che trovarono ancora come dormiente nel misero giaciglio che si era costruito sugli alberi. Comprendo allora il suo coraggio.

Ma "io" sono un individuo pauroso o coraggioso? Quando l'uno, quando l'altro?

Conosco meglio la mia Dafne ed il suo “Francoise” interiore, signorotto francese del rinascimento, ricco e raffinato, ma molto spigoloso e spesso egoista, privo di scrupoli; e conosco adesso la sua “Concita”, donna spagnola del ‘700, amante delle belle case e degli arredi particolari, energica e solare, allegra e fondamentalmente buona.


Fantasie? Immaginazioni? Autosuggestioni? Fate voi.

Ognuno pensa e fa quel che gli pare, e non pensa e non fa quel che non gli pare.

Certo è che tanti filosofi dell’antichità, ancora oggi per tanti versi osannati, parlavano di metempsicosi come fosse normale. E a quel tempo lo era: ma da onesti ed illuministi intellettuali del nostro tempo “post-occidentale”, oggi non ne conosciamo più il perché, né quale sia stato il percorso interiore (al di là di quello storico ufficiale) per cui l’umanità ha abbandonato alcune idee, e ne ha abbracciate altre che "contraddicevano" le precedenti, nella certezza che le une negano le altre.

Noi preferiamo considerarci "unici" e identici, anche se gli opposti posson ben "nascondersi" (fino ad un certo punto) dentro di noi, mancandoci il coraggio di scovarli ed ammetterli come facenti parte del nostro essere. In questo caso la nostra mente, per me solo apparentemente razionale, rifiuta queste idee come superate, e le teme. Limitatamente a queste idee, un grande filosofo dell'antichità classica può divenire "inaffidabile", non si considera neppure quel che afferma.

Lasciamo stare, quindi, di quando poi Platone parla di Atlantide, e Nietsche di un Superuomo che nessuna ha mai visto, se non nei fumetti.

Ma al di là di tutte le “fantasie” possibili ed immaginabili, tu che mi leggi, pensi davvero di essere “UNO”, “UNA”?

Perché tu possa considerare anche altre possibilità, ti porto allora i bellissimi versi di Lao-Tze, perché, diversamente da me, un Maestro possiede la chiave per entrare nel profondo del cuore di ogni uomo. E di elevare le possibilità di elaborazione e di immaginazione di ciascuno.

"Io", anzi noi, vorremmo solo che l’Uomo conquistasse nuove parti di sé, senza timori o pregiudizi.

Anche io ne ho: mi sforzo solo di vincerli.


TAO TE CHING

Il Tao che può essere detto

non è l'eterno Tao,

il nome che può essere nominato

non è l'eterno nome.

Senza nome è il principio

del Cielo e della Terra,

quando ha nome è la madre

delle diecimila creature.

Perciò chi non ha mai desideri

ne contempla l'arcano,

chi è soltanto capace di desiderare

ne contempla il termine.

Queste due visioni hanno la stessa origine

anche se diverso nome

ed insieme sono detti mistero,

mistero del mistero,

porta di tutti gli arcani.

Sotto il cielo tutti

sanno che il bello è bello,

da qui il brutto,

sanno che il bene è bene,

da qui il male.

E' così che

essere e non-essere si danno nascita fra loro,

facile e difficile si danno compimento fra loro,

lungo e corto si danno misura fra loro,

alto e basso si fanno dislivello fra loro,

tono e nota si danno armonia fra loro,

il prima e il dopo si fanno seguito fra loro.

Per questo il saggio

attua l'insegnamento non detto.

Le diecimila creature sorgono

ed egli non le rifiuta.

Le fa vivere, ma non le considera come sue.

Opera, ma nulla si aspetta in cambio.

Compiuta l'opera egli non permane

e proprio perché non permane

nulla gli può essere tolto.

Lao-Tse (VI sec. a.c.)

sabato 6 giugno 2009

Platone o Nietzsche?

Per non fare languire il blog, come consiglia Alberto, ripropongo la mia e-mail che ho scritto in risposta a quella di Pietro.......auspicando dei commenti .....
Caro Pietro e cari cenecolanti attivi,
dopo l’ultima e-mail di Pietro non mi riconosco più fra i “platoniani”, almeno come lui prova a delinearli.
Cerco di chiarire: intanto non mi piace la distinzione spaziale di partire dall’alto (Platone) e partire dal basso (Nietzche); è un modo di affrontare la questione che presuppone scale di valori legate ai concetti radicati in noi occidentali: tipo i cieli - gli inferi. Ma andiamo all’argomento: io penso che tutte e due le visioni partano dalla consapevolezza di essere intanto carne e sangue (sono visioni elaborate da uomini di carne e di sangue!) e poi, solo poi, in quanto figli evoluti della Natura madre, dalla capacità di farci, per quello che ancora ne sappiamo solo noi nell’Universo, le domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, perché andiamo e come facciamo per andare. Ora questa “libertà” (facoltà che ci accomuna potenzialmente tutti come specie), di porre domande e di agire conseguentemente alle risposte che più o meno timidamente riusciamo a dare, permette di schierarci su fronti diversi fino ad estremizzarne (nettamente ?) i contorni. Il punto che mi preme chiarire è: in questo “libero” cercare c’è “in natura” l’idea archetipica di “qualcosa-di-altro-che-materia” di cui possiamo avere sentimento, a cui possiamo aspirare e con cui ci possiamo confrontare? Questa prospettiva, per me, nasce con noi come parte della Natura che ci ha generato, Natura in cui è compresa la “materia” (natura madre) e il “senso”, la direzione (natura in fieri, forza in divenire, energia di senso o come la si vuole chiamare) . Se questo vuole dire essere con Platone, per me va bene. In questo modo mi differenzio da coloro che pensano che tutto è materia regolata dal caso, pensa! anche il frutto di intuizioni come la Musica, la Poesia, la Scienza (intesa come pura speculazione intellettuale), la Filosofia e quant’altro ci avvicina alle idee di Libertà, Amore, Giustizia, Bene, Bello etc……E non me ne volete se torno alle “nuove” frontiere della Scienza i cui risultati speculativi dicono che non possiamo conoscere la realtà se non con approssimazione perché se si cerca di determinarne l’aspetto materiale (per es. la posizione nello spazio) ci sfugge l’aspetto non materiale (per es. l’energia) e viceversa. Risultati che fanno dire a Werner Heisemberg, uno dei padri della Fisica contemporanea:”…..dopo l’esperienza della fisica moderna, il nostro atteggiamento verso concetti come intelletto o anima umana o vita o Dio sarà diverso da quello del XIX secolo, poiché questi concetti appartengono al linguaggio naturale ed hanno perciò immediata connessione con la realtà. È vero che ci apparirà anche subito chiaro che questi concetti non sono ben definiti nel senso scientifico e che la loro applicazione può condurre a varie contraddizioni; ma noi sappiamo tuttavia che essi toccano la realtà. Può essere utile a questo proposito ricordare che perfino nella parte più precisa della scienza, nella matematica, noi non possiamo fare a meno di servirci di concetti che implicano delle contraddizioni. È ben noto, ad esempio, che il concetto di infinito conduce a contraddizioni che sono analizzate; eppure sarebbe praticamente impossibile costruire, senza questo concetto, le più importanti parti della matematica.”
Questo significa il riconoscimento di un dualismo legittimo ma che dualismo non è (generato dalla “relazione o interazione”come causa necessaria dell’essere) che è insito nell’Universo a cui non possiamo (mai?) accedere se non con approssimazione (osservazione da un lato e intuizione dall’altro) e la cui sintesi (perché la sintesi porta poi il dualismo all’unità) è riconoscimento di un mistero (eterno?) che per me è comunque Natura in quanto conseguenza di un “soffio di senso” primordiale (Dio?).
Scusate la poca chiarezza di esposizione ma è la prima volta che provo a esplicitare queste argomentazioni non facili con cui mi cimento da tempo per dare senso alla “mia vita insieme a voi”.
Con affetto e stima
Armando
P.S.
Anch’io vi lascio una citazione che di “un non filosofo” però: “Egli (l’uomo) è un cittadino libero e sicuro della terra, poiché è legato a una catena che è lunga quanto basta per dargli libero accesso a tutti gli spazi della terra, e tuttavia lunga solo quel tanto per cui nulla può trascinarlo oltre i confini della terra. Ma al tempo stesso egli è anche un cittadino libero e sicuro del cielo, poiché è legato anche a una catena celeste, regolata in modo simile. Così, se vuole scendere sulla terra lo strozza il collare del cielo, se vuole salire in cielo quello della terra. E ciò nonostante egli ha tutte le possibilità e lo sente, anzi rifiuta di ricondurre addirittura il tutto a un errore commesso nel primo incatenamento.” (Franz Kafka)

venerdì 24 aprile 2009

La Luce dei Tantra

In questo dialogo ipotetico ed affascinante tra Nietzsche e Platone , così come lo rappresenta in modo anche divertente Luca Grecchi in “Vivere o Morire” , una cosa è subito chiara: la diversità di vedute tra i due grandi filosofi riguarda anche e soprattutto il tema dell’anima. Chi e cosa è l’uomo per Platone o per N., ? E’ evidente che il dualismo (metafisico) di Platone conduce ad una visione dell’uomo completamente diversa da quella “mondana”, eroica e “greca”, nel senso dei miti dell’antica Grecia, di N.-
In che modo si configura la libertà dell’uomo in questa abissale differenza di pensiero ? E’ l’uomo più libero se, come vuole N. è al di là di ogni possibile ed inutile metafisica? E’ al di là del bene e del male ? E’ più vincolato l’uomo se, con Platone, si intravedono nelle “Idee” del Bene , Bello, Giusto et similia , dei vincoli morali condizionanti al di qua ed al di là di questa stessa esistenza terrena? Certamente è possibile che una pre-comprensione , un pregiudizio ci porti ad affossare un pensatore o l’altro, secondo quella smania di libertà che ogni uomo giustamente rivendica e che non vuole paletti di alcun genere. – Potremmo forse dire: meglio Nietzsche o Sarte o tutti quei pensatori che ci liberano da ogni ancoraggio metafisico vincolante.- Ci può aiutare, a mio modesto parere, una riflessione su quella affermazione delle scuole sivaitiche secondo cui l’Io è libertà ( così Abhinavagupta nel Tantraloka,- La luce dei Tantra), e lo è tanto più riesce ad andare al di là del “Velo di Maya” delle apparenze e della pura fenomenicità, per cogliere le manifestazioni nascoste di ciò che può essere una sorta di energia divina, forse colta a volte, nella tradizione culturale dell’occidente, dalla intuizione poetica ed artistica in tutte le sue migliori espressioni.- In buona sostanza o attraverso la pratica meditativa orientale, nelle sue varie declinazioni, o attraverso gli slanci della migliore attività artistica presente nella storia dell’Occidente, ma anche attraverso le vie della tradizione mistica occidentale ( S. Giovanni Delacroix), l’uomo, ogni uomo, può intuire che l’eventuale presenza di “principi causali ideici extramondani” (Dio?) non necessariamente costituisce una limitazione della propria libertà, ma addirittura può ampliarla.- La filosofia occidentale, a partire da Platone, ha forse la presunzione di essere l'unica via possibile, (quella caratterizzata dalle argomentazioni e dal dialogo dialettico), per arrivare ad una conclusione positiva in tema di metafisica, ma in realtà sembra a me che la via dell'arte o della contemplazione siano più facilmente percorribili.

giovedì 16 aprile 2009

Un'angoscia esagerata

Cari cenacolanti sempre in cerca del significato dell'esistenza
martedì scorso abbiamo commentato il libro di Sartre "l'esistenzialismo è un umanismo", tratto da una famosa conferenza del filosofo francese, che poi si è subito pentito di avere permesso la pubblicazione di un testo così "comprensibile" che ha consentito a tutti di rendersi conto della sua incapacità di articolare in maniera attendibile certe sue pur giuste intuizioni.
Ma perchè per fare buona figura i filosofi hanno bisogno di scrivere difficile e di esprimere tesi estreme? Che l'uomo abbia la responsabilità di lavorare alla sua autoedificazione a prescindere dall'esistenza o meno di Dio lo sappiamo pure noi, ma perchè esagerare come fa lui pretendendo che, in questo lavoro, l'uomo è completamente libero, che le resistenze non contano, che il risultato dipende solo da noi, che siamo responsabili anche delle nostre passioni e paure, etc?
Un mio amico diceva, invece, giustamente, che ognuno gioca a scopa con le carte che gli distribuisce il cartante. Ed in effetti uno non si può autoedificare le carte col pennarello. Se uno volesse fare scopa con una carta autocostruita gli altri giocatori protesterebbero.....
Insomma ha senso negare che l'uomo incontra ostacoli, come le malattie o il matrimonio, al libero dispiegamento delle proprie potenzialità? Ed a proposito di questa difficile dinamica esistenziale cambiamento-conservazione, attiva anche all'interno del rapporto di coppia, mi piace citare un grande filosofo esistenzialista anonimo che scriveva: una donna sposa un uomo sperando che cambi, e lui non cambierà. Un uomo sposa una donna sperando che non cambi e lei cambierà.
E tuttavia le tesi di Sartre ci hanno intrigato e coinvolto, Armando se ne è detto affascinato, Alberto e Maria pure ma con qualche riserva "scientifica": Maria ha fatto notare che non è vero che quando nasciamo siamo nulla, come pretende Sartre, perchè ci ritroviamo in una famiglia e tra persone che ci trasmettono, proprio quando siamo più plasmabili, nevrosi o positività, idee e pregiudizi. Sulla stessa linea Alberto, che pur essendo stato - come molti altri "sessantottini" - innamorato di Sarte, oggi deve sottolineare che c'è un aspetto deterministico nell'uomo, a cominciare dal suo patrimonio genetico e dalla propria storia individuale, che Sartre pretende di ignorare quando afferma che l'uomo piò inventarsi ex novo ogni giorno.
Ed a proposito dell'angoscia implicata da questa libertà - una libertà che Sartre pretenderebbe assoluta - Augusto ha sottolineato: "ragazzi, non scherziamo: non stiamo parlando di un'' angoscetta da quattro soldi, tipo un'inquietudine positiva perchè creativa, quì stiamo parlando dell'assurdismo cosmico: per Sartre niente ha senso, nel mondo non c'è un significato nascosto da trovare, una verità nascosta da disvelare, non c'è assolutamente nulla, il senso e la verità li dobbiamo costruire ed inventare di sana pianta noi, ognuno per se stesso e poi anche come proposta agli altri. Altro che inquietudine creativa, il nulla sartriano fa venire davvero non solo la nausea, ma anche l'agorafobia (paura degli spazi vuoti) ed altri disturbi psicosomatici come la diarrea e gli attacchi di panico, a parte che dove troviamo tutto questo tempo per autocostruire noi stessi di sana pianta con tutto quello che abbiamo da fare per sbarcare il lunario ogni giorno?
Sicchè l'Augusto ha proposto, come contrappunto all'angoscia Sartriana di cui ci siamo imbevuti, di leggere per la prossima volta un libro pubblicato da poco nel quale Platone e Nietzsche si confrontano sui temi dell'esistenza in forma leggera, ironica e per nulla nauseante.
Altri hanno suggerito il testo segnalato da Alberto Biuso: Lettera sull'umanismo di Heidegger, Adelphi, 1987, che però.è stato considerato dagli esperti troppo difficile per il livello intellettuale medio dei presenti (sicchè molti di noi lo stanno comprando per leggerlo di nascosto nella speranza di scoprire che sono più intelligenti della media).
Un altra fazione di cenacolanti anarchico-insurrezionalisti, insofferenti della leadership di Augusto, ha proposto "le Favole di Margherita" della Hack , ma Alberto Spatola ha vergognosamente negato di averlo letto ed apprezzato sicchè ha avuto buon gioco Augusto che ha ricordato che, per regolamento, non si possono adottare libri che nessuno dei presenti ha mai letto.
Ci siamo lasciati, dunque, con un interrogativo esistenziale irrisolto: Alberto Spatola è responsabile della sua viltà come sostiene Sartre oppure possiamo giustificare il suo rifiuto di darsi in pasto ai famelici cenacolanti che effettivamente, se non gradissero il libro da lui "garantito" ne divorerebbero la reputazione come hanno fatto con quella di Armando (il quale non viene più chiamato per nome ma additato come "quello della tristezza del pensiero") ?
Riporto sotto i dati del testo scelto per martedi 21 aprile ed auguro a tutti
Buona Pasqua
Pietro
Autore: Grecchi Luca
Editore: Di Girolamo
Genere: filosofia occidentale moderna
Argomento: platone, nietzsche, friedrich
Collana: Gratis et amore hominis
Pagine: 160
ISBN: 8887778264
ISBN-13: 9788887778267
Data pubblicazione: 2008
Giovanissimo talento innamorato della filosofia classica (Carmelo Vigna), "pensatore a suo modo classico" (Mario Vegetti), "rondine di una nuova auspicabile primavera filosofica" (Costanzo Preve), Luca Grecchi lascia qui sullo sfondo i suoi consueti studi sulla filosofia greca antica e sull'umanesimo metafisico, per impegnarsi in un'opera di fantasia, di contenuto indubbiamente filosofico, ma che possiamo definire letteraria. Questo libro propone infatti un immaginario incontro fra Platone e Nietzsche, reso possibile dal terzo personaggio sulla scena: il tempo. L'incontro - che ha come tema di fondo, appunto, la ricerca del senso della esistenza umana - si svolge in cinque giorni. Platone e Nietzsche parlano di temi biografici, dell'amore, di metafisica, di politica e della morte. Un testo, dunque, che - pur se iscritto nel genere divertissement - sollecita a riflettere in modo appassionato sui contenuti eterni della condizione umana.

domenica 5 aprile 2009

L'esistenzialismo è un umanismo o un anestetico?

Sinora nessuna reazione sul buon Sartre, tranne l'eccellente proposta di Biuso di leggere, dopo Sartre, la "Lettera sull'umanismo"di Heidegger, che si pone in maniera antitetica o complementare, lo vedremo, alla tesi sartriana.

sabato 28 marzo 2009

Il pidocchiu arrinisciuto e il vegetariano reincarnato

Cari cenacolanti
Cos'è l'autenticità? E' questo il tema su cui ci siamo confrontati martedì scorso, stimolati dalla vicenda di Ivan Il'ič che si accorge, purtroppo solo alla fine, di avere vissuto una vita solo "apparente". Condenserei così il messaggio che ci ha lasciato il genio di Tolstoy con questo splendido libro: l'uomo è un animale arrivato, un "pidocchiu arrinisciutu", che ha la volgarità ed il provincialismo di un "nuovo ricco".
Semplificando molto possiamo dire che, in questi giorni, si sono confontate due scuole di pensiero:
- quella che potremmo ricondurre ad Augusto, secondo cui autentico è cio che si mostra in modo veritiero, ossia corrispondente a ciò che davvero è;
- quella che, per comodità, riconduciamo ad Alberto Spatola, secondo il quale se vogliamo definire l'autenticità in relazione ad esseri umani non possiamo non introdurre criteri di valore condivisibili ed essenziali.
Ma il confronto ha avuto varie ed interesanti sfumature ed i contributi sono stati tutti appassionati ed interessanti.
Quando poi Giovanni la Fiura ha letto un brano di Heidegger sull'essere e sul suo divenire, abbiamo capito che non possiamo definire l'autenticità senza cercare di capire prima qual è l'essenza dell'uomo e senza occuparci dell'essere.
Insomma, quasi senza volerlo, abbiamo toccato un nodo essenziale della ricerca filosofica, risolto il quale le risposte a tutte le altre nostre domande esistenziali - compresa quella: ma i vegetariani si reincarnano? o l'altra, che sembra oggi veramente un rebus irrisolvibile: come mai Fini è diventato così simpatico - ci sembreranno di una semplicità sconcertante.
E' parsa, a questo punto, davvero opportuna la proposta di Francesco Palazzo, di commentare, alla prossima cenetta, il saggio di Sartre "L'esistenzialismo è un umanismo" (Francesco l'ha trovato alla Feltrinelli, ed Mursia € 12,00).Il testo è semplice da leggere ed anche breve. Nel post precedente a questo trovate una recensione.
Intanto vi trascrivo brani estratti dal libro che ci aiutano già a capire il contenuto del libro stesso e un po' anche Sartre e l'esistenzialismo.

Però prima mi piace introdurre il tema dell'esistenzialismo con due illuminanti "visioni" che, più che dalla speculazione filosofica, traggono la loro bellezza dall'intuizione artistica e dalla fede e che sono, a mio parere, esitenzialiste, Sartriane ed Heideggeriane nel senso più bello e poetico:

"......perchè una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile..." (L. Pirandello).
"Alcuni uomini vedono le cose per quello che sono state e ne spiegano perchè. Io sogno cose che ancora devono venire e dico: perchè no" (Robert F Kennedy)

A martedì sette aprile, ore 20,.30 per chi cena con noi, ore 21 per gli altri. Ecco alcuni brani dal testo che commenteremo.
Ciao. Pietro

"L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all'inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. [...] L'uomo è soltanto....... quale si concepisce dopo l'esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l'esistere: l'uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell'esistenzialismo. Ed è anche quello che si chiama la soggettività e che ci vien rimproverata con questo termine. Ma che cosa vogliamo dire noi, con questo, se non che l'uomo ha una dignità più grande che non la pietra o il tavolo? Perchè noi vogliamo dire che l'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire.
L'uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente, invece di essere muschio, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile; l'uomo sarà innanzitutto quello che avrà progettato di essere. [...]
Ma, se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell'esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza. E, quando diciamo che l'uomo è responsabile di se stesso, non intendiamo che l'uomo sia responsabile della sua stretta individualità, ma che egli è responsabile di tutti gli uomini. La parola "soggettivismo" ha due significati e su questa duplicità giocano i nostri avversari. Soggettivismo vuol dire, da una parte, scelta del soggetto individuale per se stesso e, dall'altra, impossibilità per l'uomo di oltrepassare la soggettività umana. Questo secondo è il senso profondo dell'esistenzialismo. Quando diciamo che l'uomo sceglie, intendiamo che ciascuno di noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo anche dire che ciascuno di noi, scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini. Infatti, non c'è uno solo dei nostri atti che, creando l'uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale noi giudichiamo debba essere. Scegliere d'essere questo piuttosto che quello è affermare, nello stesso tempo, il valore della nostra scelta, giacché non possiamo mai scegliere il male; ciò che scegliamo è sempre il bene e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti. Se l'esistenza, d'altra parte, precede l'essenza e noi vogliamo esistere nello stesso tempo in cui formiamo la nostra immagine, questa immagine è valida per tutti e per tutta intera la nostra epoca. Così la nostra responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa coinvolge l'umanità intera.[...]
L'esistenzialista, invece, dice che il vile si fa vile, che l'eroe si fa eroe; c'è sempre una possibilità per il vile di non essere più vile e per l'eroe di cessare d'essere un eroe. Quello che conta è l'impegno totale, e non solo un caso particolare, un'azione particolare a impegnarvi totalmente".
(da L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, pagg. 34-38, 66-67)

martedì 24 marzo 2009

Jean-Paul Sartre. L’esistenzialismo è un umanismo

Jean-Paul Sartre. L’esistenzialismo è un umanismo (tit. or. L'Existentialisme est un humanisme, 1945). VI edizione Mursia, Milano 1990, pp. 128, € 8,30.
Se io ricordo bene il testo dell'opera è molto meno delle 128 pagine del libro, tra l'altro, se ricordo sempre bene, scritto in caratteri molto grandi. Perciò possiamo leggerlo senz'altro tutto per martedì 7 aprile. Sotto riporto una breve descrizione dell'opera presa da un sito di filosofia.


Il saggio del 1946 “L’ esistenzialismo è un umanismo” è la versione leggermente modificata della conferenza che J.P. Sartre aveva tenuto nell’ottobre del 1945 davanti al pubblico parigino del Club Maintenant. La conferenza aveva anzitutto lo scopo di reagire alle accuse e ai fraintendimenti più grossolani che circolavano, sia negli ambienti di destra che in quelli di sinistra, intorno all’esistenzialismo in genere, divenuto tema di moda negli ambienti culturali, e intorno al cosiddetto ”esistenzialismo ateo” dello stesso Sartre. Gli avversari di diversa tendenza lo presentavano come una dottrina dell’assurdo e del vuoto, materialista e diabolica secondo gli uni, contemplativa e pessimistica secondo gli altri. Una concezione che, privilegiando gli aspetti peggiori dell’uomo e trascurando la solidarietà umana, fa dell’esistenzialismo una dottrina anti-umanistica. A queste critiche Sartre risponde ribaltando completamente il giudizio degli avversari. Egli infatti rivendica il carattere umanistico della propria filosofia, sostenendo che l’esistenzialismo pone al centro della sua attenzione l’incondizionata libertà dell’uomo che è, al tempo stesso, assoluta responsabilità del soggetto e delle sue scelte. Sartre esclude sia la tesi dell’esistenza di un Dio artefice che ha creato l’uomo in conformità ad un prototipo ideale prefissato, sia la versione laica di questa convinzione, ossia la tesi di una natura umana dotata di prerogative specifiche – e pertanto universale, immutabile e altrettanto prefissata. La tesi essenziale dell’esistenzialismo sartriano è pertanto quella secondo cui l’esistenza precede l’essenza; la conseguenza di ciò è che non vi sono principi a priori che possano stabilire il significato del vivere dell’uomo, il quale è totalmente responsabile di fronte alla vita. L’uomo è privo di fondamenti, non ha valori predeterminati a cui riferire la propria condotta e deve pertanto assumersi la piena responsabilità delle sue azioni e deve costruire da sé i principi del suo comportamento. L’assenza di Dio (e di ogni altro fondamento o valore) obbliga l’uomo a creare da sé i propri fini e i propri significati. In conclusione, il significato della filosofia sartriana può essere così riassunto: l’uomo non è nient’altro che ciò che fa di se stesso. Egli non ha una natura che preceda la sua azione e che è capace di condizionare la sua azione; in altre parole non c’è determinismo e l’uomo è totalmente libero, ma questa sua assoluta libertà è al tempo stesso una condanna, giacché gli impone in ogni istante di inventare e re-inventare se stesso. L’essere dell’uomo è totalmente nelle mani dell’uomo stesso. La sua essenza emergerà solo attraverso i progetti e le scelte che egli saprà realizzare.

Un Crudele Esperimento - IV


Die Rodung – Ad estirpanda


Facciamo un altro salto indietro nel tempo, sempre in quel “fecondo” piano parallelo dove a vincere la II guerra mondiale, e poi, a breve distanza, anche la terza, sono stati i Nazisti. In questo breve resoconto impareremo come, a volte, eventi storici che si svolgono in modo molto differente tra un piano e l'altro, e che si sviluppano nelle imprevedibili ramificazioni del Tempo, non producono poi effetti così diversi. Può essere interessante chiedersi come mai...


Nel 1943 Adolf Hitler, concentrando le sue armate sul fronte russo, è riuscito a fare arretrare le truppe di Stalin ben oltre gli Urali e, conquistando gran parte della Siberia, ha sospinto gli eserciti dei soviet fino ad una limitata regione presso le coste del pacifico.

In una regione boschiva circondata dalle immense e fredde tundre, inaspettatamente il Fuhrer trova delle misteriose evidenze.
Presso le rive del Fiume Tunguska, in Siberia centrale, i generali tedeschi in ricognizione avevano segnalato la presenza di una vastissima regione in cui milioni di alberi erano morti carbonizzati, forse a causa di un’enorme esplosione, trovandosi caduti a terra tutti orientati nella medesima direzione. Si trattava evidentemente di un evento istantaneo, una esplosione di una potenza tale che le armi conosciute non potevano aver creato.

Hitler impazzisce dall’esaltazione, vuole che si torturino i prigionieri per conoscere la natura e l’ubicazione esatta delle armi segrete in possesso dei generali sovietici.
Nulla da fare, decine di ufficiali muoiono sotto atroci torture e vessazioni, giurando di non saperne nulla. Effettivamente, arriva una conferma indiretta: da una datazione approssimativa fatta analizzando le tracce di carbonio dei tronchi morti, si scopre che l’evento è retrodato più o meno all’inizio del secolo. Forse neanche gli Zar ne sapevano nulla.

Nella zona erano anche stati trovati rari frammenti di una lega metallica sconosciuta, fatta in larga misura da elementi molto rari sulla terra, come iridio, cromo, tungsteno, molibdeno, platino, oro, vanadio.
Hitler intuisce che vi può essere lo zampino extraterrestre e, dopo una lunga serie di tentativi, riesce a far analizzare attentamente i residui dei terreni circostanti, in cui si trovano abbondanti isotopi di piombo, uranio e plutonio. Riesce a fa decifrare, in parte, alcuni microscopici frammenti di tecnologiche trovate, ove vi sono i codici di calcolo per realizzare la fissione nucleare.
Con una fulminea mossa, riesce in poco tempo a fabbricare la prima bomba atomica, ed a far fuori subito gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Hitler si accorge che la potenza degli ordigni nucleari fabbricati, sono di mille volte inferiori all’esplosione calcolata di Tuguska, ma è più che sufficiente a scatenare la distruzione. Roosvelt muore sotto le macerie di Washington, rasa al suolo dai venti nucleari. In Europa, non ha neppure bisogno di sganciare bombe H: evita la contaminazione di territori troppo vicini a sé, anche perché questi stati si arrendono immediatamente. Affida al Giappone il facile compito di annientare le armate residue e le ultime sacche di resistenza sovietica in siberia orientale. Egli nel frattempo si dedica con gusto ad invadere e conquistare la Cina, usando come armi tattiche dei missili U2 modificati in gittate terra-terra e dotati dei nuovi “optional” nucleari.
Stalin e Churchill, fuggiti dai loro rispettivi paesi poco prima della disfatta, vengono catturati ed impiccati pubblicamente, al termine di una fastosa parata militare internazionale svolta nell’immensa piazza del Kremlino. Le bandiere sventolanti del Reich sono milioni, e i cori festosi che inneggiano al nuovo Capo Supremo del pianeta sono rotti solo dal rombare dei cacciabombardieri, che in formazione svettano sulle teste di schiere di generali dal sorriso inebriato.
Mai il desiderio umano di grandezza e potenza fu talmente soddisfatto, quel memorabile giorno.

Hitler, per quanto all’apice del suo successo, in quel momento storico non riuscirà però a stabilire dei contatti veri e propri con forze extraterrestri, come avrebbe desiderato. Per avere delle novità, dovrà aspettare i primi anni 70, un decennio prima della sua morte. Riesce comunque a stabilire un nuovo ordine mondiale, all’insegna della svastica e dei suoi temibili metodi dittatoriali e xenofobi.

Già dagli anni ‘50, i tecnocrati militari del Reich si pongono subito degli obiettivi di ricerca militare e sociale, per adeguare il proprio livello di conoscenze alle esigenze di controllo del pianeta intero. Sono interessati ad effettuare esperimenti sulla specie umana che travalicano di gran lunga quelli realizzati nei lager germanici dei primi anni ’40. In America, ad esempio il panorama umano sopravvissuto alle contaminazioni nucleari si rivela molto interessante. Non si non si può pensare di perderne il livello di complessità, il quale va comunque controllato al massimo ed amministrato secondo i principi voluti da Hilter.
Bisogna creare dei nuovi lager anche lì, ma senza filo spinato. Bisogna sfruttare le conoscenze già acquisite e praticate dagli americani in fatto di business, conciliandole con l’intento primario di eliminare definitivamente i giudei dalla faccia della Terra. E lì ce ne sono tanti: e molti hanno occupato posizioni significative nei potentati economici e politici. Come estirparli?

Da questo panorama hanno origine i crudeli esperimenti di cui andiamo sommariamente a raccontare. Prima però, vi è un altro particolare storico di cui si deve parlare, e che si intreccia col precedente: riguarda ciò che accade in Italia. Anche qui le cose vanno in modo abbastanza diverso da come ci si potrebbe aspettare.
Hitler e i suoi più fidati consiglieri non vedono di buon occhio Benito Mussolini, innanzitutto perché egli si è pubblicamente vantato di una vittoria non sua. Lo sbarco in Sicilia delle forze alleate infatti è stato fermato tra la Lucania ed il Lazio, solo grazie ad un massiccio intervento della Wermacht, della Luftwafe e dei rinforzi tedeschi, dopo che le esigue truppe messe in campo dal governo fascista erano state disfatte in Sicilia ed in Calabria. Hilter pensa che Winston Churchill aveva avuto ragione nel dire che: «L'Italia è il ventre molle dell'Asse». A suo tempo, l’esercito dei 160.000 uomini guidati da Eisenhower dopo lo sbarco in Sicilia, era stato annientato già nei primi mesi del 1944: le truppe alleate oltre i tre quarti erano perite sotto il fuoco incrociato dei nazisti, ed i sopravvissuti internati nei campi della gelida Polonia, mandati ai lavori forzati nelle nuove ed immense fabbriche militari sorte nella zona di Cracovia.

La seconda colpa che il Fuhrer addebita a Benito Mussolini è quella di aver stilato, nel ’29, i Patti Lateranensi, contenenti un Trattato con cui il Duce aveva imprudentemente riconosciuto l'indipendenza e la sovranità del papato, autorizzandolo a fondare lo Stato Vaticano. Ancor di più, attraverso una Convenzione Finanziaria molto vantaggiosa per lo stato ecclesiastico, Mussolini si era tirato indietro dalle spoliazioni degli enti ecclesiastici. Aveva riconosciuto l'esenzione, al Vaticano, dalle tasse e dai dazi sulle merci importate ed il risarcimento di 750 milioni di lire (* pari a circa 3 miliardi di €uro attuali) e di ulteriori titoli di Stato consolidate al 5 per cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire (* pari a circa 4 miliardi di €uro attuali), per i “danni finanziari subiti dallo Stato pontificio” in seguito alla fine del potere temporale.

Hitler riconosce nel famoso motto “libera Chiesa in libero Stato” una beffa: si accorge che la libertà sta prevalentemente dalla parte del Papa, verificandosi un asservimento del governo fascista -sia economico che politico- ai solleciti pontifici. Un fatto intollerabile. 
Ma per pareggiare i conti, Hitler ha atteso furbamente la vittoria sulle Forze Alleate angloamericane. Chiusi i campi di battaglia, riarmati e ricomposti i propri eserciti, Hitler con la scusa di una parata ordina l’invasione massiccia delle più importanti città italiane. Roma è posta sotto assedio. In una calda notte dell’Agosto del 1948, Mussolini viene arrestato insieme al suo stato maggiore in gran segreto, e tradotto in Germania. Qui, insieme ai maggiori gerarchi fascisti, Benito Mussolini compare davanti ad un tribunale militare segreto. Per tutti la condanna è unanime: pena di morte con immediata esecuzione. I mezzi di stampa parleranno di un malore e di una morte per infarto; dei gerarchi fascisti si saprà solo dopo anni. Alcuni di essi si salveranno, a patto di collaborare strettamente con Hitler nei suoi nuovi progetti. Innanzitutto fare piazza pulita del Vaticano, ed impossessarsi dei tesori e degli oggetti magici più importanti, custoditi nei sotterranei della Basilica di San Pietro ed in altre località segrete. Per trovarli Hitler oltrepassa le mura vaticane, fa catturare il corpo di guardie svizzere che vengono tenute in ostaggio. Entra personalmente negli appartamenti pontifici e costringe Papa Pio XII, sotto la minaccia di una strage, a consegnargli una serie di oggetti molto particolari, di cui i suoi profeti o “veggenti” conoscono molto bene l’importanza.
Proprio nel momento in cui Hitler sta per decidere di far portar via i tesori e le opere d’arte più importanti e di fare incendiare tutta la cittadella vaticana, ha un incontro decisivo con due personaggi che si prestano al gioco di oscuri consiglieri. Questi sono un alto prelato cattolico, a suo tempo misteriosamente scomunicato dal papa, ed un rabbino di origine giordana perseguitato dagli Ebrei ed espatriato in Austria durante la guerra. 

Essi lo guidano ad una importante intuizione e risoluzione: i sionisti possono essere capillarmente cancellati dalla faccia della terra proprio con l’aiuto della chiesa cattolica. Di fronte alle evidenze storiche, Hitler riconosce che gli odi religiosi sono più efferati di quelli puramente razziali, con i quali condividono comunque una originale radice filosofico-religiosa.

L’idea attuativa che si fa avanti è drastica, perversa quanto sconvolgente: ricostituire la santa inquisizione affidandola ad un papa asservito, attraverso una religione riveduta e corretta dai filosofi fanatici del Reich. Ciò servirà ad eliminare capillarmente tutti gli ebrei, i comunisti, gli islamici e, progressivamente, i rappresentanti di tutte le altre religioni delle altre aree del globo. In questo modo il Terzo Reich avrà velocemente ed efficacemente un unico ossequio “religioso” praticato in tutto il mondo, che rinsalderà ed unificherà i vari popoli della Terra sotto il nascente governo mondiale. Hitler sa che questa operazione è impossibile senza prima avere fisicamente eliminato o convertito i vertici ecclesiastici, e i capi delle possibili fazioni che si opporranno. Ad eliminare tutti gli altri, penserà la Nuova Inquisizione, capeggiata da uomini fidati.

Hitler però non si fida totalmente dei suoi consiglieri, e preferisce dare il via all’operazione tramite alcuni ulteriori crudeli esperimenti. In America, in Europa, in Africa del nord e in Medio Oriente verranno creati degli immensi lager, ai margini di città delimitate e sorvegliate a vista da uomini armati. Sconfinate baraccopoli sorgeranno ai margini delle città, servendo a ricreare dei tuguri ghettizzati dove ebrei, cattolici e musulmani si affronteranno in bande armate, scannandosi tra loro a colpi di macete, di mortaio, di esplosivo. Sarà molto facile schierarli gli uni contro gli altri. I continui attentati daranno pretesto all’inquisizione di agire liberamente, imprigionando, torturando e dando al rogo chiunque ne venga ritenuto meritevole.

Viene fondata una nuova religione ufficiale, il nazional-cattolicesimo, a partire da una base relativamente semplice e sbrigativa: cioé “riaggiustando” i dieci comandamenti e innalzandoli a sedici. Per far ciò, Hitler destituisce Pio XII concedendogli un salvacondotto verso il Brasile e, col consenso di un Vaticano in parte terrorizzato ma in parte complice, insedia un nuovo papa, Teutone I, austriaco di nascita. Egli è naturalmente un papa spietato, intenzionato com’è a rivedere ed aggiornare tutte le dottrine della fede. Del resto non sarebbe la prima volta nella storia, anzi. 
La Nuova Inquisizione avrà sede a Vienna, ove in gran parte i tesori vaticani sono stati trasportati e custoditi.

Nel nuovo regime nel frattempo stabilitosi in Italia, verrà ricordato in futuro come fondamentale il contributo politico dello statista Luigio Andreini meritevole di aver incarnato, in un paese così difficile e restio ad accettare le imposizioni dall’alto, il ruolo di raffinatissimo mediatore. Verso la fine degli anni ’50, l’onorevole Andreini rinsalda le fila di un nuovo partito collegato alla nuova Inquisizione. Il terrore seminato in altri paesi, in Italia potrà essere smorzato se si accetta uno storico “compromesso” tra le parti. Ovviamente si tratta di un compromesso relativamente finto, in cui si cerca di dare a ciascuna delle parti estreme la sensazione di un controllo territoriale. Nel meridione il controllo verrà dato alle Sacre Mafie Unite, che sotto un unico stemma, torneranno a ritrovarsi nel segreto degli incappucciati, in un esaltante stile “massonico e neo-cospiratore”.
Nella regione padana la sensazione di controllo del territorio verrà offerta alle masse operaie filo-partigiane, nella coscienza che Hitler ha acquisito di non poter annientare una intera popolazione che ha maturato un notevole grado di complessità, risultando ben salda intorno a dei principi propri. Conviene ingannare, piuttosto che distruggere. 
Andreini farà leva sui valori di libertà e giustizia, promettendo ai residenti Italiani del Reich dei trattamenti di favore con scopi sperimentali, non concessi in altre regioni del mondo. Le prime elezioni nazionali, si rivelano essere un plebiscito. Col 95 % deil voto popolare, Andreini viene acclamato Presidente della Regione Italiana del III° Reich, con l’avallo di Hitler. Storiche, le foto che ritraggono un Fuhrer ancora smagliante, mentre stringe la mano a Papa Teutone I in tunica nera, ed accanto a lui un Luigio stanco ed emozionato, vagamente smagrito e un po’ ricurvo su di sé ma anche sodisfatto, con le sue orecchie piccole eppure evidenti, ed un riso enigmatico che suscita un senso di sarcasmo.

Tutto questo è servito a motivare e costruire l’instaurazione dell’unico controllo possibile sulla vita civile e politica dell’Italia nazista: la nuova Inquisizione. Avendo già ben funzionato per secoli fino a tempi recenti, essa avrà pieno potere e libertà di azione nei confronti dei terroristi, ma anche degli infedeli al revisionismo catto-nazista.
I primi ad essere presi di mira? Ovviamente sono i nemici più temibili: Ebrei ed Islamici. Teoricamente accomunati da un'unica fede verso un unico Dio, ma separati da un abisso di tradizioni e conoscenze differenti.

Riguardo agli Ebrei, la giusta punizione è una nuova invasione della Terra Santa, con la scusa di una nuova crociata che deve strappare al giudaismo il primato del Sepolcro di Cristo, e soprattutto dell’Arca dell’Alleanza, oggetto magico di inestimabile valore e potere.
In breve tempo la Palestina, la Cisgiordania e la Siria e il Medio-Oriente intero vengono invasi e conquistati. Gli ebrei e gli abitanti di fede islamica vengono messi insieme ad ammazzarsi tra loro, in immensi lager-ghetto, grandi quanto città, e confinate da fili spinati con lame taglientissime e campi minati. Da questi inferni nessuno può uscire vivo, ma la gente potrà (e quindi dovrà) riprodursi all’infinito, essendo vietati e non reperibili gli strumenti e le conoscenze per la contraccezione. Le vittime più appetitose della ferocia nazista, che rimane dietro le quinte, sono proprio i bambini ed i ragazzi, destinati a nascere e crescere inconsapevolmente in una malvivenza atavica, per poi finire massacrati sotto i colpi e gli agguati delle fazioni avversari o i roghi purificatori dell'inquisizione.
In un ambiente in cui non esistono ospedali affidabili, chi rimane ferito è trasportato nelle sale operatorie create dal regime, dove lo aspetta un dolore atroce, fino ad una lentissima, inesorabile morte. Le cure palliative che vengono somminstrate non servono certo salvare la vita del malcapitato, ma solo prolungarne le sofferenze attraverso uno stillicidio perpetrato con gusto sadico, in nome della sacralità della vita biologica: agli emissari dei nazisti non manca di certo il senso dell'ironia. Ed è per questo che quando un ragazzino rimane ferito, i parenti cercano di nasconderlo in casa di amici fidati, prima che gli inquisitori lo trovino.

In quanto agli islamici, invece, la situazione è più complessa, perché riguarda enormi masse di popolazioni sparse su territori vastissimi e sconfinati: non è certo possibile annientarle. Hitler, dando ascolto ancora una volta agli strateghi suoi consiglieri, escogita un piano brillante. Porta ad insediamento un altro astro nascente della politica italiana, Alberto Crisca, dapprima nel protettorato libico, con l’intento di estenderlo in breve tempo verso l’Egitto e il Golfo Persico da un lato, e verso Tunisia, Algeria e Marocco dall’altro. La manovra riesce pienamente, utilizzando le opportune strategie che prevedono l’uso combinato delle credenze religiose dell'Islam (opportunamente ritoccate) e della forza per controllare le masse. Il Vertice Nazista ha individuato la figura adatta a compiere questa operazione, essendo i gerarchi nazisti assai meno abili a comunicare col mondo arabo, per comprensibili motivi legati alle proprie caratteristiche di origine. Crisca invece, formidabile arrivista ed italiano ben dotato di grandi capacità adattive e mediatrici , dimostra ben presto i suoi denti da squalo, la sua originalità e spregiudicatezza. Riesce a farsi nominare gran sultano d’oriente, e pone la sua sede privilegiata in una sontuosa reggia fatta costruire appositamente nella zona residenziale di Tripoli. Da qui inizia a manovrare il mondo dell’Islam diventando un venerato e temuto Imam. Questo, in buona sintesi , il panorama nel cosiddetto mondo occidentale.


Vediamo ora cosa è successo dopo soli 50 anni di esperimenti.

In quasi tutto il mondo il Nazismo si è affermato con la forza, militare o inquisitoria, con un costo in vite umane altissimo. Si stima trattarsi di alcune decine di milioni di morti. Le statistiche ufficiali non offriranno mai proporzioni precise, ma gli storici del periodo a fatica ricostruiscono la seguente situazione: soltanto il 20% delle vittime è dovuto alle azioni belliche tra eserciti contrapposti durante le fasi di conquista dei restanti paesi da parte dei nazisti. Il 50% è invece perito in guerriglie locali, fomentate dai servizi segreti nazisti per fare in modo che scomode masse di disperati si annientino tra loro, un po’ con le poche e rudimentali armi, considerate di scarto dagli eserciti maggiori, un po’ attraverso la fame, le malattie (in parte veicolate appositamente) e la mancanza di soccorsi alle popolazioni ghettizzate. Il rimanente 30% è stato purificato dall'inquisizione.

In Italia invece, paese caro al Fuhrer per motivi occulti che egli non si sogna di rivelare, il popolo non ha sostanzialmente risolto i propri conflitti post-bellici, nonostante l'assenza dei lager.
La gente continua scontrarsi politicamente e socialmente, a formare fazioni, bande gruppi, squadre, schieramenti, che non hanno nessun altro scopo se non quello di affermare se stesse con la forza. Nessun principio però vince o viene applicato in pieno. Le persone si odiano, ed ovunque vedono nemici. Hanno solo paura di finire arrostite pubblicamente, dopo indicibili torture. Ma si sa anche che, per evitarlo, basterà abiurare pubblicamente, e tornare a far finta di frequentare diligentemente i luoghi di culto. Grandi cattedrali costruite in vetro e cemento, ove la croce con un uomo inchiodato sopra non è mai stata abolita: è stata solo leggermente ruotata e dotata di piccole protuberanze alle punte. La scritta INRI è stata fatta scomparire, perché nessun fedele fosse portato a cercare di scoprire chi erano i Nazhar, temibili rivoluzionari.

Questo apparente disordine, fa in realtà comodo al nuovo regime mondiale nazista, che non è stupido, ed impiega la forza diretta solo ove è necessaria per vincere. 
La stessa forza che in Italia ed in America non è costretto ad usare, sia perché essa viene dal popolo e su di esso si ritorce. Ma soprattutto perché la massa dei fedeli spensa di rappresentare-nonostante tutto- un popolo progredito e cosciente di obbedire ad una legge che considera divina, al di là di ogni apparente evidenza. E’ l’unica legge che le persone ritengono di potere moralmente accettare, poiché rappresenta l’ideale di un uomo che ha offerto la propria vita per salvare l’Umanità. Da ciò discende il pensato comune che l’uomo sia assolto dalla responsabilità delle proprie azioni sin dall’inizio della propria esistenza. I singoli e le masse devono perciò soltanto limitarsi a far apparire pubblicamente la propria sottomissione al potere temporale catto-nazista, anche se la legge medesima viene continuamente violata da “ignoti”. Del resto, ciascuno può essere un ignoto, quando gli è consentito.

Hitler aveva fatto centro, era stato consigliato bene. La scelta politica -apparentemente contraddittoria per la feroce dittatura nazista- di lasciare pressoché immutata una situazione storicamente stratificata da secoli, aveva prodotto il risultato desiderato: la massa obbediva, anche se il singolo si sentiva libero. Ognuno in cuor suo era convinto che la sua anima era stata già salvata, ancor prima di nascere. Quindi era teoricamente libero di accettare qualunque cosa facesse, o accadesse per causa di altri.
E, soprattutto, il principio di fede rimaneva vero, indipendentemente da chi e da come lo proponesse, essendo esso espressione materiale e indiscutibile della divina volontà. Nel mondo dominato dal Nazismo, questo sistema poteva politicamente funzionare per il fatto che i prelati del nazional-cattolicesimo erano sottomessi al Fuhrer, e non il contrario.

Adolf Hitler, vicino alla morte, più volte si chiederà quale fine toccherà a questo perverso sistema, nel momento in cui verrà a mancare il suo potere assoluto. L’unica risposta che riuscirà a dare in confidenza alle persone più vicine a lui, coloro che lo assisteranno nel trapasso, sarà che i soggetti più dotati di potere in assoluto nella regione mediterranea sono proprio quelle che fanno parte della casta sacerdotale nazional-cattolica, detenendo conoscenze di alto livello, spregiudicatezza, denaro, ed controllo della forza di dominio delle masse, esercitata attraverso la persuasione o il rogo. Sa bene che Crisca e Andreini sono in realtà dei fantocci manovrabili e ricattabili, tanto da lui quanto dalla casta sacerdotale cattonazista. In questo complesso intreccio di complicità, le persone che ne fanno parte sono troppo legate ai propri vantaggi e all’uso indiscriminato del potere per abbandonarli, ed Hitler sa bene che allorquando il potere militare nazista si sarà allentato, essi saranno in grado di acquisire il controllo orizzontale del Mediterraneo, tutto il nord-Africa, dalla Spagna all’Italia, fino al Medio Oriente e ai Balcani.
Il Fuhrer immagina che i suoi successori tenteranno a tutti i costi di mantenere saldo un potere che, invece, saranno lentamente destinati a perdere.

Un veggente, cui Hitler era molto legato per i consigli offerti prima delle battaglie più importanti, gli aveva già in parte predetto che una più grande minaccia sarebbe arrivata dall’alto. In una Galassia come la nostra, il potere sulla Terra non poteva essere mantenuto a lungo dai suoi abitanti. Prima o poi sarebbe intervenuto direttamente il Signore di Nibiru, l’unico Dio che a tutti i costi voleva essere adorato in modo esclusivo dagli umani, privandoli della libertà di scegliere e di pensare altre divinità.

-“Io sono un dio geloso”, aveva detto molti millenni prima- facendo scolpire le sue perentorie affermazioni nelle Tavole della Legge fatte in pietra, i cui significati erano stati interpretati nel tempo non sempre fedelmente. Al Fuhrer era stato svelato che le tavole di pietra erano state imposte ad una umanità sconfitta e soggiogata, dopo la distruzione di più antiche tavole fatte di cristallo color smeraldo. In queste l’Uomo aveva scolpito e tramandato le proprie conoscenze maturate nella culla di civiltà scomparse, ben più antiche di quelle conosciute.
Tradendosi attraverso la propria gelosia -qualità ahimé piuttosto vicina al mondo umano- il Signore di Nibiru aveva in realtà rivelato (ai vedenti e agli udenti con sensi propri) di non essere l’unico dio, ma uno dei tantissimi che è possibile riconoscere nel vastissimo ecosistema delle divinità esistenti: un mondo spirituale che si estende senza limiti visibili, tanto in lungo e in largo, quanto in alto e in basso. Hitler e pochi altri sapevano tutto questo, ma non si erano mai serviti di queste conoscenze se non per scopi di predominio materiale, rifiutando per loro principio qualsiasi pratica di fede o di culto verso il mondo divino.

Ma a quel tempo, non avrebbero potuto assolutamente immaginare gli esiti del trionfante ritorno della Divinità venuta letteralmente dal cielo, cui i terrestri avrebbero assistito sbigottiti appena pochi decenni dopo.

domenica 15 marzo 2009

Il kamikaze è autentico?

Cari praticanti FilosofiIl romanzo di Tolstoj ci ha coinvolto in riflessioni importanti sul senso della vita e della morte. Fortunato IVAN IL'IC: grazie ad una stupida malattia che, invece, ai nostri giorni la medicina avrebbe irrimediabilmente guarito, ha potuto comodamente accorgersi della falsità della sua vita ed intravedere la luce della verità, sia pure in zona Cesarini. Ma allora si moriva anche per un mal di denti. Purtroppo, con i progressi della scienza che allunga sempre di più la vita e ed allontana la malattia e la morte, certe illuminanti agonie saranno sempre più rare e conseguire l'illuminazione sarà sempre più complicato. Ma noi cenacolanti non abbiamo bisogno di dolori e sventure per filosofare perchè ci lasciamo ispirare anche dalla gioia, dall'arte e dalla contemplazione del bello. E' stato davvero interessante riflettere sul rischio dell'inautenticità che incombe sulle nostre precarie esistenze, talmente interessante che abbiamo deciso di dedicare all'argomento la prossima cenetta. E' un esperimento nuovo, non porteremo un libro da commentare ma le nostre riflessioni sul tema dell'autenticità, al limite supportate dalla lettura di poche righe di un testo che ci ha ispirato. Intanto, sul nostro Blog possiamo trarre utili spunti dai contributi di alcuni di noi. In particolare mi sembrerebbe utile - senza voler nulla togliere agli altri - partire dal contributo di Alberto Spatola: "Il brillante e lo zircone" sulle maschere che indossiamo nelle relazioni con gli altri, sui giudizi di valore che condizionano anche il nostro sentirci più o meno autentici. E' importante delineare bene le coordinate del problema dato che martedì scorso ad un certo punto, impostando il discorso secondo certi presupposti, è venuto fuori che anche il ladro se ruba bene, il mafioso che rispetta il codice mafioso di cui è impregnato sin nelle budella, il Kamikaze se sa farsi esplodere nel momento più opportuno, realizzerebbero nella propria vita quell'autenticità di cui andiamo discorrendo.Giustamente Augusto ha sottolineato che così facciamo il gioco di che ha interesse a far credere che non c'è differenza tra chi paga il pizzo e chi si rifiuta, tra chi vive nella legalità e nella solidarietà e chi si vende l'anima per un po' di potere. Augusto ci ha entusiasmato meno quando ha aggiunto: "al limite concederei che anche il Kamikaze, se in buona fede, può vivere una sua dimensione di autenticità, ma solo se ha il coraggio di confrontarsi con gli altri, di venire alle nostre cenette con i suoi attrezzi di morte accettando di mettere in discussione le proprie opinioni e di argomentarle filosoficamente. Le nostre cenette sono aperte a tutti e sono accettate anche le posizioni più estreme ". Appuntamento, quindi a martedì 24 marzo: dire che sarà una cenetta vivace e scoppientante è dire poco....Pietro

mercoledì 11 marzo 2009

Il brillante e lo zircone







Il brillante e lo zircone

Cari amici filosofi e filosofanti, ieri sera sul finire della discussione riguardante la morte di Ivan Ilic è venuto fuori, quasi naturalmente, un interessante discorso sulla autenticità , discorso che è a mio avviso molto interessante anche per le risonanze psicologiche che ha e le deduzioni filosofiche che può suscitare.

Ma cosa vuol dire “autentico”? , per i greci autentico deriva da autore: αυθεντικός, da 'authentes'='autore'. E’ facile allora capire che diciamo autentico un capolavoro o un’opera d’arte , se è effettivamente attribuibile ad un determinato autore, se un Rembrandt è davvero di Rembrandt.




Anche delle meraviglie della natura possiamo dire se sono autentiche , ad esempio un brillante è autentico , uno zircone no. E’ come se la Natura fosse in questo caso l’autore, e il brillante è davvero una meraviglia della natura , lo zircone no. Capite che già stiamo esprimendo , sia pur indirettamente , dei giudizi “di valore”: Il vero Rembrandt vale un sacco , il falso si vende a poco. Il brillante è costoso , lo zircone è a buon mercato. Per cui ricaviamo, da queste brevi riflessioni sul concetto di autenticità riferito alle cose materiali, che è implicito un giudizio “valoriale” nel concetto di autenticità riferito a beni concreti.

Ma cosa succede quando dalla materia , sia pur nobile e preziosa o artigianale, si passa alle persone ? Quand’è che una persona si definisce autentica? Qui tutto si fa molto più difficile perché non è chiaro quale sia l’originale ( della persona ) e chi l’autore ( se c’è). Possiamo dire che alle volte e storicamente succede che alcune identità personali siano fasulle : ricordate il caso Bruneri o Cannella ? Cioè quel caso in cui una persona diceva di essere un’altra e ci vollero anni per smascherare l’impostore ? Ma in questo caso il problema dell’identità ha ancora a che fare con la “persona fisica” , con qualcosa cioè che può avere una risposta certa , attraverso ad esempio l’esame del DNA . Quindi in medicina legale si può risalire alla persona autentica , a colui che , ad esempio, sia l’autore di un delitto.

Ma se il problema dell’identità non è più vincolato a qualcosa di materiale , tutto diventa più difficile ed interessante nel contempo. Ci aiuta a capire qualcosa Tolstoi ed il suo Ivan Ilic. Non è che Ilic non sia autentico quanto alla sua identità personale fisica , ma sul finire della sua vita ed ormai prossimo alla morte , scopre “ l’inautenticità “ del vivere e della sua storia personale. Pirandello maestro di filosofia oltre che di drammaturgia, in epoca più recente e moderna rispetto a Tolstoi , dice cose simili. L’uomo spesso è prigioniero di riti e convenzioni , che sono radicalmente “inautentici”, e di cui è schiavo. Si pensi al “Fu Mattia Pascal”.

Ma allora come definire l’autenticità di una persona? E’ pur vero infatti che ci sono delle persone che sentiamo come “autentiche”, “schiette”, non mascherate , e ce ne sono altre che invece ci sembrano “finte”, “costruite”, “posticce”. Proviamo a dare alcune risposte: una possibilità è che l’autenticità si dia quando si è coerenti con la propria coscienza e con i propri principi. Credo sia ciò che Augusto Cavadi abbia sostenuto nell’ultimo incontro filosofico: la coscienza ed i principi personali , se sono rispecchiati nella condotta di vita, fondano l’autenticità delle persone.

Ciò è sicuramente condivisibile in parte , ma pone alcuni problemi ulteriori: se la coscienza è falsata da visioni della vita che non siano facilmente accettabili nel contesto societario, che tipo di autenticità avremo ? Ad esempio si è parlato dei kamikaze che in perfetta sintonia con la loro coscienza ed i loro principi, si lasciano esplodere: sono autentici kamikaze, ma è questo il tipo di autenticità su cui stiamo riflettendo?. Quando parliamo di autenticità non sotto intendiamo sempre anche un barlume di giudizio etico e valoriale? Altrimenti il concetto di autenticità sarebbe solo identificato in quello della coerenza tra ciò che si è e ciò che si pensa.

Un ladro coerente che teorizzi il furto e che lo attui è un ladro verace. Un politico coerente che prenda in giro la gente e teorizzi il latrocinio con demagogia, o la presunta libertà dell’informazione, sarebbe autentico, mentre è solo coerente con i propri imbrogli. Ma tutti avvertiamo una sorta di avversione verso tale pervicace coerenza. Credo pertanto che per pervenire ad una comprensione più profonda ed adeguata della autenticità dobbiamo gioco forza cercare dei punti di riferimento, extra coscientiam , al di là della coscienza.

O meglio riconoscere che la coscienza non può essere autoreferenziale, ma è sempre “coscienza di….”qualcosa che viene intuito al di fuori di sé….. In sostanza è difficile definire la coscienza se non si riconosce anche un suo essere votata in qualche modo al “trascendente” ( uso questo termine molto laicamente e solo intendo la possibilità della nostra mente di andare al di là di se stessa).

Secoli di storia della filosofia vertono su questi punti: la conoscenza, la possibilità del conoscere, l’immanenza o la trascendenza della conoscenza stessa, e tuttavia non ho un delirio improvviso che mi spinga a voler dare una risposta definitiva a tante belle questioni secolari. Ma, vivendo anche una dimensione “pratica” della filosofia ( se ne discute tanto nelle nostre cene di questa praticità ), non posso non notare che l’autenticità (in realtà solo coerenza) del kamikaze e del ladro vero ladro, o del politico imbroglione autenticamente imbroglione, “urtano” la mia coscienza, e preferisco avversare tutto ciò.

Non posso fare a meno di riferirmi alle regole del contesto sociale, alla “legalità” per esempio, al rispetto di alcuni principi salvaguardia del vivere “civile”. Ed anche se c’è chi, giustamente, come Gianni Rigamonti ( ricordando Pascal) nota che il concetto di legalità è condizionato storicamente e dai confini delle nazioni, tuttavia vi sono dei codici di comportamento che da sempre sanzionano, ad esempio, l’omicidio ( tranne il caso della legittima difesa), o che sanzionano le offese alla dignità personale, specie dei minori.

Pertanto è davvero improbabile pensare ad una autenticità autoreferenziale e solamente basata sulla coscienza, ma semmai che sia fondata su una “coscienza di…” valori in qualche modo intuibili da tutti e pertanto condivisibili. Ciò , a mio modesto parere, pone le basi non di una metafisica posticcia ed appesa “come un salame”( uso questa felice metafora espressa da un amico) nell’aere, o di un iperuranio sede delle idee di giustizia et similia, ma della possibile intuizione da parte di tutti di qualcosa che contemporaneamente ha a che fare con l’essere (dei filosofi),e con i concetti di bene, bello e valore, e (per le persone che hanno una fede) anche con una sia pur molto oscura idea del divino, che poi ognuno sviluppa secondo la propria storia di vita e tradizione

In sostanza saremo autentici se, sì ascoltiamo la nostra coscienza, ma non in modo autoreferenziale ( alla Sartre per intenderci), ma con una umana e profonda intuizione di……ciò che sono l’essere, il bene , i valori. E così facendo potremmo essere non degli zirconi (mi lascio andare ad un’immagine poetica) ma come dei brillanti che riflettono per l'appunto la luce dell’essere, del bene, dei valori.

sabato 28 febbraio 2009

La morte di Ivan Il'ič

La morte di Ivan Il'ič (in russo Смерть Ивана Ильича, Smert' Ivana Ilyicha), pubblicato per la prima volta nel 1886 è un racconto di Lev Nikolaevič Tolstoj. È una delle opere più celebrate di Tolstoj, influenzata dalla crisi spirituale dell'autore, che lo porterà a convertirsi al cristianesimo. Tema centrale della storia è quello dell'uomo di fronte all'inevitabilità della morte.

Trama

In un ufficio del Tribunale di San Pietroburgo, alcuni magistrati stanno accalorandosi su un importante caso giudiziario. Uno di loro, disinteressato alla discussione, sfoglia il giornale. All'improvviso vede il necrologio di un collega, Ivan Il'ič Golovin, che tutti sapevano essere gravemente malato. Dopo una serie di ipotesi su chi potrà occupare il posto lasciato vacante e vaghi propositi di andare a visitare il defunto, i giudici tornano al loro lavoro, sotto sotto contenti di essere ancora vivi. Il giudice che aveva letto la notizia, amico di Ivan Il'ič fin dai tempi dell'Università, dopo pranzo si reca a fargli visita. L'incontro con la moglie e i figli del defunto non è particolarmente cordiale ed è più che altro la soddisfazione di un obbligo morale. Adempiutolo, il giudice si reca a casa di un collega, per giocare a carte. La storia della vita del giudice Ivan Il'ič Golovin, consigliere della Corte d'Appello di San Pietroburgo "era la più semplice, la più comune e la più terribile". Figlio di un alto funzionario del governo, "membro inutile di numerose inutili istituzioni", aveva studiato giurisprudenza e ed era diventato giudice istruttore di una remota provincia. Dopo diversi anni era riuscito ad ottenere il trasferimento nella capitale, con conseguente promozione ed aumento di stipendio. Proprio mentre sta arredando la nuova casa a San Pietroburgo, però, cade dalla scala su cui era salito per mostrare al tappezziere come fissare le tende e sbatte col fianco sulla maniglia della finestra. Sul momento sembra una cosa da nulla, ma con l'andar del tempo inizia a manifestarsi un malessere proprio in corrispondenza del punto in cui la maniglia l'aveva colpito. Il dolore cresce costantemente ed evolve in una misteriosa malattia, a cui i medici non sanno dare un nome e per cui nessuno riesce a trovare un rimedio. Ivan Il'ič si trova ben presto di fronte ad un male incurabile, ormai chiaramente in stadio terminale. Una sorda disperazione prende il protagonista, che non riesce a capire il significato della sua mortalità. Aveva sempre saputo, certo, di essere un mortale, però la concreta prospettiva di dover morire lo inquieta. Cerca di pensare ad altro, si butta nel lavoro, ma senza risultati, "lei" si riaffaccia di continuo alla sua mente. Durante la malattia, si forma l'idea che, se non avesse vissuto una vita giusta, la sofferenza e la morte avrebbero avuto un senso. Ma lui era sempre vissuto onestamente, e tutto questo non si spiegava. Inizia ad odiare i familiari, la loro pretesa che lui sia solo ammalato e non moribondo, il loro superficiale tentativo di evitare il tema della sua morte. L'unico conforto gli viene dal servo Gerasim, un ragazzo di origini contadine, l'unico a non avere paura della morte e l'unico, in definitiva, a mostrargli compassione. Ivan inizia a domandarsi se avesse, in realtà, vissuto giustamente. Negli ultimi giorni, il protagonista inizia a tracciare un confine tra la vita artificiale, sempre condotta da lui e dalla sua famiglia, dominata dall'interesse, dal timore per la morte e dall'occultamento del vero significato dell'esistenza e la vita vera, quella di Gerasim, dominata dalla compassione. Verso la fine, una "strana forza" lo colpisce al petto, al fianco, gli mozza il respiro. Ivan Il'ič si sente risucchiato nel buco nero della morte, in fondo a cui, però, scorge una luce. Scopre che la sua vita non era stata come avrebbe dovuto essere, ma a questo si poteva ancora porre rimedio. Sente che il figlio gli bacia la mano, vede la moglie in lacrime. Non li odia più, ma prova pietà per loro. Un sollievo lo pervade, mentre si accorge di non aver più paura della morte, perché la morte non c'è più, sostituita dalla luce. Esclama ad alta voce "Che gioia!". In mezzo ad un respiro, Ivan muore.
Interpretazioni

Il racconto è stato scritto poco dopo la conversione dell'autore. In effetti nella vicenda sono presenti diverse tematiche religiose, come la luce in fondo al buio. Il cristianesimo di Tolstoj era incentrato sulla figura di Cristo e l'esempio evangelico, più che sull'adesione ad una chiesa istituzionalizzata ed ai suoi riti. Ne è esempio anche un episodio dell'agonia di Ivan Il'ič. Pochi giorni prima di morire, questi si confessa e si comunica su insistenza della moglie. Se all'inizio il rito sembra ridargli la speranza, le parole della moglie, sicura del fatto che ora si sentisse meglio, lo fanno ripiombare ben presto nella disperazione. Nel racconto non c'è poi alcuna indicazione di una vita oltre la morte. Alcuni vedono nella fine del racconto il dono della fine della sofferenza. Per un'altra interpretazione la conquista di Ivan Il'ič consiste nella libertà data dalla verità ossia, nel suo caso, l'aver preso consapevolezza della falsità della sua vita, cosa che gli consente di vivere un momento di amore disinteressato e di provare compassione per la moglie e il figlio.