domenica 15 marzo 2009

Il kamikaze è autentico?

Cari praticanti FilosofiIl romanzo di Tolstoj ci ha coinvolto in riflessioni importanti sul senso della vita e della morte. Fortunato IVAN IL'IC: grazie ad una stupida malattia che, invece, ai nostri giorni la medicina avrebbe irrimediabilmente guarito, ha potuto comodamente accorgersi della falsità della sua vita ed intravedere la luce della verità, sia pure in zona Cesarini. Ma allora si moriva anche per un mal di denti. Purtroppo, con i progressi della scienza che allunga sempre di più la vita e ed allontana la malattia e la morte, certe illuminanti agonie saranno sempre più rare e conseguire l'illuminazione sarà sempre più complicato. Ma noi cenacolanti non abbiamo bisogno di dolori e sventure per filosofare perchè ci lasciamo ispirare anche dalla gioia, dall'arte e dalla contemplazione del bello. E' stato davvero interessante riflettere sul rischio dell'inautenticità che incombe sulle nostre precarie esistenze, talmente interessante che abbiamo deciso di dedicare all'argomento la prossima cenetta. E' un esperimento nuovo, non porteremo un libro da commentare ma le nostre riflessioni sul tema dell'autenticità, al limite supportate dalla lettura di poche righe di un testo che ci ha ispirato. Intanto, sul nostro Blog possiamo trarre utili spunti dai contributi di alcuni di noi. In particolare mi sembrerebbe utile - senza voler nulla togliere agli altri - partire dal contributo di Alberto Spatola: "Il brillante e lo zircone" sulle maschere che indossiamo nelle relazioni con gli altri, sui giudizi di valore che condizionano anche il nostro sentirci più o meno autentici. E' importante delineare bene le coordinate del problema dato che martedì scorso ad un certo punto, impostando il discorso secondo certi presupposti, è venuto fuori che anche il ladro se ruba bene, il mafioso che rispetta il codice mafioso di cui è impregnato sin nelle budella, il Kamikaze se sa farsi esplodere nel momento più opportuno, realizzerebbero nella propria vita quell'autenticità di cui andiamo discorrendo.Giustamente Augusto ha sottolineato che così facciamo il gioco di che ha interesse a far credere che non c'è differenza tra chi paga il pizzo e chi si rifiuta, tra chi vive nella legalità e nella solidarietà e chi si vende l'anima per un po' di potere. Augusto ci ha entusiasmato meno quando ha aggiunto: "al limite concederei che anche il Kamikaze, se in buona fede, può vivere una sua dimensione di autenticità, ma solo se ha il coraggio di confrontarsi con gli altri, di venire alle nostre cenette con i suoi attrezzi di morte accettando di mettere in discussione le proprie opinioni e di argomentarle filosoficamente. Le nostre cenette sono aperte a tutti e sono accettate anche le posizioni più estreme ". Appuntamento, quindi a martedì 24 marzo: dire che sarà una cenetta vivace e scoppientante è dire poco....Pietro

16 commenti:

Francesco Vitale ha detto...

Sulla base delle considerazioni appena fatte, nel mio commento al procedente intervento, direi che il kamikaze è relativamente autentico, come lo è anche il suo giudice, il suo carceriere e il suo boia. Come lo è anche il sacerdote di una qualsiasi religione, buono ed autentico per definizione più che per essenza, e come lo può essere Augusto o uno qualsiasi di noi. Lui ha giocato una parte, fino in fondo. Quindi se è stato in grado di compiere un'azione era vero, era autentico.
Ne era consapevole? Si è pentito?
Ma perchè, tu di cosa credi di essere consapevole?
Ed anche se tu lo fossi, mentre lui no, credi che il tuo essere, che usa la penna per scrivere su un foglio, sia più autentico e concreto del suo?
Per esserne certo, basterebbe guardare cosa hai scritto quando avevi 20 anni, cosa hai scritto ieri, e cosa scriverai quando ne avrai 80, sempre che che tu ne abbia ancora la forza e la voglia...
Nel frattempo, quante concretissime bombe saranno esplose, mentre tu ti interrogavi sulla loro autenticità?
Vedi, come anche il tuo mondo sia illusorio quanto il mio ed il suo....

alberto.spatola ha detto...

Rispondo con un pò di humour alla domanda che fa da titolo al post di Pietro (come sempre esilarante): il kamikaze può essere autentico solo se il detonatore non funziona. Così ha altre possibilità di mostrare il suo vero volto umano. A poi.......

armando caccamo ha detto...

Come la penso io l'ho già detto nel commento su: Il brillante e lo zirconio.... su questa argomentazione di Pietro voglio intervenire riferendomi a quanto ho letto tempo fa, e possiamo riferirlo alla autenticità o meno dei ns. comportamenti, e cioè che tra Relativismo e Fondamentalismo c'è comunque la "Norma" come Etica dovuta alla Ragione che sussiste sia che Dio non ci sia, sia che Dio ci sia. Quindi sono d'accordo con Alberto con l'affermare che l'autenticità deve avere degli assunti preesistenti (relativistici, fondamentalistici o comunque "normali") per esprimersi e quindi (dico io) che non esiste l'autenticità autentica se non nell'attimo di stupore (che precede comunque la commozione) o nel sentimento di amore gratuito (teso comunque a realizzarsi in un comportamento caritatevole).
Armando

Rosario Norrito ha detto...

Autentico è ciò che dice di essere. Fin qui siamo tutti d'accordo. Si può anche dire : ‹‹ è così come appare”. Un quadro autentico significa semplicemente che non è un falso. La stessa cosa dicasi per ‹‹ un euro autentico” ecc. Dagli interventi di Alberto ed altri sono emerse queste considerazioni. Il problema si complica se il termine si riferisce a una persona, e questo perché attraversiamo il confine della complessità. Dire che una persona è autentica, in fondo, significa che agisce senza secondi fini. Se è gentile con noi è perché fa parte del suo modo di essere, ci vuole bene, cioè non finge. Ma capita anche di dire ‹‹ Sì, è un po' rude, ma è comunque una persona autentica ›› cioè una persona vera, non ti tradisce … così come appare è. La conseguenza è che non hai nulla da temere. Anche qui potremmo essere d'accordo. Quando allora si complica di più la faccenda?

Quando attribuiamo al termine autentico un valore, che può essere sia relativo che assoluto. Dobbiamo quindi chiederci se l'autenticità sia un valore, e di che valore si tratta.

Ci sarebbe , ad essere sinceri, un'altra questione : il rapporto tra vivere in modo autentico e essere autentici. Bisognerebbe in quel caso capire se chi vive in maniera autentica è autentico e se chi non è autentico può vivere in modo autentico. Dico subito che non approfondisco questo tema perché temo di sbilanciarmi e aprire un dibattito ancora più complesso.

Torniamo quindi al passo precedente. Prima di chiarire se l'autenticità sia un valore dovremmo precisare cosa intendiamo per valore (e qui ci perdiamo di casa perché c'è tutta una tradizione filosofica sul valore che non può essere riassunta in due righe.) Augusto ha accennato a un possibile valore relativo con tutte le possibili conseguenze. Di qui il paradosso del Kamikaze. Ora se concediamo al valore una connotazione relativa dobbiamo anche accettare tutto il resto . Qui però stiamo correndo il rischio di fraintendere i termini della questione. Il fraintendimento deriva dall'attribuire all'autenticità un valore etico. Questo perché inconsciamente pensiamo al temine “ autenticità “come sinonimo di “sincerità”. Di fatto si tratta di identità (ciò che dice di essere = a ciò che è ). Facciamo un esempio riferito alle cose. Se dico che questo lingotto d'oro è autentico ne prendo atto e ne sono felice. Se dico che questa è una bomba ne prendo atto e mi muovo con la dovuta cautela. Se compro un lingotto falso sono addolorato e se non capisco che la cosa che ho davanti è una bomba sono nei guai. In definitiva quando parliamo di autenticità non è tanto importante cosa è uguale a se stesso, ma che l'identità dichiarata non sia falsa. Se venisse meno questo principio verrebbe meno la vita stessa, tutto l'ordine del mondo andrebbe in crisi. Vivremmo una psicosi collettiva. In tal senso l'autenticità è un valore assoluto. L'intervento di Augusto ‹‹ rispondere alla coscienza e della propria coscienza ›› in tal senso mi sembra illuminante. Ma anche qui si aprono scenari di estrema complessità. Tuttavia la provocazione ‹‹ il mafioso deve avere il coraggio di sottoporsi a una seduta di filosofia pratica ›› va contro il presupposto su cui si basava la stessa filosofia pratica. Perché escludere che il mafioso non abbia una sua filosofia? Non ricordo quale boss, arrestato qualche anno fa, sia stato colto in fragrante con la SCIENZA DELLA LOGICA DI HEGEL. Lo stesso dicasi per i filosofi della morte. Ancora siamo lontani dall'affrontare il problema della autenticità. É vero ad esempio che la maschera nasconde l'autenticità del mascherato, ma è altrettanto vero che la maschera ha una sua autenticità. É straordinariamente autentica se riesce a mascherare in modo perfetto, se riesce a fare quindi ciò che dice di essere: la maschera. Una maschera che fa trasparire non è autentica. In questo caso qualcosa tanto più non fa essere ciò che è, tanto più è autentica. Ma i paradossi non sono finiti. Se un mentitore dice di essere un mentitore non è un mentitore, si comporta in modo diverso rispetto a ciò che dice di essere. Il mentitore dovrebbe dire di essere sincero per mentire, dovrebbe essere falso. La conseguenza paradossale è che l'autentico dovrebbe essere totalmente falso, il che è l'esatto contrario di quando dichiarato all'inizio del mio intervento. Vi è un ulteriore problema. L'essere umano si pone in molti modi: è padre, figlio, ingegnere ecc.
Se consideri Abramo che per ordine divino deve sacrificare il figlio Isacco. Se è padre dovrebbe disubbidire al comando divino, ma in quanto figlio obbediente di Dio deve uccidere. L'autenticità dell'essere padre deve essere quindi sacrificata all'autenticità dell'essere figlio devoto di Dio. Questo ci porta a considerare che l'autenticità è condizionata. Ma non avevo affermato che l'autenticità era assoluta, incondizionata? Ho fatto queste riflessioni solo per mettere in evidenza come sia complesso il problema e quanto siano imprevedibili le sfaccettature. Spero solo che su qualche aspetto abbia indovinato. Un caro saluto a tutti.

alberto.spatola ha detto...

Caro Rosario la filofia si serve a volte di un linguaggio oscuro che vuol far chiarezza! spesso è un ossìmoro, ὀξύμωρον, l'insieme retorico di elementi l'uno il contrario dell'altro. L'autenticità però sappiamo tutti cos'è quando ci rifilano una banconota falsa. Soffriamo chiaramente e senza alcun dubbio. E' difficile secondo me pensare ad un'autenticità personale svincolata da qualunque etica ( ma è questo che volevi dire?)- se ho ben capito ciò che hai scritto l'argomento è complesso e su ciò sono perfettamente d'accordo.

alberto.spatola ha detto...

(continuo)ad un concetto di autenticità personale sganciato da qualunque discorso etico (ma volevi dir questo?) - Concordo con Te sulla asperità del tema. Alberto

armando caccamo ha detto...

ma perchè farla così lunga!...resto dell'avviso che nel momento che mi relaziono con l'altro (ma anche con me stesso!) non sono più assolutamente autentico perchè considero e valuto la percezione di me sull'altro e viceversa e quindi condiziono i miei comportamenti.....l'autenticità, come dicevo in altre occasioni, è solo lusso dell'attimo dello stupore davanti al mondo e quello del sentimento di amore che purtroppo dura, appunto, attimi o nel migliore dei casi una moltitudine di attimi....ed è grasso che cola!!!!

Rosario Norrito ha detto...

Caro Alberto su una cosa siamo comunque d'accordo: il tema è complesso. In tal senso entrambi non possiamo condividere la soluzione sbrigativa di Armando. É inevitabile che il “discorso sia lungo”. Se era così semplice perché dedicare una riunione per discutere sull'argomento. Mi chiedi se l'autenticità di cui parlo esce dall'etica. Ho provato a rispondere questa domanda già nel precedente scritto mettendo in risalto che la risposta è condizionata dal modo in cui considero l'autenticità. Riferita a certe cose come ad esempio il denaro può sembrare ovvio che l'autenticità sia un valore. Non a caso vi è il codice penale che prevede la galera. Se sono un soldato è mi trovo in mano una granata fasulla, me la faccio sotto perché mi sento inerme, in balia dei miei nemici. Che una granata sia autentica a quel punto è di fondamentale importanza, ne va della mia stessa vita. Ora dire che la bomba possa collocarsi su un terreno etico può sembrare poco credibile. Ma immaginate di inviare una truppa d'assalto con dei proiettili a salve contro un nemico ben armato. Sarebbe una carneficina. Ora sarebbe etico dare delle munizioni non autentiche ai propri soldati, magari per risparmiare? A questo punto si potrebbe dire che una bomba che funzioni ha un suo valore etico? Non voglio rispondere! Voglio immaginare il caso in cui un bambino incappa su una bomba e salta in aria. É etico? Può pure capitare che un ladro tenti di spararmi per vendicarsi,ma per fortuna, la sua pistola era fasulla, così non ha sparato. Ora voi mi chiederete. É etico? Ma io vi risponderò... E chi se ne frega.
Ti prego però di rileggere il precedente commento perché in qualche modo rispondo alla tua osservazione. Ciao

Anonimo ha detto...

Caro Alberto su una cosa siamo comunque d'accordo: il tema è complesso. In tal senso entrambi non possiamo condividere la soluzione sbrigativa di Armando. É inevitabile che il “discorso sia lungo”. Se era così semplice perché dedicare una riunione per discutere sull'argomento. Mi chiedi se l'autenticità di cui parlo esce dall'etica. Ho provato a rispondere questa domanda già nel precedente scritto mettendo in risalto che la risposta è condizionata dal modo in cui considero l'autenticità. Riferita a certe cose come ad esempio il denaro può sembrare ovvio che l'autenticità sia un valore. Non a caso vi è il codice penale che prevede la galera. Se sono un soldato è mi trovo in mano una granata fasulla, me la faccio sotto perché mi sento inerme, in balia dei miei nemici. Che una granata sia autentica a quel punto è di fondamentale importanza, ne va della mia stessa vita. Ora dire che la bomba possa collocarsi su un terreno etico può sembrare poco credibile. Ma immaginate di inviare una truppa d'assalto con dei proiettili a salve contro un nemico ben armato. Sarebbe una carneficina. Ora sarebbe etico dare delle munizioni non autentiche ai propri soldati, magari per risparmiare? A questo punto si potrebbe dire che una bomba che funzioni ha un suo valore etico? Non voglio rispondere! Voglio immaginare il caso in cui un bambino incappa su una bomba e salta in aria. É etico? Può pure capitare che un ladro tenti di spararmi per vendicarsi,ma per fortuna, la sua pistola era fasulla, così non ha sparato. Ora voi mi chiederete. É etico? Ma io vi risponderò... E chi se ne frega.
Ti prego però di rileggere il precedente commento perché in qualche modo rispondo alla tua osservazione. Ciao

Anonimo ha detto...

Il mio contributo sul concetto di autenticità
La spinta mi viene dalla mail di Mario Spalla, quel modo di porre le questioni come delle sculture che sembra attivare risposte altrettanto lapidarie. Ci provo ad essere sintetica col rischio di dovere rimandare a ripetuti click. “Giusto non segnalare” è un messaggio comprensivo di una idea valore e della condotta conseguente che, posti su un unico piano della logica, etica e della pragmatica producono chiarezza di comprensione sui vari livelli espressivi della persona coerentemente definiti dai vari contesti interattivi. Se le questioni in questione fossero poste in forma di una interrogazione dubitativa potremmo restare sull’ esercizio della dialettica e della cultura del filosofare forse ma non del filosofare in pratica. Perché la conseguente risposta coerente al questione, “giusto non segnalare” che è fortemente connotata di ironia dunque paradossale, nella pratica potrebbe essere attuata soltanto con il disattendere il mandato istituzionale. Così è ancora coerenza e autenticità . Ogni questione ha un vincolo istituzionale ma è posta in forma paradossale dunque disattendere il significato equivale ad agire coerentemente e autenticamente.
Mi domando: la madre di Giuseppe Impastato perché potè ritenere “giusto non segnalare” il che avrebbe prodotto l’ azione di protezione del figlio; e la zia Atria che invece ha ritenuto “giusto segnalare” ha dovuto validare tale scelta con la sua morte?
Allora si può fare “ giusta segnalazione” di un atto intollerabile per la morale e per la legge sltanto fuori della copertura dei ruoli istituzionalizzati che risulterebbe l’ unico modo per mantenere coerenza e autenticità e senza che il rischio sia un atto estremo?
La vedo dura per i non eroi, quelli dalla vita senza infamia e senza lode, gli ignavi di Dante, i tremila rassegnati di Augusto, quelli di Marcella che niente li schioda dalla sedia .
Giovedì scorso, al gruppo di Augusto della piccola comunità di filosofia pratica , Marcella pone a me “esperta di psi.” una domanda coi fiocchi: Maria, ma che sindrome è quella degli indifferenti , quelli che non si schiodano di tanto, si può curare, è roba da psicoterapia?.
Tento la difesa con la metafora della “minorità di kant che assimilo alla condizione di dipendenza psicorelazionale da mancato svincolo affettivo del ciclo viatale della famiglia. Ma poi rifletto intanto sull’ accostamento di epistemologie differenti che porta dritto a un pensiero incoerente e di pseudoautenticità, poi mi accorgo di essermi allontanata dal presupposto iniziale del mio discorso. Per una autenticità pragmatica si può non essere eroi, o ideologi puri né dovere fare ricorso ad una morale personale che potrebbe giustificare la scelta dissonante dal mandato sociale e risultare incoerente e inautentica ? della serie parla come pensi e mangia come parli
Marcella non allenta la presa e sbotta “insomma cosa fare, cosa puoi fare tu, tu che stai tra i tre mila di Augusto? maria ales

armando caccamo ha detto...

no....non ci sto! non posso dover leggere 10-15 volte il commento di Maria Ales per capirne il 10-15% e poi vedere se mi ha dato o non mi ha dato qualcosa di interessante su cui riflettere. Io la definizione "soluzione sbrigativa" di Rosario la prendo come un complimento se all'aggetivo "sbrigativo" sostituisco "semplice". Comunque vi racconto un'esperienza che io e mia moglie abbiamo vissuto: negli ultimi anni anni 70 inizio anni 80 ci alternavamo nell'andare a prendere i nostri figli a scuola. Incontravamo all'uscita un signore distinto con cui scambiavamo delle opinioni relative ai problemi dei figli, i rapporti con gli insegnanti etc.....poi suonava la campana e questo padre era premuroso col figlio ed era un padre attento e affettuoso. Dopo quanche mese sul giornale è apparsa la sua foto che indicava quel signore (padre premuroso) come un pericoloso killer della mafia responsabile di almeno 10 omicidi a sangue freddo effettuati da professionista. Quale autenticità bisogna cogliere in un uomo così? ripeto,ma posso sempre cambiare opinione, per me l'autenticità è legata ai ruoli che assumiamo nei vari momenti della ns. vita e solo nell'irrazionalità più assoluta possibile ci possiamo avvicinare all'autenticità autentica!

Anonimo ha detto...

Caro Armando
Il tuo intervento tocca due punti nodali particolarmente significativi che non vanno,però isolati: l'autenticità e la comunicazione. É interessante notare quello che hai messo in evidenza : l'incontro con l'altro non ci lascia indifferente, tant'è che subiamo una trasformazione, ma si tratta di una trasformazione che sacrifica l'autenticità. Questa conclusione però deriva dall'eccessiva semplificazione dei termini autenticità e comunicazione. Sulla comunicazione c'è un'immensa letteratura scientifica, mi piace però ricordare un certo Lotman che ha superato il modello di Jakobson e nello stesso tempo afferma qualcosa che mi pare di aver intravisto nel tuo commento. Lo studioso afferma che l'atto comunicativo non si deve considerare un semplice trasferimento di un messaggio che dalla coscienza del mittente a quella del destinatario rimane adeguato a se stesso, ma come traduzione da un testo della lingua del mio “io” alla lingua del tuo “tu”. La possibilità di questa traduzione è condizionata dal fatto che i codici dei due partecipanti alla comunicazione formino, pur non identificandosi, un complesso di elementi che si intersecano a vicenda. Nell'atto della traduzione una parte del messaggio va sempre perduta e l'io si trasforma nel codice di traduzione nella lingua “tu” . Ciò che si perde è ciò che caratterizza il mittente. Questo significa che l'autenticità del mittente è data da una trasformazione, da ciò che ha perduto, dalla sua inadeguatezza. Se venisse meno questa trasformazione verrebbe meno il senso della comunicazione stessa che perderebbe di vista i suoi significati, in balia di significanti inutili.
Nell'agire comunicativo paradossalmente l'autenticità consiste nella capacità di entrare in relazione, ma si tratta di un a relazione che presuppone una trasformazione.
Tuttavia questo non significa che l'altro deve essere assimilato al medesimo, come direbbe Levinas, non può essere totalizzato.
E allora?
L'autentico non è un concetto semplice. Può essere guardato da mille sfaccettature. Abbracciare una posizione implica l'esclusione di altre e ciò ne pregiudica la complessità.
Un caro saluto.

Anonimo ha detto...

Caro Armando ho voluto dire "sbrigativo" solo per il modo in cui avevi posto la questione: E' così e basta!
E' anche come dici tu, ma non è detto che le tue ragioni escludano le altre.L'ultimo esempio che fai in fondo mette il dito sulla complessità della questione. A differenza del commento precedente tocchi un altro aspetto della comunicazione: I RUOLI.
La tua riflessione suggerisce un'inquietante domanda: un killer può essere un ottimo padre? Oppure...Un ottimo padsre può essere anche un buon killer? Qualunque sia la risposta una cosa a me pare certa: la questione non è semplice...


ps. Mi piacerebbe discuterne anche martedì, ma temo di non poter partecipare per motivi di salute.
Ciao

armando caccamo ha detto...

Caro Rosario,
grazie per aver commentato le mie considerazioni e mi dispiace se ho dato la sensazione di parlare col “così e basta”…..non è nel mio “stile”, forse la ragione di questa percezione sta nel mio desiderio di sintesi. Le tue dotte considerazioni sulla comunicazione mi hanno aiutato a dedurre che forse dovremmo trovare un accordo sul significato che diamo alla parola “autenticità” perché a questo punto penso che dire “non siamo mai autentici” o “siamo sempre autentici” sia la stessa cosa. Siccome non voglio sembrare un sostenitore della finzione ad oltranza (lungi da me volerlo essere!) sto pensando (prendo a prestito un termine caro ad Augusto) all’oltre - autenticità; vale a dire ad una disposizione dell’animo e della ragione e quindi a una manifestazione dei comportamenti che sia comune in tutte le autenticità cui facevo riferimento parlando di ruoli. Una specie di minimo comune denominatore cui tutte le nostre manifestazioni devono sottostare…….per esempio: l’empatia, il rispetto degli altri, la capacità di cambiare (coerenza del cambiamento non dei comportamenti)l'essere al servizio di.... etc……insomma “la buona fede in” …..per me potrebbe essere un buon punto di partenza!
Grazie di nuovo, Armando

P.S. mi dispiace se non vieni stasera!

Anonimo ha detto...

Caro Armando
Grazie per il chiarimento, ho capito di aver frainteso. Ma il fraintendimento è fisiologico all'interno della comunicazione. Ciò che è importante è l'apertura all'altro, la disponibilità a farsi leggere e in questo ho potuto apprezzarti. Chiarito il punto, vorrei soffermarmi su altre considerazioni che ritengo molto interessanti e che mi danno modo di riflettere ancora più a fondo sul tema dell'autenticità. Ritengo geniale la sintesi del “ no e del sì” - del “mai e del sempre”. Sono e non sono autentico – non lo sono mai, lo sono sempre. Credo che queste espressioni racchiudano la sintesi della complessità del termine autentico. Proprio per questo vorrei porti altri spunti di riflessione. La realtà che percepiamo è autentica? Cioè, il bicchiere che percepisco su questo tavolo corrisponde alla realtà del bicchiere che è qui e ora sul tavolo? É autentica questa rappresentazione della realtà. O se preferisci: il fenomeno è autentico o lo è solo il noumeno? Se diciamo che autentico è ciò che dice di essere, il fenomeno è inautentico. Eppure ci fidiamo di esso come se fosse autentico. La vita stessa è regolata, condizionata dal fenomeno. In tal senso l'esistenza si fonda sull' inautenticità. Del noumeno possiamo parlarne a stento a causa del problema del trascendentale. Quale spazio può dunque trovare l'autenticità? Però il fenomeno è fedele a se stesso in quanto falso. Ti dice che la realtà non è così com'è, ma come te la fa vedere. E fedele a se stesso. E cioè autenticamente falso. Per certi aspetti il fenomeno non è mai autentico, ma per altri lo è sempre. Come si può vedere, persino l'autenticità delle cose ci mette in imbarazzo, figuriamoci l'autenticità delle persone. A proposito della relazione Levinas ci mette in guardia sul pericolo di totalizzare l'altro, sul ridurlo cioè al se medesimo. In quel caso siamo noi che rendiamo l'altro inautentico, sacrificando la differenza in nome della totalizzante identità. Questo ci fa capire non solo che il soggetto barcolla tra autenticità e inautenticità, ma può essere deformato e schiacciato dal peso dell'altro che lo priva dalla libertà di essere differente. Ancora un'altra questione:l'incoerente può essere autentico? A tal proposito vorrei precisare che la domanda è posta malamente. I due termini. Coerente e autentico sono asimmetrici. Di fatto posso essere incoerente come antimafioso e quindi non autentico in relazione alla mia presunta lotta alla mafia e nello stesso tempo essere un ottimo marito o meglio ancora un autentico marito. Può dunque la stessa persona essere autentica e inautentica a seconda dei diversi punti di vista? Oppure l'essere incoerenti in qualcosa pregiudica l'autenticità in toto? In tal senso caro armando sono d'accordo con te quando metti in crisi il concetto stesso di autenticità. Augusto ha recentemente posto la questione su coloro che si propongono in un certo modo facendo di fatto altro. Basta questo per definirle persone inautentiche? Per certi aspetti lo sono, lo sono per definizione. Ma lo sono del tutto?
Ho visto che hai toccato il tema dell'oltre a me tanto caro, mi dispiace non poterlo approfondire per mancanza di tempo. Spero di ritornarci.
Buona discussione a tutti, mi dispiace ancora non poter partecipare.
Ciao

Anonimo ha detto...

PS. < E' fedele a se stesso >
Per la fretta ho commesso qualche errore, non tenerne conto, ciao