mercoledì 11 marzo 2009

Il brillante e lo zircone







Il brillante e lo zircone

Cari amici filosofi e filosofanti, ieri sera sul finire della discussione riguardante la morte di Ivan Ilic è venuto fuori, quasi naturalmente, un interessante discorso sulla autenticità , discorso che è a mio avviso molto interessante anche per le risonanze psicologiche che ha e le deduzioni filosofiche che può suscitare.

Ma cosa vuol dire “autentico”? , per i greci autentico deriva da autore: αυθεντικός, da 'authentes'='autore'. E’ facile allora capire che diciamo autentico un capolavoro o un’opera d’arte , se è effettivamente attribuibile ad un determinato autore, se un Rembrandt è davvero di Rembrandt.




Anche delle meraviglie della natura possiamo dire se sono autentiche , ad esempio un brillante è autentico , uno zircone no. E’ come se la Natura fosse in questo caso l’autore, e il brillante è davvero una meraviglia della natura , lo zircone no. Capite che già stiamo esprimendo , sia pur indirettamente , dei giudizi “di valore”: Il vero Rembrandt vale un sacco , il falso si vende a poco. Il brillante è costoso , lo zircone è a buon mercato. Per cui ricaviamo, da queste brevi riflessioni sul concetto di autenticità riferito alle cose materiali, che è implicito un giudizio “valoriale” nel concetto di autenticità riferito a beni concreti.

Ma cosa succede quando dalla materia , sia pur nobile e preziosa o artigianale, si passa alle persone ? Quand’è che una persona si definisce autentica? Qui tutto si fa molto più difficile perché non è chiaro quale sia l’originale ( della persona ) e chi l’autore ( se c’è). Possiamo dire che alle volte e storicamente succede che alcune identità personali siano fasulle : ricordate il caso Bruneri o Cannella ? Cioè quel caso in cui una persona diceva di essere un’altra e ci vollero anni per smascherare l’impostore ? Ma in questo caso il problema dell’identità ha ancora a che fare con la “persona fisica” , con qualcosa cioè che può avere una risposta certa , attraverso ad esempio l’esame del DNA . Quindi in medicina legale si può risalire alla persona autentica , a colui che , ad esempio, sia l’autore di un delitto.

Ma se il problema dell’identità non è più vincolato a qualcosa di materiale , tutto diventa più difficile ed interessante nel contempo. Ci aiuta a capire qualcosa Tolstoi ed il suo Ivan Ilic. Non è che Ilic non sia autentico quanto alla sua identità personale fisica , ma sul finire della sua vita ed ormai prossimo alla morte , scopre “ l’inautenticità “ del vivere e della sua storia personale. Pirandello maestro di filosofia oltre che di drammaturgia, in epoca più recente e moderna rispetto a Tolstoi , dice cose simili. L’uomo spesso è prigioniero di riti e convenzioni , che sono radicalmente “inautentici”, e di cui è schiavo. Si pensi al “Fu Mattia Pascal”.

Ma allora come definire l’autenticità di una persona? E’ pur vero infatti che ci sono delle persone che sentiamo come “autentiche”, “schiette”, non mascherate , e ce ne sono altre che invece ci sembrano “finte”, “costruite”, “posticce”. Proviamo a dare alcune risposte: una possibilità è che l’autenticità si dia quando si è coerenti con la propria coscienza e con i propri principi. Credo sia ciò che Augusto Cavadi abbia sostenuto nell’ultimo incontro filosofico: la coscienza ed i principi personali , se sono rispecchiati nella condotta di vita, fondano l’autenticità delle persone.

Ciò è sicuramente condivisibile in parte , ma pone alcuni problemi ulteriori: se la coscienza è falsata da visioni della vita che non siano facilmente accettabili nel contesto societario, che tipo di autenticità avremo ? Ad esempio si è parlato dei kamikaze che in perfetta sintonia con la loro coscienza ed i loro principi, si lasciano esplodere: sono autentici kamikaze, ma è questo il tipo di autenticità su cui stiamo riflettendo?. Quando parliamo di autenticità non sotto intendiamo sempre anche un barlume di giudizio etico e valoriale? Altrimenti il concetto di autenticità sarebbe solo identificato in quello della coerenza tra ciò che si è e ciò che si pensa.

Un ladro coerente che teorizzi il furto e che lo attui è un ladro verace. Un politico coerente che prenda in giro la gente e teorizzi il latrocinio con demagogia, o la presunta libertà dell’informazione, sarebbe autentico, mentre è solo coerente con i propri imbrogli. Ma tutti avvertiamo una sorta di avversione verso tale pervicace coerenza. Credo pertanto che per pervenire ad una comprensione più profonda ed adeguata della autenticità dobbiamo gioco forza cercare dei punti di riferimento, extra coscientiam , al di là della coscienza.

O meglio riconoscere che la coscienza non può essere autoreferenziale, ma è sempre “coscienza di….”qualcosa che viene intuito al di fuori di sé….. In sostanza è difficile definire la coscienza se non si riconosce anche un suo essere votata in qualche modo al “trascendente” ( uso questo termine molto laicamente e solo intendo la possibilità della nostra mente di andare al di là di se stessa).

Secoli di storia della filosofia vertono su questi punti: la conoscenza, la possibilità del conoscere, l’immanenza o la trascendenza della conoscenza stessa, e tuttavia non ho un delirio improvviso che mi spinga a voler dare una risposta definitiva a tante belle questioni secolari. Ma, vivendo anche una dimensione “pratica” della filosofia ( se ne discute tanto nelle nostre cene di questa praticità ), non posso non notare che l’autenticità (in realtà solo coerenza) del kamikaze e del ladro vero ladro, o del politico imbroglione autenticamente imbroglione, “urtano” la mia coscienza, e preferisco avversare tutto ciò.

Non posso fare a meno di riferirmi alle regole del contesto sociale, alla “legalità” per esempio, al rispetto di alcuni principi salvaguardia del vivere “civile”. Ed anche se c’è chi, giustamente, come Gianni Rigamonti ( ricordando Pascal) nota che il concetto di legalità è condizionato storicamente e dai confini delle nazioni, tuttavia vi sono dei codici di comportamento che da sempre sanzionano, ad esempio, l’omicidio ( tranne il caso della legittima difesa), o che sanzionano le offese alla dignità personale, specie dei minori.

Pertanto è davvero improbabile pensare ad una autenticità autoreferenziale e solamente basata sulla coscienza, ma semmai che sia fondata su una “coscienza di…” valori in qualche modo intuibili da tutti e pertanto condivisibili. Ciò , a mio modesto parere, pone le basi non di una metafisica posticcia ed appesa “come un salame”( uso questa felice metafora espressa da un amico) nell’aere, o di un iperuranio sede delle idee di giustizia et similia, ma della possibile intuizione da parte di tutti di qualcosa che contemporaneamente ha a che fare con l’essere (dei filosofi),e con i concetti di bene, bello e valore, e (per le persone che hanno una fede) anche con una sia pur molto oscura idea del divino, che poi ognuno sviluppa secondo la propria storia di vita e tradizione

In sostanza saremo autentici se, sì ascoltiamo la nostra coscienza, ma non in modo autoreferenziale ( alla Sartre per intenderci), ma con una umana e profonda intuizione di……ciò che sono l’essere, il bene , i valori. E così facendo potremmo essere non degli zirconi (mi lascio andare ad un’immagine poetica) ma come dei brillanti che riflettono per l'appunto la luce dell’essere, del bene, dei valori.

8 commenti:

armando caccamo ha detto...

Non nascondo che ho riflettuto parecchio dopo la cenetta di ieri l’altro su come intendo la parola “autentico” = chi agisce da se stesso. Io penso che essere autentico non è conciliabile con la vita di relazione a due e/o sociale. La persona (maschera) relazionandosi ha già dei condizionamenti coscienti e non (come mi pongo, che ruolo ho, che ruolo voglio mantenere, che reazioni mi devo attendere etc….), condizionamenti emotivi, razionali e culturali…in sintesi comportamentali. L’elemento che mette a fuoco Tolstòj, a mio parere, non è l’inautenticità di Ivàn Il’ìc ma la superficialità con cui si abbandona in questo fiume inevitabile che la vita ci induce a percorrere preso solo dalla volontà di stare a galla e di non farsi travolgere dalle piene; la sofferenza e la vicinanza della morte inaspettata lo mette a nudo e gli prospetta altri punti di vista. Allora cos’è per me l’autenticità autentica? Mi sono risposto nel lontano 1991 quando, alle soglie dei cinquant’anni, e dopo aver visto il film “Risvegli” (chi se lo ricorda?) ho scritto questo pensiero (poetico?) :

esisto nel sonno inconsapevole
aspettando solo quegli attimi
quelli in cui mi sveglio vivo
quando bambino al mattino scopro la rugiada
quando vecchio nel mare guardo il tramonto
quando triste o felice credo di amare

“meraviglia” e “amore”… ecco che cosa ci può permettere di assaporare il lusso dell’autenticità.

alberto.spatola ha detto...

A seguito dell'interessante dibattito su FB aggiungerei anche la "coscienza del bello", inteso in senso lato ,e che può aprire le porte all'autenticità amorosa. -
Come anche meraviglia e stima del bene, possono aprire le porte all'amicizia

Anonimo ha detto...

Illuminanti e intriganti le iniziali considerazioni di Alberto. Nonchè le riflessioni (anche poetiche) di Armando.
Io medito e rifletto.

ciao
Mari Das

pietro spalla ha detto...

Veramente bello e profondo il contributo di Alberto. A caldo, con riserva di rifletterci su, condivido completamente la parte iniziale dell discorso di Alberto: Autentico è ciò che proviene veramente da me (o che ho, inizialmente, preso a prestito da fuori ma poi ho fatto "mio").
Anche io sospetto che l'autenticità
abbia a che fare con qualcosa di bello e condivisibile (su questo sto meditando). Penso infine che l'inautenticità di cui si accorge IVAN IL'IC sia sopratutto un autoinganno, che gli ha nascosto il senso della vita e della morte.

Francesco Vitale ha detto...

Tutte le caratteristiche cui si riferisce Alberto (dal mio punto di vista interpretativo, ovvio) le vedo come legate ai vari "personaggi" che tutti noi abbiamo interpretato in vari momenti della vita.
Credo che la visione di Pirandello sia la più calzante, proprio perchè ironizza sulla nostra identità che non è statica, anche se noi tendiamo a vederla così. E' solo una necessità della razionalità, non dell'Essere.
Se rivedo i miei vari "Me" da quando sono nato, devo riconoscere che non ho più nulla di quando avevo 3 anni o 18 o 28.... Nemmeno una cellula, nemmeno un atomo. Io cambio continuamente. Cambio corpi, cambio idee, cambio comportamento, cambio modalità, cambio umore. Sono come il tempo atmosferico. Chi sono io se non la somma (non algebrica, ma forse un integrale definito) di tutti questi personaggi? Chi è autentico? Perchè solo uno e non tutti?
Che io sia un rubino o uno zircone non conta: io sono il cristallo che spacca un raggio di luce in mille arcobaleni. La luce è autentica, e ciascuno dei colori lo è a pieno diritto, nella parzialità che è in grado di esprimere. Le idee, le morali e le coerenze, vere o presunte, appartengono solo al mondo interiore -parziale ed effimero- di ogni personaggio, in sè tendenzialmente statico. Ma "io" non sono nessuno di loro in particolare. Io sono tutto, perchè io sono Anima. Posso essere qualunque cosa, quindi posso essere, vivere o interpretare, la parte di chiunque. Anche la tua.
Cercando bene dentro di noi, scopriremo memorie e idee e talenti e conoscenze e linguaggi che non provengono da nessuno dei personaggi che crediamo di riconoscere come "nostri".
Da dove provengono?
Chi sono "Io", chi sei "Tu"? Siamo davvero due cose o una sola? A pensarci, il concetto di fraternità può essere più profondo, non legato ai costumi di ciascuno.

L'anima, il cristallo, è il pezzo forte, immortale ed eterno. Ma è venuto nel mondo illusorio della materia per evolvere. Dai vari personaggi che incarna, distillerà essenze nuove, che prima non esistevano. E le porterà nell'eterno. Lo farà incessantemente e costantemente, senza aspettare la morte, giacché nel mondo dello spirito il tempo non esiste. E riporterà, istante per istante, tutti i colori all'unità primeva, avendo arricchito lo spettro del visibile con nuove sfumature. Certo, nel frattempo ogni personaggio continuerà a dire "io, io, io...", ma solo perché non vede la luce nella sua interezza.

In questo "gioco" generale della Vita, si può inserire, o meno, la direzione rappresentata da una volontà, da un arbitrio, che può indirizzare la casualità del Caos verso un progetto esistenziale. Potrebbe anche darsi che questo progetto perduri per più vite. Ma se uno rifiuta di esplorare queste possibilità, per il semplice fatto che qualcuno ha asserito che si tratta di idee "eretiche", allora perderà la prerogativa di ritrovare il filo delle molteplici esistenze, per il semplice fatto di averle ignorate.
(...Sempre secondo il mio modestissimo punto di vista... ovvio!).

Anonimo ha detto...

Care e cari cenacolanti,
purtroppo - per certi versi per fortuna - martedì prossimo sarò a Milano chiamato dall'equipe dei formatori della FilcaCisl per una consulenza filosofica urgente e, con dispiacere, non potrò partecipare alla sperimentazione intrigante di una serata basata non su un testo (come abbiamo fatto sinora) ma su una domanda condivisa (cos'è l'autenticità?).
Se può servire, socializzo anch'io un breve contributo.
Autentico è ciò che appare (all'esterno) quello che è (davvero, in sé): si può perciò essere un autentico 'eroe' o un autentico 'stronzo' (in tutti i casi in cui uno non sembri un eroe pur essendo uno stronzo né sembri uno stronzo pur essendo un eroe).
Se è così, l'autenticità è un valore, ma non un valore assoluto: è un valore relativo, condizionato, subordinato. Meglio essere un mafioso inautentico che un un autentico mafioso. Tuttavia è un valore: di un nazista è lecito parlare male a causa dei suoi parametri etici di riferimento, ma non dicendo "e per giunta è autentico" bensì "però è autentico". Come ci insegnano gli psicologi, siamo un po' vittime dell'effetto alone: se un soggetto fa schifo, tendiamo a vedere negativamente tutti gli aspetti della sua personalità. Ciò è comprensibile dal punto di vista psicologico, ma filosoficamente dovremmo essere più rigorosi: un soggetto può essere ripugnante per tanti versi, ma ammirevole per qualche altro (ad esempio per la sua autenticità).
Il nostro Ivan Illich lo ha capito in extremis: se lo avesse capito prima, certamente si sarebbe sentito meglio soggettivamente. Ciò non significa che anche dal punto di vista oggettivo ciò sarebbe stato un vantaggio per le persone intorno: quando qualcuno esprime, senza filtri e senza censure, i propri sentimenti reali, ciò lo rende filosoficamente più autentico ma può renderlo psicologicamente e sociologicamente insopportabile. Ecco perché dicevo che bisogna rispondere 'alla' propria coscienza e, prima ancora, 'della' propria coscienza: l'ipocrisia è sempre antipatica, ma se uno è autenticamente altezzoso e incapace di apprezzare davvero le personalità altrui potrebbe riuscire un po' meno antipatico se fosse un po' meno autentico. Ecco perché non ritengo contraddittorio essere autentici e saper dosare diplomaticamente il proprio modo di relazionarsi in pubblico: tra i propri modi di essere 'profondi' ed 'autentici' potrebbe benissimo rientrare la delicatezza di non gettare in faccia agli altri tutto il peso delle nostre convinzioni e delle nostre pulsioni. Insomma, si potrebbe essere diplomatici per inautenticità ma anche per autenticità.
Mi sono spiegato, pur nella voluta sinteticità, con chiarezza di idee e senza risultare troppo antipatico per uatenticità?
Augusto

alberto spatola ha detto...

A mio avviso Augusto definisce auenticità ciò che meglio potrebbe definirsi coerenza. Laddove dice "autentico è ciò che appare all'esterno ciò che internamente è", definisce appunto la coerenza tra l'essere e l'apparire. Capisco poi che il linguaggio ha delle sfumature sottili, ma è più logico parlare di "un vero eroe" o "di un vero stronzo", mentre "autentico" è ridondante in questo caso. Dice ancora Augusto: "Se è così, l'autenticità è un valore, ma non un valore assoluto: è un valore relativo, condizionato, subordinato". Ciò è mio avviso in parte vero, ma in parte no. E' vero nel senso che le manifestazioni o epifanie dell'essere sono infinite, spesso storicamente determinate, non giudicabili l'una rispetto all'altra. Se diciamo allora, per esempio, che il periodo iniziale della Rivoluzione Francese è il più autentico di tutto quel periodo,ci metteremmo a discutere con argomenti pro e contra per ore. Ma se invece diciamo che è impossibile sanzionare come disumani o inautentici alcuni comportamenti, basta pensare ad uno dei tanti "mostri" reali dela cronaca nera, per capire che non sempre l'autenticità è relativa. Quindi ci sono alcuni casi in cui si può definire l'autenticità come un valore assoluto. Sono pochi(diciamo) e quasi tutti legati al rispetto della dignità personale. Guardate come si coprono la faccia i grandi malfattori! é perchè non vogliono essere riconosciuti per quello che sono. Vorrebbero "salvare la faccia". E' evidente che se così fanno è perchè persino loro sanno di essere quell'orrore che sono. Ed allora si può dire che esiste pure un volto umano ed uno disumano dell'uomo. Cioè un volto autentico ed uno purtroppo orrendo e luciferino. Questi tempi così "deboli" della filosofia, portano persino a misconoscere l'ovvietà della differenza tra umano e disumano. Sull'esempio del nazista è facile obbiettare che è fuorviante dire "però é autentico". Ad uno come Kappler si può dare del coerente con le teorie fanatiche del nazionalsocialismo. L'autenticità va tirata in ballo,a mio modesto parere,solo quando "traspare" dalle vene più profonde della realtà personale. "Autentico" fu solo chi come Von Staufenberg attentò nella tana del lupo ,contro quel pazzo di Hitler e disumano (inautentico ma coerente con le sue follie teoriche). Sulla opportunità di non essere sempre "schietti" , per non risultare altezzosi, sono invece d'accordo con Augusto. Concludo: L'autenticità dell'essere umano è da mettere in relazione con l'essere ed il suo valore, pur essendo infinite le manifestazioni valoriali dell'essere, secondo i canoni del bello e del bene. E' più facile rendersi conto di cosa sia l'autenticità, quando ci si allontana drasticamente dal volto umano del nostro comune agire. Purtroppo ci vogliono gli esempi negativi per capirlo meglio.

alberto.spatola ha detto...

Rubo qualche centimetro quadrato di spazio aggiuntivo , perchè nel Giornale di Sicilia di stamane (non immaginavo tale coincidenza rispetto a ciò che ho scritto iersera) c'è la foto di J. Fritzi, il mostro violentatore di Vienna, che si copre il volto. Qual'è il vero volto di quest'uomo? Dispiace dirlo ma è ributtante a tal punto che lui stesso non vuol farsi più riconoscere. Una disperata pietas che mi fa aderire all'associazione "nessuno tocchi Caino", mi impedisce di fucilarlo, almeno in fantasia, alle porte del Tribunale cui si reca. Perchè ne parlo? Perchè non c'è più nulla di autentico in quest'essere. Cioè l'autenticità di una persona ha a che fare con la sua "umanità", che non è mai del tutto relativa, contingente, arbitraria, ma ha sempre una radice "metafisica" nel concetto di valore, di buono, di giusto e bello. Non che ci sia un solo modo di declinare queste realtà (buono, bello, giusto,valore), come non c'è una sola manifestazione della "umanità", ce ne sono tante quante sono gli uomini. Ma ci sono! E capiamo che sono tutte in qualche modo vincolate a concetti "forti", cioè capaci di affermare il valore della dignità personale. "Forti" ma non "dogmatici", perchè frutto della nostra ricerca psicologica e filosofica e non calati dall'alto. Cioè ognuno di noi sente dentro di se ed avverte la presenza di valori che sono "intuiti dalla coscienza " che è "coscienza di" qualcosa di buono , vero e giusto e pertanto condivisibile, ed in qualche modo non solo in noi ma anche fuori di noi. Persino quel gran "pillicoso" di E. Kant, pur nell'empasse del suo sistema critico, parla della "coscienza morale" dentro di noi, posta di fronte alle meraviglie del cielo stellato, ma a sua volta ella stessa (la coscienza dell'uomo)una meraviglia capace di governarci. Concludo: la parola "autenticità" nasconde già un ascendente metafisico( se si soffre per questa parola si dica: "valoriale", anche se non è buon italiano), ascendente che la semplice parola "coerenza" non ha. Chi ha meglio di tutti parlato e cantato dell'umana autenticità sono i poeti, Dante più di tutti. Ogni suo personaggio della D.C. è un canto alla autenticità/inautenticità. Anche alcuni cantautori moderni sfiorano il tema dell'autenticità, come Fabrizio de Andrè.