mercoledì 17 giugno 2009

UNO ≠ MOLTI ?

Uno, due o diecimila?

Cosa scegli: Platone o Nietzsche, Dalì o Van Gogh, Leopardi o Bukowski? (Uno, nessuno, centomila….)

Esiste vera contraddizione tra i dualismi? Cosa ci fa distinguere l'accettabile dall'inaccettabile?

Potrebbe darsi che la nostra prospettiva temporale (e temporanea), bi-oculare, bi-lobotomica, simmetrica ma al contempo coniugata, ci rende difficile (o impossibile) il percepire una dimensione frattalizzata e onnipresente, nella quale siamo immersi incoscientemente e costretti a scegliere tra apparenti oppost, che potrebbero essere invero dei misteriosi collaboratori?

Ma come possiamo conoscere meglio quella che chiamiamo realtà, e darne risposte profonde, se prima non conosciamo meglio noi stessi, come siamo fatti, come percepiamo, con il corpo, con la mente, … (con l’anima)…. ?

Metterei nel calderone della discussione sia qualcosa di molto fisico, che i suggerimenti di uno dei grandi maestri dell’antichissima meditazione orientale. Mischiando il tutto con qualche risultato delle mie personali ricerche. Cominciamo da queste ultime.

Dentro di noi vi sono (almeno!) due personaggi ben diversi tra loro. E’ possibile vederli fisicamente sfruttando, ad esempio come ho fatto io, con tecniche fotografiche digitalizzate, la separazione della (a)-simmetria dei volti umani. Infatti ciò che consideriamo un volto unico rivela differenze ben evidenti tra l’emisfero destro e quello sinistro. Chi ha coraggio può fare questo esperimento con se stesso o con i propri amici, e vi assicuro che ci vuole fegato per guardarsi ed osservarsi in questo modo.

Chi avesse ancora più coraggio, potrebbe fare un lavoro interiore di identificazione separata, e scoprire che si tratta di due personaggi ben distinti, non raramente in competizione o in vera e propria lotta tra loro. Una metà potrebbe essere donna, l’altra un uomo. Uno potrebbe essere grasso, l’altro smilzo. Una allegra e sbarazzina, l’altra triste e riflessiva. Una raffinata, l’altra "porcellina" (!). Provate a immaginare tutte le altre qualità opposte (giovane-vecchio, intelligente-stupido, sapiente-ignorante, materialista-metafisico, stanco-energico… e così via). A volte si vede proprio bene che i due personaggi sono mooooolto differenti. Con un apposito lavoro, ciascuno potrebbe scoprire dove, nel profondo, risiede l’origine di un disturbo cronico. La persona che ingrassa potrebbe sapere chi è il “grassone” dentro di lui, e chi sta male potrebbe scoprire chi -dentro di lui- ha il mal di testa, di cuore o di fegato. E la persona, in stato di rilassamento profondo, può confermare quello che è il suo sentire, in modo libero, e se si sente donna piuttosto che uomo, ammetterlo. Se si sente aggressivo, piuttosto che pacato, ammetterlo. E così via. I suoi opposti interiori si intregrerebbero, imparerebbero ad ascoltarsi, a darsi spazio e fiducia recirpoca, e la smetterebbero di farsi una inutile guerra quotidiana.

Ma tutto questo è normalmente considerato come pura follia, esagerazione, condizionamento culturale, moda. Eccetera, eccetera.

Chi, allora, prevale dentro di noi? Solo uno: il più forte; gli altri personaggi della nostra interiorità subiscono. Qundi soffrono.

Eccovi allora un esempio fisico, una mia foto suddivisa in due e ricomposta in due visi differenti, questa volta perfettamente simmetrici. L’altro esempio appartiene alla mia attuale compagna, Dafne. Le metto qui a disposizione di tutti perché mi appartengono, senza incorrere in problemi legali. Ma in realtà ne ho una casistica ben vasta, e posso assicurare che alcune sono ben più sorprendenti (o sconcertanti?) di queste .


Io credo di conoscere bene i due personaggi oggi viventi, Francesco e Dafne, ma per conoscere meglio i quattro che sono integrati nei due, ho dovuto compiere un lavoro, che non può dirsi mai completo. Perché sconfinato è, l’essere umano.

Adesso però, proprio perchè lo vedo, posso dire di conoscere meglio John, nobiluomo alto e smilzo, che visse nell’Inghilterra del medio evo, frequentando una corte reale ostile alle libertà. Rifiutò quell’ambiente, e per questo, per le sue impudenze-imprudenze, fu ucciso dopo un lungo inseguimento, durato anni. Comprendo allora le sue paure.

Conosco meglio Juan, contadino e rivoluzionario, basso e tarchiato, poeta-cantautore, che visse nella Bolivia di fine ottocento. Si ribellò al potere dei padroni del luogo, e visse imboscato, lasciando tutto quel che aveva, quel poco che aveva, per la causa rivoluzionaria. Faceva attentati dinamitardi alle carrozze dei nobili, e diffondeva idee che incitavano le classi più deboli a ribellarsi ai ricchi. Non aveva paura di nulla (io sì !) Morì giovane, per un attacco di febbre infettiva, e i suoi compagni impiegarono molte settimane prima di recuperare la sua salma, che trovarono ancora come dormiente nel misero giaciglio che si era costruito sugli alberi. Comprendo allora il suo coraggio.

Ma "io" sono un individuo pauroso o coraggioso? Quando l'uno, quando l'altro?

Conosco meglio la mia Dafne ed il suo “Francoise” interiore, signorotto francese del rinascimento, ricco e raffinato, ma molto spigoloso e spesso egoista, privo di scrupoli; e conosco adesso la sua “Concita”, donna spagnola del ‘700, amante delle belle case e degli arredi particolari, energica e solare, allegra e fondamentalmente buona.


Fantasie? Immaginazioni? Autosuggestioni? Fate voi.

Ognuno pensa e fa quel che gli pare, e non pensa e non fa quel che non gli pare.

Certo è che tanti filosofi dell’antichità, ancora oggi per tanti versi osannati, parlavano di metempsicosi come fosse normale. E a quel tempo lo era: ma da onesti ed illuministi intellettuali del nostro tempo “post-occidentale”, oggi non ne conosciamo più il perché, né quale sia stato il percorso interiore (al di là di quello storico ufficiale) per cui l’umanità ha abbandonato alcune idee, e ne ha abbracciate altre che "contraddicevano" le precedenti, nella certezza che le une negano le altre.

Noi preferiamo considerarci "unici" e identici, anche se gli opposti posson ben "nascondersi" (fino ad un certo punto) dentro di noi, mancandoci il coraggio di scovarli ed ammetterli come facenti parte del nostro essere. In questo caso la nostra mente, per me solo apparentemente razionale, rifiuta queste idee come superate, e le teme. Limitatamente a queste idee, un grande filosofo dell'antichità classica può divenire "inaffidabile", non si considera neppure quel che afferma.

Lasciamo stare, quindi, di quando poi Platone parla di Atlantide, e Nietsche di un Superuomo che nessuna ha mai visto, se non nei fumetti.

Ma al di là di tutte le “fantasie” possibili ed immaginabili, tu che mi leggi, pensi davvero di essere “UNO”, “UNA”?

Perché tu possa considerare anche altre possibilità, ti porto allora i bellissimi versi di Lao-Tze, perché, diversamente da me, un Maestro possiede la chiave per entrare nel profondo del cuore di ogni uomo. E di elevare le possibilità di elaborazione e di immaginazione di ciascuno.

"Io", anzi noi, vorremmo solo che l’Uomo conquistasse nuove parti di sé, senza timori o pregiudizi.

Anche io ne ho: mi sforzo solo di vincerli.


TAO TE CHING

Il Tao che può essere detto

non è l'eterno Tao,

il nome che può essere nominato

non è l'eterno nome.

Senza nome è il principio

del Cielo e della Terra,

quando ha nome è la madre

delle diecimila creature.

Perciò chi non ha mai desideri

ne contempla l'arcano,

chi è soltanto capace di desiderare

ne contempla il termine.

Queste due visioni hanno la stessa origine

anche se diverso nome

ed insieme sono detti mistero,

mistero del mistero,

porta di tutti gli arcani.

Sotto il cielo tutti

sanno che il bello è bello,

da qui il brutto,

sanno che il bene è bene,

da qui il male.

E' così che

essere e non-essere si danno nascita fra loro,

facile e difficile si danno compimento fra loro,

lungo e corto si danno misura fra loro,

alto e basso si fanno dislivello fra loro,

tono e nota si danno armonia fra loro,

il prima e il dopo si fanno seguito fra loro.

Per questo il saggio

attua l'insegnamento non detto.

Le diecimila creature sorgono

ed egli non le rifiuta.

Le fa vivere, ma non le considera come sue.

Opera, ma nulla si aspetta in cambio.

Compiuta l'opera egli non permane

e proprio perché non permane

nulla gli può essere tolto.

Lao-Tse (VI sec. a.c.)