giovedì 21 febbraio 2008

sulla realtà........

fra una puntata del "Teorema delle scimmie infinite" e un'altra (promesse da Pietro), mi piace contribuire all'argomento con due citazioni tratte da "Fisica e Filosofia" il libro, ormai storico, di Werner Heisemberg, uno dei padri della Fisica quantistica


"Non ogni concetto o parola che si siano formati in passato attraverso l’azione reciproca fra il mondo e noi sono in realtà esattamente definiti rispetto al loro significato; vale a dire, noi non sappiamo fino a che punto essi potranno aiutarci a farci trovare la nostra strada nel mondo. Spesso sappiamo che essi possono venire applicati ad un ampio settore dell’esperienza interna od esterna, ma non conosciamo praticamente i limiti della loro applicabilità. Questo è vero anche nel caso di concetti più semplici e più generali come “esistenza” e “spazio e tempo”. Perciò non sarà mai possibile con la pura ragione pervenire a una qualche verità assoluta."

"Negli esperimenti sugli eventi atomici noi abbiamo a che fare con cose e fatti, con fenomeni che sono esattamente altrettanto reali quanto i fenomeni della vita quotidiana. Ma gli atomi e le particelle elementari non sono altrettanto reali; formano un mondo di possibilità e di potenzialità piuttosto che un mondo di cose o di fatti."
Insomma l'unica possibilità che abbiamo è perseguire la conoscenza di una realtà (sempre in evoluzione) costruendosi di volta in volta un modello matematico e quindi relazionale e/o relativo che ci accompagni nella ns. storia di uomini; il resto lo può fare solo l'irrazionale!

martedì 19 febbraio 2008

Da un vecchio contributo prima illegibile di GIOVANNNI LA Fiura
La nostra civiltà, dicevamo, ama i giochi apparentemente fini a se stessi.Nelle pieghe del bilancio di un’università ben disposta si sono trovati i fondi per un esperimento sulla produzione letteraria di vere scimmie. Sei macachi crestati sono stati forniti di una tastiera e osservati, anche via web naturalmente, per un mese. Uno dei ricercatori ha giustificato la spesa giudicandola inferiore a quella di un reality, ma con risultati ben più stimolanti e affascinanti. Nel periodo di osservazione le scimmie hanno prodotto solo cinque pagine di testo, consistente quasi per intero della lettera s; il compenso il maschio dominante ha percosso la tastiera con una pietra emettendo feroci urla, e tutti i macachi hanno fatto a turno i loro bisogni sulla malcapitata periferica.Sappiamo bene però che le scimmie (meritevoli di ben altri studi e attenzioni) sono solo un prestesto per parlare del posto che il caso e l’ordine hanno nel nostro mondo, e per chiedersi se l’ordine può discendere dal caso, e in quale senso, eventualmente.Le origini scientifico- filosofiche della nostra controversa storia di scimmie scrittrici risalgono a Ludwig Boltzmann, un grande fisico della seconda metà dell’800, che ha proposto una spiegazione per l’ordine e la diversità che notiamo ammirati nell’universo. Supponiamo che l’informazione che definisce l’universo, e quindi la struttura dell’universo stesso risulti da un processo completamente casuale, come un tiro di dadi, o la classica moneta, testa o croce. Oggi potremmo dire che , se identifichiamo la testa con 1 e la croce con 0, tirare la moneta ripetutamente alla fine produrrà ogni desiderata stringa di bit, inclusa una stringa di bit che descrive l’universo nella sua interezza. Fu il matematico Emile Borel a ideare nel 1913 la vera e propria metafora delle scimmie dattilografe. Che poi si sono fatta strada irresistibilmente nella cultura alta come nella fantascienza, da Isaac Asimov, a Douglas Adams. L’espressione artistica più magistrale di quello che è diventato un mito della pop culture si deve a Jorge Luis Borges che nel 1939 scrive il saggio La biblioteca totale in cui vagheggia da par suo che una mezza dozzina di scimmie, provviste di macchine da scrivere, possano produrre, in poche eternità, tutta la biblioteca del British museum (strettamente parlando, chiosa, una sola scimmia immortale è sufficiente), per poi spingersi oltre ogni colonna d’Ercole dell’immaginazione:
Qualsiasi cosa potrà trovarsi nei suoi ciechi volumi. La dettagliata storia del futuro. Gli Egiziani di Eschilo. L’esatto numero di volte in cui il volo di un falcone si è riflesso nelle acque del Gange. La segreta e vera natura di Roma, l’enciclopedia che Novalis avrebbe voluto redarre, i miei sogni e le mie dormiveglie all’alba del 14 agosto 1934, la prova del teorema di Fermat, i capitoli non scritti dell’Edwin Drood di Dickens, gli stessi capitoli tradotti nel linguaggio dei Garamantes, i paradossi che Berkeley ideò a proposito del tempo, ma che non pubblicò, il libro d’acciaio di Urizen, le premature epifanie di Stephen Dedalus, che potrebbero essere incomprensibili prima che passino mille anni. Il vangelo gnostico di Basilide, le canzoni che intonano le sirene. Il completo catalogo della Biblioteca, la prova della non accuratezza del catalogo stesso. Qualsiasi cosa: ma per ogni riga dotata di senso o per ogni fatto accurato ci saranno milioni di cacofonie insignificanti, di tiritere e balbettamenti. Qualsiasi cosa: ma tutte le generazioni dell’umanità potrebbero trascorrere prima che i suoi scaffali – scaffali che obliterano il giorno, scaffali abitati dal caos – la ricompensino con una pagina tollerabile.Ben presto, in questa biblioteca di babele, la segnatura dell’opera, il suo codice di catalogo, diventerebbe più lungo dell’opera stessa….
Il primo argomento esplicito contro la crezione di lunghi testi tramite processi completamente casuali è molto più antico dei nostri autori, risale infatti a Cicerone. Nel suo De Natura Deorum, il personaggio Balbo lo stoico così si oppone agli atomisti, come Democrito, che avevano fatto risalire l’ordine della natura alla collisione accidentale tra gli atomi:
"Non posso che meravigliarmi che ci sia qualcuno che davvero si persuade che atomi fatti di materia che si muovono per forza di gravità possono costruire questo mondo meraviglioso ed elaborato a forza di collisioni fortuite. Se credono questo, perché non credere anche che se innumerevoli copie delle lettere dell’alfabeto vengono mescolate e poi gettate come si fa con i dadi, esse comporranno l’intero testo degli Annali di Ennio. Io dubito che la fortuna ne faccia venir fuori anche un solo verso!".
In effetti, come abbiamo visto la volta scorsa, la possibilità che un cosmo ordinato possa emergere da qualcosa come il tiro di una moneta è così bassa da essere effettivamente zero. Secondo Seth Lloyd la combinazione di probabilità infinitamente basse con lo spazio e il tempo finito del nostro universo visibile rendono non credibile la generazione casuale dell’ordine. Se l’universo fosse infinito in età o estensione, allora, si potrebbe arguire, da qualche parte o qualche volta, ogni possibile schema, testo o stringa di bit sarà stato generato. Ma anche in un universo infinito l’argomento di Boltzmann fallisce. Se l’ordine viene generato a caso ogni volta che si manifesta nuova informazione sarebbe astronomicamente alta la probabilità di imbatterci in disordine e insensatezza. Ma non è così: i nuovi bit rilevati dall’osservazione al contrario hanno molto raramente una natura del tutto casuale. Basta andare alla finestra o addentare una mela. O guardare il cielo: in astronomia vengono alla luce continuamente nuove galassie e nuove strutture cosmiche. Se l’argomento della completa casualità avesse valore dovremmo vedere quasi solo arrangiamenti sconclusionati della materia, una specie di poltiglia cosmica, invece degli oggetti sia pur misteriosi ma ordinati che cataloghiamo. Nell’universo in cui tutto sorge a caso, il nostro prossimo respiro è anche l’ultimo, poiché gli atomi che costituivano il nostro corpo si sono già riconfigurati.E’ molto interessante seguire Lloyd nel seguito del suo ragionamento: assodato che Boltzmann aveva torto, questo non significa che Cicerone avesse ragione. Non abbiamo bisogno di una intricata costruzione o del disegno intelligente o della divinità per spiegare la presenza dell’ordine e della complessità nell’universo. Se concepiamo l’universo come un computer che ‘impara’ a programmarsi (computa se stesso) e a poco a poco costruisce le sue leggi e le sue forme per tentativi ed errori abbiamo risolto il problema dell’ordine e della complessità partendo da basi in apparenza molto semplici: gli atomi e le particelle elementari, gli elementi base della computazione (quantistica) universale. In questo tipo di universo, l’informazione, una volta creata, tende a diffondersi irresistibilmente: come un’epidemia condivisa istantaneamente che si fa spazio, energia, gravitazione e poi materia. Così la fisica si fa chimica e quindi vita. La vita, programmata dall’evoluzione, dà luogo prima o poi a un Shakespeare; programmato dall’intelligenza, dall’esperienza e dalla passione, Shakespeare inizia a scrivere l’Amleto: "Who’s there? …"
Pubblicato da Giovanni La Fiura
venerdì 5 ottobre 2007

Il teorema delle scimmie infinite
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f1/Monkey-typing.jpghttp://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f1/Monkey-typing.jpg
Approfitto dell’ospitalità incautamente accordatami (finalmente posso sistemare i miei appunti da qualche parte) per discettare su un argomento su cui rimuginavo dai tempi di Arquata, ma anche prima, perché è venuto fuori per la prima volta mi pare quando abbiamo letto il libro di Orlando Franceschelli sull’evoluzione. Si tratta delle famose scimmie che battono a casaccio su una tastiera e ne traggono i capolavori della letteratura, prima o poi. Metafora del caso creatore e ordinatore. Sarò prolisso e noioso. Prevedo varie puntate.
Enunciazione del teorema delle scimmie infinite
Una scimmia che batta a caso sulla tastiera di una macchina da scrivere per un tempo virtualmente infinito (quasi) sicuramente produrrà un particolare testo scelto, ad esempio un’opera di Shakespeare, l’Amleto. In tale contesto ‘quasi sicuramente’ è un termine matematico con un preciso significato (probabilità appunto matematica) e ‘scimmia’ è una metafora per una macchina teorica che produce una sequenza casuale di lettere ad infinitum.
Discussione
Ignorando punteggiatura, spaziatura e maiuscole, una scimmia che batta a caso ha una probabilità su 26 (numero dei tasti dell’ipotetica macchina da scrivere) di scrivere la prima lettera dell’Amleto e una su 676 di scrivere le prime due (26x26). Poiché la probabilità diminuisce in maniera esponenziale con l’aumentare delle lettere da scrivere, a 20 lettere la chance è 2620, vicina a quella di comprare quattro biglietti della lotteria consecutivamente e vincere ogni volta il primo premio. Nel caso dell’intero testo la probabilità è così incredibilmente piccola che molto a stento può essere concepita in termini umani. Posto che il testo è composto da circa 130.000 lettere, esiste una probabilità su 3.4x10183946 di ottenere l’Amleto al primo tentativo. Il numero medio di battiture che occorre effettuare prima che il testo abbia una possibilità (statistica) di apparire è lo stesso. Per avere un termine di paragone esistono solo 1079 atomi nell’universo conosciuto e 1080 elettroni, mentre sarebbero trascorsi 1021 minuti dal supposto Big Bang (circa 14 miliardi di anni). A cento parole al minuto occorrono 1040.000 minuti per avere una probabilità di ottenere ‘per caso’ la nostra sudata copia dell’Amleto. Anche se avessimo a disposizione un’armata cosmica di scimmie, una per ogni elettrone dell’universo al lavoro dall’inizio dei tempi, la probabilità di riuscire sarebbe ancora solo una su 10183800.
Si, ma le scimmie sono lente, cento parole al minuto, bazzecole: e se le sostituissimo con un computer molto molto potente? Le sfide vanno prese sul serio. Andiamo al bersaglio grosso: prendiamo un computer delle dimensioni dell’universo stesso, con tutta la sua materia e la sua energia al servizio della computazione, e facciamolo più veloce che si può: la sua capacità può essere calcolata in base a leggi abbastanza collaudate.
Prima di ogni cosa, l’energia e la velocità stanno in preciso rapporto. L’ammontare di energia nell’universo visibile può essere definita accuratamente. La maggior parte di essa è imprigionata nella massa degli atomi. Se contiamo gli atomi di tutte le stelle e le galassie, e ci aggiungiamo la materia delle nubi interstellari, troviamo che la densità di materia dell’universo equivale a un atomo di idrogeno per metro cubo.
Esistono poi altre forme di energia: quella della luce per esempio. La velocità di rotazione delle galassie suggerisce l’esistenza di ulteriori e invisibili fonti di energia; si parla inoltre di una ‘quintessenza’ legata all’anomala velocità di espansione dell’universo, e di altre forme ancora più bizzarramente denominate (machos, wimp, winos).
L’ammontare totale dell’energia in queste forme esotiche si calcola, un po'a spanne, come dieci volte superiore a quella standard contenuta nella materia direttamente osservabile. Naturalmente, ogni atomo contribuisce secondo la formula E = mc 2. Da questo conteggio ricaviamo che l’energia dell’intero universo ammonta a 1071 joules. Per ottenere la massima velocità di calcolo che questo computer cosmologico può sviluppare si applica il teorema di Margolus- Levitin: (energia x 4): costante di Planck (h = 6,626068 x 10–34 joule-sec, un numero piccolissimo che regola gli eventi quantistici).
Conclusione provvisoria
Ne risulta che ogni secondo un computer che usa tutta l’energia e la materia dell’universo compie 10105 operazioni. In 14 miliardi di anni, ne ha fatte 10122.
Per scrivere casualmente l’Amleto occorrono 3.4x10183946 operazioni. Se assegniamo al nostro universo una vita di 30 miliardi di anni, il cosmo-computer dovrà funzionare per biliardi di miliardi di miliardi di cicli cosmici, (e speriamo che non vada mai in crash…) prima di poter mostrare se la probabilità matematica assunta inizialmente si è tradotta o meno in realtà. E già: tutto questo ambaradan è senza certezza alcuna di riuscita. Non esiste qualcosa come una probabilità certa.
Se poi questi cicli cosmici sono in qualche modo ricorsivi, se essi presentano elementi di ripetizione e correlazione, se insomma il mito dell’eterno ritorno non è solo un mito, se non si dà una stringa casuale infinita come un fiume eterno mai uguale a se stesso, ma la reiterazione di stringhe finite, alla scimmia verrà negata anche quella probabilità abissale rimasta e potrà solo comporre, tra un eone e l’altro, solo qualche verso, magari sempre gli stessi. L’esperienza accumulata con i generatori di numeri causali indica che questa possibilità (seriazione, prevedibilità) non è remota come sembra.
Morale della favola, se vogliamo fare i seri: l’universo immaginato come una macchina generatrice di eventi casuali è incapace di elaborare in uscita una stringa complessa fornita come chiave della computazione in un tempo finito, anche se molto grande (ciclo cosmico) e può solo rinviare la resa dei conti su un piano (super ciclico, super cosmico) inattingibile dai mezzi di cui la ragion scientifica dispone e dai quadri concettuali che si è data, che non permettono oggi di andare oltre la nascita (e la morte) dell’universo quale singolarità irripetibile e inspiegabile, e quindi di pensare un altro o altri cicli cosmici, e tantomeno le possibili connessioni tra di essi.
Il limite della computazione, già indicato da Roger Penrose sul raffinato versante algoritmico, si dimostrerebbe qui anche nella rozza prospettiva del rimescolamento ‘brute-force’.
Pausa. Questo gioco che sembra (ed è anche) una stupidaggine appartiene alla schiera dei giochi mentali ‘come se’ così tipici ai nostri giorni: comportiamoci come se l’universo fosse una macchina o come se una scimmia fosse l’universo, come se l’eternità fosse calcolabile o un poeta simulabile.
Oggi non si danno più giochi di scena, di sfida, di specchio, giochi duali. Ma giochi estatici e solitari, in cui il piacere non è più estetico e scenico, ma aleatorio, psicotropico, dalla fascinazione pura: giochi di vertigine.
Questo l’ha pensato Roger Caillois.
continua...

lunedì 18 febbraio 2008

I leopardati del martedì

Cari convivianti filosofici
martedì prossimo procederemo con il confronto sulle seguenti operette morali:
-La scommessa di prometeo;
-Dialogo di Torquato Tasso.....
-Dialogo della natura e di un islandese
- Dialogo di federico Ruysch e delle sue mummie.
Martedì scorso Giovanni Cavadi, cugino di Augusto e nostro ospite, anche lui di professione psicologo ha, cercato (non se ne può più!) di ricondurre il pensiero del nostro Leo alla sua biografia e alle sue nevrosi, ma è stato giustamente zittito dai fischi dei non psicologi che hanno notato che c'è una sorta di misteriosa epidemia nelle nostre cene dove psicologi e psichiatri continuano a diffondersi come virus.
Abbiamo, invece, gradito il pentimento di Armando che, dopo avere sacccheggiato senza ritegno, la volta scorsa, la vita privata del nostro Leopardi, ha deciso di consegnarci tutte le copie del libro da cui aveva tratto le lettere intime che ci ha letto, promettendo solennnemente che d'ora in poi si occcuperà di filosofia e non più di Gossip.
Abbiamo, quindi, analizzato il pensiero di Leopardi sull'infelicità umana imputabile, in buona sostanza, ad un desiderio di felicità senza limiti che ci accompagna e che è, fatalmente, destinato a rimanere insodddisfatto. Maria Ales ha spiegato che se nelle persone c'è una disposizione eccessivamente narcisistica, un amor proprio smisurato che non è capace di confrontarsi in modo adulto con la contingenzxza e la realtà, l'esito non può che essere l'insoddisfazione che, in Leopardi, ha assunto i trattti di un pessimismo cosmico.
Molto utile, infine, il contributo di Augusto che ci ha suggerito una chiave interessante con la quale interpretare ciò che muove gli stati d'animo di Leopardi. Augusto ha ripreso, infatti, le riflessioni di Citati in un brano che alcuni di noi abbiamo commentato in occasione delll'ultima "domenica laica" a proposito della differenza tra amore erotico ed Agape:
l'amore erotico sarebbe quello di cui parla Platone, frutto del desiderio e, quindi, di una mancanza ("poenia") cui vorremmo porre rimedio. L'agape sarebbe, invece, un'amore che non scaturisce da povertà ed indigenza ma, al contrario, da un senso di pienezza e di autorealizzazione che ci porta a volere dare ad altri con spirito di gratuità, l'amore di cui - durante stati di grazia purtroppo così rari - trabocchiamo.
Ad Augusto, appunto, il travaglio di Leopardi ricorda la ricerca del primo tipo di amore, quello erotico che effettivamente, disgiunto dall'altro, non può darci la felicità che cerchiamo.
Com'è ovvio, quì parliamo di Eros in un senso più profondo e meno prosaico di quello a cui siete abituati! Per riflettere sul fatto che certe deviazioni e volgarizzazioni derivano da una banalizzazione del sesso che nulla ha a che fare con l'Eros di cui parla Platone, vi lascio con una profonda riflessione di uno dei più acuti biblisti dei nostri giorni
A martedì
Pietro
Sodoma era una città di sodomiti in cui nessuno si affacciava al davanzale perché anche in famiglia ci si fidava poco.Giobbe Covatta

sabato 16 febbraio 2008

il neutrino, l'uomo e l'Universo


Grazie a Giovanni perché quando lo leggo parlare di scienza mi fa volare alto come quando ascolto o leggo di filosofia o di arte. Poi però, soprattutto leggendo o ascoltando di scienza e filosofia, penso che il pensiero umano è affetto dalla sindrome della “prospettiva” o del “punto di vista”. Immaginiamo infatti che un neutrino fosse dotato di ragione umana e, attraversando una montagna non essendo “disturbato” da nulla, pensasse di viaggiare in un spazio infinito più vuoto che pieno e ipotizzasse di “stringhe”, di “frattali” e di “caos” senza potersi accorgere che invece sta attraversando una struttura fatta di leggi fisico-chimiche ben precise.
La conclusione, almeno la mia, è che solo l’accettazione del Mistero sarebbe a noi concessa accompagnata da un inevitabile atto di rinuncia o di fiducia che presupponesse solo un Progetto, un Senso dell’essere e/o del divenire per noi impossibile da conoscere. Conforto solo: l’irrazionale che è in noi.

“………..così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.”

venerdì 15 febbraio 2008

Natura matrigna e un po’ depressa



"Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna: parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi".

Leopardi Cantico del gallo silvestre


La convinzione profonda che l’universo (e quindi il mondo, la realtà, il tutto…) è destinato a perire, anche se in tempi, appunto, cosmici è radicata nella teodicea largamente (e stranamente?) condivisa oggi da laici e religiosi, da clericali e anticlericali. La profezia di distruzione è contenuta nel mito di creazione. Scaricatasi la molla del fiat lux primigenio, regnerà il disordine, l’entropia, la morte termica.

L’idea che l’universo è emerso da un punto singolare (da una singolarità – irripetibile?) situato in qualche modo prima dello spazio tempo e contenente un’infinita densità di materia, e che esso si è espanso da allora, ma è destinato a spegnersi, è rimasta la pietra di fondazione della cosmologia contemporanea. La base concettuale di questa credenza riposa sulla teoria generale della relatività di Einstein del 1916, le cui equazioni suppongono che la distribuzione della materia nel cosmo sia omogenea, in qualsiasi direzione si voglia guardare. L’omogeneità della materia è propedeutica alla cosmologia del big bang (piccola nota filologica: il termine ‘big bang’ era in origine un motto derisorio, coniato dall’insigne astrofisico Fred Hoyle, che non credeva alla teoria dell’esplosione iniziale, da lui bollata a fuoco come ‘un’idea da preti’). In seguito è stata osservata la recessione delle galassie, interpretata come fuga da un punto di origine, ed è stata scoperta (negli anni 60) una sfera isotropica (uniforme) di radio-onde, accreditata come radiazione fossile dell’esplosione iniziale, e ciò ha rafforzato la fede nella teoria. Da allora essa regna sovrana.

Tuttavia, negli ultimi anni la sacralità dei suoi presupposti è stata messa in questione. Un gruppo di ricerca dell’Università di Roma La Sapienza, diretto dal prof. Luciano Pietronero, sostiene che l’universo non è omogeneo. La distribuzione della struttura cosmica non è la stessa ovunque si osservi. La loro convinzione si basa sul fatto che le galassie e i gruppi di galassie sono avviluppate, ed embricate in complesse strutture. Il viluppo persiste anche alle scale più grandi che si possano osservare (come i super-cluster di galassie). Si è aperto così un vigoroso dibattito tra chi sostiene che su una scala più ampia di quella che per ora è possibile studiare l’omogeneità dell’universo apparirà evidente anche ai più impenitenti increduli, e chi ribatte che il cosmo è per ogni dove grumoso, zeppo di barriere, nodi, e linee d’unione che lo intersecano e incatenano. Il gruppo di Roma rivendica che l’universo di fatto è un frattale. Un buon esempio di frattale è il cavolfiore: se lo tagli in parti via via più piccole ritroverai sempre la stessa struttura. Come in alto così in basso. E così gli alberi, gli estuari dei fiumi, o la linea di una costa marina. Una struttura che si ripete all’infinito. Attraverso la matematica dei frattali e del caos (B. Mandelbrot) si possono comprendere sistemi complessi che si auto-organizzano, e creano strutture auto-simili a scale differenti.

A. Rej ha proposto nel 1999 la visione di un cosmo multifrattale, dotato cioè di filamenti di spessore e forza diversi. I filamenti di un certo tipo formano un mono-frattale; tutti i diversi frattali compongono il multi-frattale. L’universo multi-frattale appare simile a quanto osserviamo nei vortici turbinanti di acqua, fuoco o nuvole, che si attorcigliano, si fondono, si allontanano; che esplodono in filamenti, lacci, annodamenti. Si crede che queste turbolenze caotiche siano comprensibili solo con metodi statistici; nella nostra nozione di spazio e tempo e nell’approccio che abbiamo verso la natura, si impone, tra gli altri, il concetto della causalità locale. Tuttavia alla fine risulta che nel cuore della turbolenza riposa un motivo che rimane uguale a tutte le scale, per distanti che siano. Come nelle bambole russe, le repliche si susseguono identiche le une dentro le altre, sempre più piccole. Ma la cosa è più interessante: se rompi queste bambole, troverai identiche sembianze nei pezzi sparsi. Non ti puoi liberare dell’intero tramite la sua suddivisione. Ciò è diametralmente contrario alla credenza scientifica che la natura può essere spezzata nei suoi costituenti fondamentali, e che dalla conoscenza delle interazioni locali si può risalire alla totalità. Invece, fin dove possiamo gettare uno sguardo, l’universo si riflette nelle più piccole strutture. E questo suo riflettersi non riempie lo spazio, al contrario: buchi e vuoti dovunque perforano le strutture.


E una nuova prospettiva assume anche la questione determinismo versus caos. Supponiamo che le bambole russe siano fatte di un materiale trasparente e che sul corpo di ogni bambola sia stato tracciato un motivo floreale. Dopo averle assemblate una dentro l’altra, ruotandole a un angolo fisso una rispetto all’altra, guardando all’insieme dall’esterno si noterà un disegno molto complesso e indistinto; per quanto ognuna riporti un segno razionale e ben organizzato la vista complessiva risulterà equivalente a un caos. Il flusso delle turbolenze è molto simile. Ad ogni scala esiste un certo motivo di flusso, ma quando i diversi moti vengono osservati insieme il flusso appare straordinariamente caotico e indecifrabile. Potremmo dire che il caos indeterminato apparente sulla scala locale riposa su un perfetto ordine sulla scala globale.

Le caratteristiche più importanti delle strutture cosmiche sono i filamenti, i cappi, i nodi. Queste strutture filamentarie vengono osservate a tutti i livelli, dalle nebulose ai super-cluster di cluster di galassie e anche oltre. La presenza di nodi e filamenti rende una regione più disomogenea. Queste strutture non omogenee si evolvono su uno sfondo più uniforme. I filamenti si incurvano, si tendono, si aggrovigliano; si formano nodi, si rompono nodi e corde. L’annodarsi e lo snodarsi dei filamenti, la stretta e lo sciogliersi dei nodi generano forze di attrazione e repulsione. Allo sgarbugliarsi dei nodi avvengono violente eiezioni che rendono la regione locale un sistema in espansione. Nel caso opposto, quando i nodi si formano e si stringono, il disordine circostante viene ricondotto all’ordine e attratto verso le strutture disorganiche con lo sfondo. Così la dinamica dell’universo cambia ripetutamente da una fase di accumulazione e crescita , a una di rottura e dispersione. La tensione nei filamenti avvolti a spirale genera forze attrattive. Quanto più il processo ordinativo va avanti, quanta più tensione si sviluppa nel sistema. Giunto al punto critico il sistema si frattura, e una forza repulsiva proietta le sue strutture nei dintorni. Una volta che la dispersione prende spazio e il disordine cresce, il sistema reagisce costruendo strutture annodate. I nodi arrestano il disordine e rimettono in gioco ancora una volta la forza di attrazione. In questo modo l’universo eternamente pulsa dalla crescita alla decadenza e viceversa, su tutti i livelli, le regioni e le scale del suo essere.

La fluttuazione tra crescita e caduta è una condizione a priori per l’esistenza dell’universo. Tramite il meccanismo di contrazione ed espansione, informazioni arrivano dalla struttura globale a quelle locali, e similmente un feedback parte dalla regione locale e perviene al livello globale. Questa relazione simbiotica è necessaria per il meccanismo della sopravvivenza. Solo in questa guisa mondi in perenne mutamento possono vivere immersi nell’universo senza tempo.

In contraddizione con l’ipotesi del big bang, la teoria di Rej pone il tempo in una prospettiva di eternità, mentre l’universo rinasce perennemente dalle sue ceneri, autoregolando la sua dinamica di flussi, contrazioni, relazioni, reazioni. L’universo non fu, mai; e mai sarà. Esso è eternamente qui, sempre lo stesso: le potenze generatrici «non avvennero mai, ma sono sempre: l'intelli­genza le vede tutte assieme in un istante, la pa­rola le percorre e le espone in successione» (Sallustio Sugli dèi e il mondo, IV, 8).



Rif.:

Anup Rey – Timelessness in time


domenica 10 febbraio 2008

Problemi nel blog

Cari tutti, oggi ho effettuato più accessi e non ho mai avuto problemi di alcun tipo. Ho comunque modificato l'ultimo post togliendo quei riferimenti incomprensibili. Inviterei chiunque ancora dovesse avere problemi a segnalarli commentando questo post.

sabato 9 febbraio 2008

Pare normale, ma non lo è...



Sull’ultimo numero di “Mente e cervello” compare un lungo articolo sul cosiddetto paranormale. Più che una indagine rigorosa, secondo me vuole essere un breve e sintetico resumè di cose note e meno note sulla fenomenologia di massa legata all’interesse sul paranormale. Della serie: “Possiamo crederci?…..Uuuhmm !!!”. A me pare inutile stare a contestare o ad acclamare in modo tifosesco le une o le altre opinioni o visioni sull’argomento. Insisto sul fatto che non vi può essere una rigorosa indagine ufficiale su questi fenomeni, che possa esulare un soggetto curioso a sperimentare da sé. E’ come le prove su strada di Quattroruote. Se ti dicono che una nuova automobile fa 25 Km con un litro, puoi crederci o meno, puoi credere o meno a chi l’ha comprata. Ma devi sempre provarla per vedere se è vero. E’ un vicolo cieco, non si esce. Come sperimentatore di queste magagne assurde, e come componente di una scuola di pensiero e di vita che fa questo di mestiere, cioè “smanettare col cosiddetto paranormale”, avrei tante cose da racontare, ma in generale non mi piace parlare con gli scettici, cioè quelli che pensano e agiscono per partito preso (come gli autori dell’articolo). Preferisco confrontarmi con i pensatori liberi, pronti a scoprire l’assurdo. Perché l’assurdo, il misterioso, è per me il sale della vita. Nell’articolo si accenna tra le altre cose ad un americano che ha messo in palio un milione di “dollari” da confeire a chi riesca a dimostrare pubblicamente qualcosa di paranormale. Ma vi “pare normale”? Secondo voi, se qualcosa di paranormale fosse dimostrabile “scientificamente”, che paranormale sarebbe? Diventerebbe normale, sarebbe un paradosso, una ridondanza. Il paranormale, o meglio l’ultranormale, se esiste, è indimostrabile per principio, perché se è descrivibile attraverso qualsiasi cosa già conosciuta, è allora normale come le cose che sono servite a descriverlo. Esiste solo qualcosa che non si è ancora compresa, ma per comprenderla bisogna fare dei salti di logica, uscire dagli schemi, aspettarsi di tutto, sconfiggere le paure. Allora si comincia a vedere. Cosa? …Perché non provi da te?! Quando si osserva un fenomeno che consideriamo paranormale, le persone sono portate all’inizio a ridurlo attraverso la comune razionalità. E’ come l’italiano, che ovunque vada, anche in Nepal, pretende di mangiare il piattazzo di spaghetti. Bene, che se lo mangi. Io preferisco mangiare quello che trovo; a volte può far senso, ma il nuovo si comporta stranamente così. E’ una porta blindata che non ha chiavi, e nemmeno serrature. La devi sfondare, se hai il coraggio e l’astuzia, e la perseveranza. Ma se l’apri, e provi ad entrare, la porta ti si chiude alle spalle. Così gli altri non potranno entrare e curiosare, a meno che non riescano a forzarla come hai fatto tu. Cosa è normale, e cosa non lo è? E interessante rispondere a questa domanda. Magari si scopre che il normale è noia, e il consueto è paranoia. L’ultranormale invece è divertente, poiché vuol dire che ancora abbiamo tanto da scoprire. Significa che la nostra mente consueta ha solo “preteso” di vederci chiaro. Leopardi ad esempio, non è normale. E nemmeno era normale ciò che ha visto Emily Dickynson (altro articolo nella rivista), vivendo tutta la vita dentro una camera. Dalla quale però poteva ammirare l’Universo intero. A volte la Mente ed il Cervello fanno a pugni col Cuore e l’Immaginazione. Ma è solo perché siamo parziali ed incompleti. Lo sappiamo che un Dio non tanto amico, mentre dormivamo, ci ha portato via una costola, ci ha spezzati in due. E poi con un bel calcio nel sedere, ci ha cacciati da un Paradiso artificiale nel quale aveva tentato di imprigionarci, un luogo dove ci aveva proibito di nutrirci di conoscenza, e di scoprire il segreto della vita, forse non solo di quella biologica… Ciao Giacomo, ciao Emily, ciao Federico. Vi ringrazio; vi vorrò sempre bene. Mi basta quel che avete raccontato, perché non abbisogna di dimostrazioni. Voi non vincerete mai un premio da un milione di dollari. Ma avete già vinto ben altro, avendo varcato la misteriosa porta a testa alta.

mercoledì 6 febbraio 2008

ECHI


L'ombra si è addormentata sul prato,
le sorgenti cantano.
Di fronte all'ampio crepuscolo invernale
il mio cuore sognava.
Chi potrebbe comprendere le sorgenti,
il segreto dell'acqua
appena nata, questo campo nascosto
ad ogni sguardo
dello spirito, dolce melodia
più pura delle anime?
Lottando sotto il peso dell'ombra,
una sorgente cantava.
Mi avvicinai per ascoltare il suo canto,
ma il mio cuore non capiva nulla....
...Ma io sento nell'acqua
qualcosa che mi scuote..., come un'aria
che agita i rami della mia anima....
Il silenzio rotondo della notte
sul pentagramma dell'infinito.
Me ne vado nudo per la strada
carico di versi
perduti.
Il nero crivellato
dal canto del grillo,
ha questo fuoco fatuo,
morto,
del suono.
Questa luce musicale
che lo spirito
intuisce.
Scheletri di farfalle a mille
dormono nel mio recinto.
C'è una giovinezza di brezze pazze
sopra il fiume.
G.Lorca, 1919,1920.
L'anima,
sempre e per sempre: più a lungo di quanto la terra
sarà solida e bruna, di quanto il mare avrà flussi
e riflussi.
Scriverò le poesie della materia, credo che siano le più
spirituali,
Scriverò le poesie del mio corpo e della mia mortalità,
Così darò a me stesso le poesie della mia anima e
della mia immortalità. ...
W.Withman, 1882.

sabato 2 febbraio 2008

i due leopardi




Leopardi e la sua ombra, ovvero la ragione e il sentimento
Cari cenacolanti
Vi ricordo che Martedì 5 febbraio proseguiremo gli incontri sulle operette morali di Leopardi.
Abbiamo concordato di confrontarci sulle seguenti altre cinque operette:
- Proposta di premi...
- Dialogo di un folletto e di uno gnomo;
- Dialogo di Malambruno e di farfarello;
- Dialogo della natura e di un'anima;
- Dialogo della terra e della luna.
Per i più volenterosi anche: la scommessa di prometeo e il dialogo di un fisico e di un metafisico.
Il garante della privacy e l'autority per le comunicazioni ci hanno assolutamente vietato di proseguire con il saccheggio della vita privata di Leopardi che è stato sottoposto ad una vera e propria gogna senza possibilità di difendersi.
In effetti martedì scorso abbiamo toccato il fondo con Armando Caccamo che, dopo aver letto, con morbose sottolineature, una corrispondenza privata di Leopardi con un amico acquisita illegalmente, ci ha fatto anche ascoltare delle intercettazioni telefoniche che frugano inammissibilmente nella vita intima di un genio che, invece, andrebbe giudicato solo in base a quello che scrive e che pensa.
Apprezzabile, invece, la saggezza di Donatellla Ragusa che, anche sul Blog, ci ha invitato a concentrarci sulle immortali opere del grande poeta.
Donatella ha conferito alle nostre cene un prezioso patrimonio di saggezza e di intelligenza. La volta scorsa, abbiamo anche apprezzato la sua modestia quando ci ha confessato di essere una psichiatra un po' infantile.
Sono sicuro che, con il nostro aiuto, crescerà benissimo.
Pietro