lunedì 31 marzo 2008

Non esistono cose ma relazioni

Cari cenacolanti filosofici
Grazie anche all'aiuto di Augusto e Gianni, I primi commenti al bel libro di Mancuso "l'anima ed il suo destino" sono serviti ad inquadrare la fattispecie (scusate il linguaggio giuridico).
E' un libro di teologia o di filosofia, ci siano chiesti inizialmente, ed in cosa si differenziano i due appprocci? Augusto ci ha spiegato che i confini non sono così netti, dato che è esistita anche una filosofia teologica, che si occupa di Dio, anche se poi, storicamente, filosofia e teologia hanno finito per costituire due discipline autonome. Ma solo in italia, ha spiegato Augusto, la teologia è stata sopratutto "confessionale", in qualche modo in linea, cioè, con gli insegnamdenti del magistero. Ciò a causa del concordato che pone sotto la giurisdizione della chiesa le facoltà teologiche pubbliche (con inevitabili difficoltà per la libera ricerca teologica).
In pratica - ha spiegato Augusto - se Mancuso può permettersi posizioni così divergenti rispetto ai dogmi ed agli insgenamenti della chiesa, è perchè insegna in una libera e privata università in cui deve rendere conto, per le sue idee, solo a se stesso, agli allievi ed al rettore (o proprietario?) che lo incoraggia nel suo fecondo lavoro.
L'altro professionista (e filosofo della scienza) Gianni Rigamoniti, pur riconoscendo i meriti del libro (che a lui è piaciuto molto) ha criticato Mancuso per l'uso arbitrario che fa di concetti scientifici come quello di energia. Secondo la scienza, ha spiegato, l'equazione energia-materia è di tipo meramente quantitativo e l'equivalenza e convertibilità tra materia ed energia ha caratteristiche meno suggestive di quello che vorrebbero le creative interpretazini mancusiane.
Secondo Augusto, però, Mancuso usa il concetto di energia in senso anche metaforico, senza la pretesa di trarne conclusioni rigorosamente scientifiche (non essendo il suo un libro di scienza).
Da profano, anch'io penso che anche le "verità" (?) scientifiche possano essere interpertate (altrimenti non capirei perchè esisterebbero discipline come "filosofia della scienza" ed "epistemologia della scienza") e che i fenomeni scientifici possano essere letti anche in senso non meramente descrittivo e letterale ma anche evocativo per cercare di coglierne un significato ricorrendo a nessi o rimandi che li colleghino ad un contesto e li relazionino ad una realtà più ampia. Ed a questo proposito qualcuno ha ricordato l'accento che Mancuso pone sulla relazione, come costitutiva della realtà anche materiale. Ed anche questa intuizione, in linea con quella di tanti mistici (Budda diceva che non esistono cose ma relazioni) non è confemata dalle più recenti acquisizioni della meccanica quantistica?
Sul nostro Blog si è sviluppata, su questi temi, un'interessante discussione. Domani 1 aprile ci confronteremo sul secondo capitolo del libro: L'esistenza dell'anima
Pietro Spalla

martedì 25 marzo 2008

Domande da 1000 punti sull’anima….

…Ma…
…se una persona è convinta che l’anima esista…
…come principio in grado di sopravvivere al corpo fisico…
…e se quindi quest’anima sia concepibile come principio cosciente, senziente ed intelligente…
…capace di proiettarsi al di fuori dello spazio e del tempo…
…allora…
…perché questa persona dovrebbe necessariamente porre dei limiti a quest’anima…
…cioè…
…pensare che essa sia vincolata ad uno specifico corpo, come specie e come individuo…
… e pensare che essa abbia origine nella materia, in cui quel corpo è nato e sopravvive limitatamente?...

… A quel punto forse sarebbe meglio fare una scelta più drastica…
… O affermare che l’anima non esiste…
… ed esiste solo una intelligenza corporea, magari irriproducibile…
… O, al contrario, pensare che l’anima sia un principio di intelligenza di per sé immateriale ed atemporale…
…che non ha limiti da noi conosciuti né immaginabili…
…se non quelli imposti dal grado di confidenza…
…che la individuale intelligenza riesce a stabilire con il sistema materiale che sta esplorando…
… in altre parole…
…pensare che l’anima non ha origine nei corpi fisici ma che…
…proprio in quanto ignoto terreno di conquista, …
…l’anima ha seri problemi con i corpi che va ad occupare …

…E poi, se un processo è riproducibile, quali sono i limiti di questa riproducibilità…
…se non quelli che attualmente riconosciamo…
…ma che già domani avremo spostato un tantino più in là ? …

…Pensiamoci un istante…
…ogni cosa che è successa dentro e fuori di noi…
… la nostra stessa nascita e i nostri primi anni senza memoria…
… la nostra morte vissuta o da vivere con terrore o serenità…
… ogni cosa che abbiamo percepito e meditato…
… può essere spiegata in questa chiave…

… L’esperienza della vita non ha garanzie poiché è un’avventura…
… che parte da una scommessa al di fuori del Tempo e priva di garanzie…
… poiché ove l’anima pervade un corpo con maggiori attitudini e complessità…
… è vero, potrà svolgere compiti molto più importanti …
… ma i risultati definitivi si vedranno al termine di ogni ciclo…
… quando cioè si vedrà se i delfini, che pure comunicano tra loro e con l’uomo …
… saranno stati migliori degli umani…
… i quali spesso non sono in grado di comunicare tra loro, e nemmeno coi delfini …
… quegli antropoidi collocati ad un qualsiasi passaggio dell’evoluzione biologica …
… che per un pezzo di corteccia acquisita, si credono in cima alla piramide della vita…
…che non sono propensi a credere che l’intelligenza abiti in ogni forma…
… e che, ovunque si trovi, l’anima abbia diverse modalità, possibilità, e risultati attesi !!

venerdì 14 marzo 2008

Intelligenze corporali


Un piccolo contributo virtuale all'incontro di oggi promosso da Donatella.
Partiamo dalle ottime domande di Francesco, delle quali lo ringraziamo:

se oggi siamo in grado di riprodurre la vita artificialmente in laboratorio, chi ci assicura, o meno, che tutto queste capacità non verranno riprodotte anche loro? Da questo punto di vista, che differenza sostanziale può esistere, a parte il “supporto fisico”, lo “chassis”, il “container” tra una macchina biologica imperfetta, ed una metallica o silicea, tecnicamente ed idealmente “perfetta”?


In linea di principio nessuno ci assicura che una forma di vita 'artificiale' non verrà un tempo riprodotta. Non ho remore ideali, sentimentali, ideologiche o come volete a questo riguardo; non so se è auspicabile o deprecabile, so che è già avvenuto, con ogni probabilità, da qualche parte nell'universo. Di sicuro, qui e ora, e per il futuro prevedibile della scienza umana e della sua traduzione tecnica, i sogni dell'AI restano tali, a uno stadio non molto più avanzato da quando germinarono per la prima volta nella testa di alcuni scienziati negli anni cinquanta (dopo avere imperversato nella cultura pop e non, e nell'inconscio collettivo, da molto più tempo). Molto probabilmente perché, come diceva l'altra volta Gianni Rigamonti, l'Intelligenza artificiale è troppo cervello e poco corpo. Mentre noi siamo coscienze incarnate in un corpo oltre che nel tempo e in tante altre cose. La nostra coscienza è sensoriale, pulsionale, emotiva, pragmatica, e qualcuno si spinge a dire allucinatoria, prima che intellettiva. E il flusso di coscienza di un essere umano che si muove con il suo corpo nel mondo, per quanto a frequenza ridicolmente bassa (pochi hertz) rispetto a un computer anche da quattro soldi, è incredibilmente complesso nella sua multi-dimensionalità, tra continui input sensoriali, rielaborazioni e retroazioni. Bassa frequenza ma fortissimo parallelismo sarebbe la chiave del cervello umano, e sicuramente c'è dell'altro ancora. Infatti se un tempo si dava al singolo neurone il valore di un transistor (un bit: acceso-spento, 0-1) oggi la valutazione è quella di un microprocessore al completo. Ma le metafore computeristiche restano approssimazioni del tutto insoddisfacenti quando vengono applicate alla natura vivente e pensante. E' invece un particolare modo di 'stare-nel-mondo' che ha dato all'uomo un'articolazione autocosciente superiore (almeno dal punto di vista dell'autoconservazione e del dominio sull'ambiente) rispetto ai suoi diretti concorrenti. Alcuni ricercatori legano questa capacità proprio a un'imperfezione dell'essere uomo, per nulla macchina tecnicamente perfetta, in un mondo pieno di predatori specializzati. L'uomo avrebbe sopperito alla sua non-adeguatezza sviluppando abilità manuali, comunicative, sociali etc, che poi si sono cumulate esponenzialmente. Una storia paradossale, se vogliamo. Ma di questi (folli?) paradossi dovrebbero essere capaci le macchine, per dirsi coscienti, prima che intelligenti.
Andando poi a monte della questione, prima di inseguire le chimere dell'intelligenza artificiale dovremmo disporre di un quadro interpretativo convincente che ci consenta di capire come la mente, e prima ancora l'organismo umano, possano funzionare come un tutto coerente e integrato, e autorappresentarsi come un singolo 'Io' (binding problem), come insomma un ammasso di neuroni collegato a un corpo possa pensarsi e agire come persona. Questa prospettiva è ancora carente, per quanto la pratica multidisciplinare propria delle scienze del cervello, abbia consentito, soprattutto tramite tecniche di imaging non invasive, un parziale accesso 'olistico' allo stato vivente (Mae-Wan Ho, 97). In particolare la tomografia magnetica, facendo seguito agli studi che utilizzavano l'elettroencefalogramma multicanale, ha evidenziato nell'attività del cervello coerenze spazio-temporali su larga scala, che non possono essere spiegate con i meccanismi convenzionali. Il cervello funzionerebbe non come una collezione di cellule specializzate ma allo stesso modo del plasma, in cui gli atomi perdono le caratteristiche individuali in una totalità risonante e concertante.

p.s.
Francesco vede nelle ricerche di di Oscar Bettelli un notevole ottimismo sulle prospettive dell'intelligenza artificiale:

lui sostiene che già adesso si possono creare, e in parte sono già state create attraverso i computers, macchine in grado di riprodurre i processi logici della mente umana la quale, rispetto ai propri funzionamenti contiene in se, è vero, anche una componente imprevedibile ma anche, altrettanto vero, riproducibile
Curiosando nel sito internet di questo studioso ho trovato questa affermazione, che condivido interamente e che non si accorda all'euforia di cui sopra:

Anche supponendo che un computer possa comportarsi in tutto e per tutto come un essere umano potremmo dire che e' esso stesso umano? Esso dovrebbe riprodurre tutta una serie di complesse elaborazioni tipiche della nostra psiche, dovrebbe essere umanizzato non solo a livello di performances, ma ad un profondo livello psicologico. Ora i processi psicologici sono riducibili a processi meramente fisici?

Siamo tempo incarnato

Pur con tutti gli inconvenienti delle sintesi, mi sembra di poter dire che il cuore del pensiero di Francesco Vitale, negli ultimi due contributi, sia che il libero arbitrio ed il pensiero creativo potrebbero appartenere anche ad esseri non umani ad es. animali o, addirittura, a macchine appropriatamente costruite (suppongo dall’uomo): non è detto che ne abbiamo l’esclusiva noi umani.
Quanto agli animali, Francesco fa l’esempio di una tigre addomesticata che è posta nelle condizioni di decidere se papparsi un umano cui è affezionato o di rispettarlo: in quel caso eserciterebbe, per Francesco, il libero arbitrio;
quanto alle macchine, che di solito non "scelgono" ma calcolano soltanto, Francesco sostiene che se conferissimo loro la facoltà di determinare da sola i criteri di scelta allora avremmo conferito anche a loro il libero arbitrio.
Sarò antropocentrista (non è più di moda) ma considero solo il corpo umano capace di ospitare autocoscienza e libero arbitrio: per me non è vero che l’uno può sussistere senza l’altro, come sembra pensare Francesco: chi non sa di se stesso e della sua mortalità, chi non sa di "esserci" non può autodeterminarsi davvero.
Riconosco agli animali un certo tipo di coscienza ma di livello inferiore, che non arriva alla capacità autoriflessiva che ha l’uomo di guardare entro se stesso e demarcarsi dal mondo, specificità che mi sembra propria dell’Io, che evolve a poco a poco nel tempo (nell’uomo individuale e nella specie, essendo la storia dell’individuo una sorta di ricapitolazione della storia della specie).
In ciò condivido le riflessioni di Alberto Biuso (memo il suo bel libro: Cyborgsofia) secondo cui siamo tempo incarnato, immersi nel divenire: la coscienza dev’essere ospitata da un corpo (anzi secondo Alberto "è" il corpo) e solo insieme al corpo umano ha potuto evolversi, attraverso il tempo, sino all’autocoscienza.
Questo processo evolutivo potrebbe avvenire anche altrove? Non lo so, per me non c'è libero arbitrio senza la capacità di disobbedire alle leggi dell’ordine cui apparteniamo, in definitiva anche alle stesse leggi della natura che ci costituiscono, Tutto il contrario dell’addomesticamento della tigre cui accenna Francesco.
La libertà , per me presuppone una separazione, una perdita di identificazione con il tutto da cui abbiamo avuto origine, un peccato originale, un sovversivo esodo da un ventre primordiale a cui, forse, dobbiamo ritornare una volta compiuto il difficile processo di individuazione e di maturazione dell’io autocosciente e libero.
Non riesco, per il momento, a cogliere la possibilità che questo processo avvenga anche negli animali e nelle macchine, cui non so come potremmo conferire, come ipotizza Francesco, qualità tipicamente umane come la libertà.
Già è una cosa difficile sviluppare in noi uomini le facoltà umane latenti (per me, come per Pico Della Mirandola ed Erasmo da Rotterdam uomini non si nasce ma si diventa). Semmai credo, e di nuovo mi rifaccio al pensiero di Biuso, che sia possibile attraverso l’ibridazione" tra uomo e macchina, un ulteriore potenziamento di talune possibilità umane.
Francesco mi attribuisce un inconsapevole materialismo perché collego la coscienza a neuroni e celllule con conseguente estinzione della coscienza con la morte del corpo. Io, però non escluso affatto che ci sia anche un’anima immateriale, o qualcosa di simile, e che questa sopravviva al corpo; so però che, se esiste, intanto ha bisogno di incarnarsi in un corpo umano temporale per evolvere sino all’io autocosciente. Ma giunto ad un punto così difficile del discorso, preferisco fermarmi. Ne parleremo nelle nostre cene a proprosito del libro di Mancuso: l'anima e il suo destino.
Per il resto, mi piace molto l’approccio "sperimentale" di Francesco, il suo continuo richiamarsi alla possibilità di scoprire dimensioni diverse e sorprendenti dell’essere e delle sue allocazioni.
Cerchiamo di condividere la sua apertura mentale e la sua passione per la ricerca spregiudicata.
Pietro Spalla

giovedì 13 marzo 2008

Vita, arbitrio, coscienza: cos’è “naturale”?

Ho trovato molto stimolante la risposta di Pietro Spalla al mio precedente articolo su A.I.
Per me è bellissimo che il blog si animi e si risvegli con questi livelli di confronto. Quando invece le persone tacciono, resto deluso perché non vi è elaborazione comune. Allora sto al gioco. Riporto le sue annotazioni e le mie relative osservazioni.
Il mio punto di partenza è: se noi siamo frutto della Natura, perché siamo portati a pensare che ciò che noi produciamo non sia anch’esso “naturale”?



1) (Pietro) Il vero "pensiero" (creativo, intuitivo ispirato) è legato alla coscienza razionale dell'uomo;
Per me questo è vero, ma non abbiamo prove di averne l’”esclusiva”. Abbiamo solo pregiudizi.


2) (Pietro) Il libero arbitrio mi sembra inscindibile dall'autocoscienza e dalla consapevolezza del bene e del male, come capacità di scegliere tra l'uno e l'altro e di disobbedire ai comandi; dell'autorità ed ai propri istinti;
Quando incontrò Mangiafuoco, o il Gatto e la Volpe, Pinocchio non poteva immaginare dove sarebbe finito. Per questo li ha seguiti, a proprie spese. L’uomo fa delle scelte continuamente, anche se se non è in grado di prevederne le conseguenze. Anche questo fa parte del libero arbitrio. Libero arbitrio perciò, non equivale a coscienza. E’ una possibilità immensa. Quando chiediamo ad un attuale computer di scegliere tra due o più possibilità, in realtà gli diamo anche il criterio di valutazione, quindi la macchina non sceglie, calcola semplicemente. Chi mastica un minimo di programmazione informatica, sa che in questi casi si parla dell’uso di operatori logici (if, then, else…). Usiamo il computer per comodità, solo perché lui è in grado di calcolare molto più velocemente ed efficientemente di quanto non sappiamo fare noi.
Ma se invece, cosa teoricamente possibile ed attuabile, dessimo alla macchina la facoltà di determinare lei i criteri di scelta, e le dessimo la possibilità di autodistruggere sé stessa o di uccidere qualcuno (pensa ad una macchina di un ospedale che tiene in vita una un infartuato od persona in coma) allora le avremmo conferito il libero arbitrio. Il libero arbitrio, come facoltà di scegliere, in sé è banale, ma pochi ce l’hanno (o glielo attribuiamo): in genere gli esseri viventi che conosciamo. Noi umani, in più, possiamo anche darlo. Questo ci distingue.
A volte lo abbiamo dato agli animali. Una tigre addomesticata, o nata in cattività, è posta nelle condizioni di decidere se papparsi un umano o di rispettarlo, ad esempio se si affeziona a lui, e quindi “comunica” con lui. Altrimenti se lo mangia, obbedendo all’istinto naturale. Ma è una scelta parimenti rispettabile, se vista dall’occhio della tigre.
Provare a fare un esperimento del genere, ponendo una macchina (magari molto più avanzata di quelle attuali) nelle condizioni di determinare con propri criteri una cosa così importante come la vita o la morte, ci consentirebbe di esplorare meglio il significato di coscienza e di etica. Ci permetterebbe di cominciare a vedere cioè se queste facoltà sono riproducibili, conferibili, per lo meno ad un livello pari al nostro o superiore. Significherebbe conferire alla macchina una dignità equivalente alla nostra. Ma noi umani siamo troppo presuntuosi da un lato, e troppo timorosi dall’altro ….

3) (Pietro) l'anima, per me, presuppone la vita (almeno quella vegetale);E tuttavia aspetto che mi si convinca che le macchine possono commettere il peccato originale, cogliere il frutto proibito, avere il senso del sacro, avere paura della verità, ospitare la contraddizione, interrogarsi sul senso della vita.
Ma, non siamo forse anche noi “macchine”, prima di aver scoperto di possedere tutte queste belle possibilità che tu dici? Un camionista ad esempio (con tutto il rispetto della categoria, perdonami l’esempio figurativo) ce le ha potenzialmente, eppure non non le usa. Allora noi presupponiamo soltanto che lui ce le abbia, ma in fondo non possiamo esserne certi.
Sul fronte opposto, se oggi siamo in grado di riprodurre la vita artificialmente in laboratorio, chi ci assicura, o meno, che tutto queste capacità non verranno riprodotte anche loro? Da questo punto di vista, che differenza sostanziale può esitere, a parte il “supporto fisico”, lo “chassis”, il “container” tra una macchina biologica imperfetta, ed una metallica o silicea, tecnicamente ed idealmente “perfetta”?
Tu dici “presuppone”. Ma questo presupposto, se si fonda solo dall’osservazione di quanto finora abbiamo visto, potrebbe essere scardinato non appena avremo visto qualcos’altro. Cosa ci può convincere dell’uno o dell’altro se non una “corretta osservazione”? Attenzione però. La corretta osservazione di solito è ostacolata dai presupposti mentali. Ricordiamoci che c’è voluto Galileo, e non il cannocchiale in sé, per far accettare all’uomo che la terra non fosse al centro dell’Universo. Allora oggi, per far accettare all’uomo che non soltanto egli è al centro dello “spirito” o dell’ “anima”, di chi abbiamo bisogno? Tu stai aspettando un tipo del genere, perché ti si possa convincere?
Difficile dire cosa sia la vita, se cioè sia composta solo da aspetti biologici e da un “cuore” centrale che percepisce, valuta, e rielabora i segnali, fantasticando su di essi. Personalmente ritengo che, se fossero solo fantasticherie, non saremmo “vivi”. Tu invece sei tra quelli secondo cui le qualità di cui parliamo sono generate dalle cellule e dai neuroni. Significa che, quando i neuroni scompariranno, non resterà nulla neppure di tutto il resto. Un’ ”anima”, una coscienza, indissolubilmente legate alla materia. In fondo è una concezione materialistica, anche se (forse, non sono certo) non lo vuoi ammettere. Pur tuttavia è una idea teoricamente possibile, certamente da rispettare. Se invece diamo un peso maggiore alla metafisica, e la vogliamo elevare al di sopra delle congetture e delle fantasticherie, dobbiamo poter uscire anche da una serie di gabbie mentali, e cercarne le “prove” proprio nella materia. Le alternative sono queste due, e molto nette.
E’ vero, non vi sono idee che non partano da presupposti. E proprio per questo è difficile accostarsi alla Verità, ammesso che esista.

Lo scisma sommerso

Cari Cenacolanti
Marcella mi ha chiesto notizie sull'incontro di Sabato con Mancuso, l'autore del libro: l'Anima ed il suo destino" . Metto in comune la risposta, ne parleremo meglio nella cenetta di Martedì 18 marzo (prepariamoci sul primo capitolo).
Nel blog trovate un commento di Armando, da me sponsorizzato, che sottolinea l'aggressività e la scortesia di alcuni interventi dal pubblico (specie quelli dei "cattolicil ortodossi", ma anche i Valdesi erano molto incazzati).
Tra i relatori, il fisico-teologo Briguglia ed il sacerdote-teologo Naro, che pure sono stati più diplomatici, hannno fatto intravedere lo stesso il loro fastidio per le tesi eretiche di Mancuso (secondo cui l'anima viene "dal basso", dalla materia e solo indirettamente da Dio).
Le domande delll'altro relatore, il nostro Augusto, che evidentemente non aveva recinti da difendere, sono state invece costruttive ed interessanti: come fa, ha chiesto per esempio a Mancuso, a definirsi cattolico se non riconosce l'autorità del magistero e i dogmi tradizionali? Per me cattolico vuol dire Universale, ha risposto Mancuso, e parlare di cattolicesimo romano è una contraddizione in termini.
L'intervento di Augusto è stato molto stimolante e Mancuso si è complimentato con lui, tanto che quelli delle cene presenti eravamo orgogliosi come se si fosse complimentato anche con noi. Augusto, a sua volta, ha fatto i complimenti a Mancuso perchè ha avuto il coragggio di fare emergere "lo scisma sommerso" di cui parla un famoso testo di qualche anno fa: i cattolici non si riconoscono più nelle vecchie posiziioni della chiesa e non si affidano troppo all'autorità del Magistero ma, in pratica, agiscono e credono secondo coscienza e ragione anche in contrato con l'insegnamento ufficiale: perchè non si parla di questo scisma di massa?
Dal pubblico il nostro Gianni Rigamonti ha contestato la priorità che Mancuso affida all'energia rispetto alla materia, rivendicando la letterallità dellla formula di "equivalenza" materia-energia di Einstein ed una concezione che potrei dire "operaia" dell'energia, come forza che si limita a compiere il poco nobile lavoro di spostare masse, cosa molto meno suggestiva del lavoro che, invece, fa fare all'energia Mancuso.
Il Prof. Savagnone ha contestato che l'anima (o la forma?) per Aristotele cui Mancuso dice di richiamarsi, non viene dal basso ma "precede" ed "informa" la materia.
Il mio amico Fabio Calabrese ha invitato Mancuso a non considerare definitive le acquisizioni della scienza ed a riconoscere che le sue ricostruzioni teologico-filosofiche poggiano su un terreno non troppo stabile.
Preferisco tacere degli interventi più violenti.
Alla fine Mancuso ha chiesto scusa per avere scritto il libro.
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P.S.: Mancuso nel suo libro riconosce il tributo che per le sue idee deve a Bergson (quello dell'Evoluzione Creatrice) ed a Teilhard de Charden (un prete che ha avuto qualche problema con le autorità ecclesiastiche).
Augusto mi ha confidato, in segreto, che Mancuso non sa di essere un Hegeliano. Dal tono in cui me l'ha sussurrato ho capito che è una una cosa molto brutta. Ci spiegherà meglio martedì.
A martedì sera, ore 20 e trenta per chi cena, ore 21 per gli altri
Pietro

domenica 9 marzo 2008

un evento andato a male

Ieri alla presentazione del libro di Vito Mancuso “l’anima e il suo destino” a Palermo ho assistito alla celebrazione di più caratteristiche peculiari della cultura siciliana e palermitana in particolare : la presunzione, la saccenteria, l’erudizione (quando c’è stata) fine a se stessa.
Doveva essere una presentazione in cui i partecipanti avrebbero potuto porre delle domande all’autore di un libro (peraltro dedicato ai “non addetti ai lavori”), che con coraggio e competenza scardina luoghi comuni, credenze, dogmi tenuti in piedi solo per motivi poco nobili e il tutto trattato con la passione di chi crede di aver trovato una chiave di lettura dell’Universo.
Certo, i partecipanti che non condividono le “soluzioni” proposte da Mancuso avrebbero dovuto e potuto fare domande mirate a far uscire allo scoperto l’Autore (un pò come ha fatto Augusto Cavadi) su certi aspetti del suo libro; mai aggredirlo, sfoggiando erudite affermazioni e citazioni (poi regolarmente ed elegantemente ridicolizzate da Vito Mancuso), col gusto di mettere in difficoltà chi sta sicuramente più in alto quanto meno per sensibilità e coraggio. Ma si sa noi siciliani siamo fatti così!!!! Ha avuto ragione chi ha detto di trovarsi inaspettatamente di fronte a uno scontro fra cattolici e non era questo l’obiettivo dell’incontro!!!!
Un monito agli organizzatori? Perché no!
Scusa Vito Mancuso a nome mio e di tutti i partecipanti di buona volontà, io le domande te le faccio per e-mail!
Armando Caccamo

venerdì 7 marzo 2008

A.I. e decadenza dell’Uomo



Ho appreso da una mail di Pietro Spalla –che ringrazio- che a Palermo vi sarà un convegno sul tema, a cui non potrò partecipare. Complimenti per la bella idea anche Donatella Ragusa che l’ha organizzato.
Scrivo allora queste riflessioni, nella eventualità che una sintesi di queste venga inserita nel calderone dei contributi.


Nella nostra Scuola, Damanhur, quello dell’Intelligenza Artificiale è sempre stato un tema molto seguito dalle persone, poiché per tanti versi può tendere a scardinare alcune concezioni di base che diamo per scontate sul nostro livello di coscienza, e su come essa possa essere collegata al concetto stesso di intelligenza. A noi damanuriani fondamentalmente interessa capire perché siamo qui, e il progressivo approfondimento dei nostri meccanismi di funzionamento ci da delle chiavi formidabili, soprattutto oltrepassando le barriere del razionale e del consueto.

Ho sempre trovato interessanti, e molto vicine ai nostri punti di vista, le osservazioni e le elaborazioni di un docente dell’università di Bologna, Oscar Battelli (vedi relative pagine internet), il quale probabilmente come realtà non ci conosce nemmeno. Però trovo che siano acute e, nella loro asciutta semplicità, spesso sorprendenti.

A proposito della coscienza e dell’intelligenza artificiale, lui sostiene che già adesso si possono creare, e in parte sono già state create attraverso i computers, macchine in grado di riprodurre i processi logici della mente umana la quale, rispetto ai propri funzionamenti contiene in se, è vero, anche una componente imprevedibile ma anche, altrettanto vero, riproducibile. Trattandosi di processi riproducibili, (o potenzialmente riproducibili) al di fuori dell’essere umano, si potrebbe anche concludere che essi non sono necessariamente legati come origine nè alla nostra specie e nemmeno ai processi biologici conosciuti. Idealmente potrebbero “agganciarsi” anche ad un corpo metallico e ad una serie di microchips. Ma finché l’uomo pensa in termini autoesaltanti da un lato, ed autocastranti dall’altro, non vi potranno essere seri avanzamenti concettuali e tecnologici in questo particolare campo.

Faccio una ipotesi di esempio. Se a queste macchine, ulteriormente potenziate, venisse data la possibilità di decidere, di muoversi ed agire per conto proprio, la possibilità di autoalimentarsi e di non essere più spente o fermate nemmeno dalla volontà dei creatori, avremmo riprodotto anche il libero arbitrio. Ma è ovvio che l’Uomo non si fiderebbe delle proprie creature, e tendenzialmente non vorrebbe rischiare di concedere ad altri “esseri” il proprio livello di libertà e di decisione.

Finora solo la fantascienza ha osato pensare cosa potrebbe succedere. Nei racconti più belli ed interessanti, questo è il tema più scottante e maggiormente trattato, perché ha delle implicazioni etiche ed esistenziali.
Ad esempio, nelle storyboard di “Animatrix” (vedi DVD in commercio) che sono servite a predisporre le riprese di Matrix, vengono “rivelati” alcuni particolari che non si trovano nella versione definitiva del film. Si “apprende” così che all’origine della grande guerra tra le Macchine e l’Uomo, culminata con la definitiva sconfitta di quest’ultimo, era stato il fatto che le macchine create erano state dotate non solo di intelligenza e di libertà decisionale, ma inaspettatamente anche di sensibilità, di sentimenti, di volontà di autoconservazione ed autoriproduzione. (che è poi il tema trattato anche da Spielberg nel suo A.I.). In una parola potremmo dire che queste macchine avevano l’anima. Pertanto risultavano molto più forti dell’uomo, perché erano instancabili ed erano in grado, tramite le conoscenze acquisite dall’uomo stesso, di estenderle molto più in là. Erano in grado di riprodurre qualsiasi processo, fisico, chimico e biochimico, e di trovare le risorse energetiche e naturali per farlo. Diventarono invincibili perché avevano oltre a queste cose anche un livello di giustizia superiore all’Uomo il quale, per presunzione, non voleva riconoscergliele. Da qui la guerra, e la caduta molto veloce di una civiltà già da secoli in decadenza.

Pochi mesi fa, discutendo di questi temi durante una delle nostre serate comunitarie, un adulto ha chiesto ad uno dei ragazzi della nostra scuola media:
“Ma secondo te, se un giorno l’uomo creasse un computer potentissimo, molto di più di quelli attuali, e se questo computer dicesse di avere l’anima, gli si potrebbe credere?” E il ragazzo, dapprima preso alla sprovvista, ha detto “…Mah, certo, dipenderebbe dalle tecnologie che si adoperano…”. Ma poi subito dopo ha aggiunto: “Però io penso che…sì, secondo me gli si potrebbe ceredere!”.

E così questo ragazzo, nella sua pulita semplicità, si è molto avvicinato alle nostro attuale indirizzo di ricerca concettuale, secondo cui tutto ciò che chiamiamo genericamente anima, coscienza, sensibilità, ecc. ecc. può stare, o “entrare” ovunque gli sia consentito di svilupparsi, e non è necessariamente generato dalle cellule del nostro corpo fisico. Anche se utilizza questo per andare in giro, un giorno potrebbe anche cambiare forma fisica, semplicemente decidendo di farlo. Perché già oggi siamo ad un passo dalla possibilità tecnologica di realizzare una grande diversificazione delle forme artificialmente generabili in laboratorio. E’ ovvio che queste ricerche sono rallentate o impedite dal peso onnipresente delle varie chiese più o meno cattoliche, interessate a propugnare non Dio, ma una ben precisa visione di Dio. La quale ovviamente non è l’unica possibile, ma rappresenta il potere più attualmente forte.

Mi piace immaginare che giorno anche questo potere si esaurirà ed allora la fantascienza, come è sempre avvenuto, diventerà realtà. L’idea per cui l’io e l’essere sono la stessa cosa, soltanto perché in me coincidono, verrà definitivamente abbandonata. E verrà ricreato quel misterioso ponte di collegamento che è stato interrotto per isolare la specie uomo di questo pianeta dal resto dell’universo, e dal resto del pianeta stesso. E anche Dio, ovunque nel mondo, smetterà di avere due sole alternative: o quella di essere il grande vecchio al di sopra delle nuvole o quella di essere negato dallo scetticismo della razionalità e dei 5 sensi.
Ed allora, (secondo noi!) in un arco grande almeno come il numero degli esseri senzienti, visibili o meno, la divinità abiterà coscientemente in ciascuno. E ciascuno sentirà di “essere” Dio.
La parola unica diventerà “accorgersi”, ovvero: “Non soltanto io penso, dunque non soltanto io sono”.