venerdì 14 marzo 2008

Siamo tempo incarnato

Pur con tutti gli inconvenienti delle sintesi, mi sembra di poter dire che il cuore del pensiero di Francesco Vitale, negli ultimi due contributi, sia che il libero arbitrio ed il pensiero creativo potrebbero appartenere anche ad esseri non umani ad es. animali o, addirittura, a macchine appropriatamente costruite (suppongo dall’uomo): non è detto che ne abbiamo l’esclusiva noi umani.
Quanto agli animali, Francesco fa l’esempio di una tigre addomesticata che è posta nelle condizioni di decidere se papparsi un umano cui è affezionato o di rispettarlo: in quel caso eserciterebbe, per Francesco, il libero arbitrio;
quanto alle macchine, che di solito non "scelgono" ma calcolano soltanto, Francesco sostiene che se conferissimo loro la facoltà di determinare da sola i criteri di scelta allora avremmo conferito anche a loro il libero arbitrio.
Sarò antropocentrista (non è più di moda) ma considero solo il corpo umano capace di ospitare autocoscienza e libero arbitrio: per me non è vero che l’uno può sussistere senza l’altro, come sembra pensare Francesco: chi non sa di se stesso e della sua mortalità, chi non sa di "esserci" non può autodeterminarsi davvero.
Riconosco agli animali un certo tipo di coscienza ma di livello inferiore, che non arriva alla capacità autoriflessiva che ha l’uomo di guardare entro se stesso e demarcarsi dal mondo, specificità che mi sembra propria dell’Io, che evolve a poco a poco nel tempo (nell’uomo individuale e nella specie, essendo la storia dell’individuo una sorta di ricapitolazione della storia della specie).
In ciò condivido le riflessioni di Alberto Biuso (memo il suo bel libro: Cyborgsofia) secondo cui siamo tempo incarnato, immersi nel divenire: la coscienza dev’essere ospitata da un corpo (anzi secondo Alberto "è" il corpo) e solo insieme al corpo umano ha potuto evolversi, attraverso il tempo, sino all’autocoscienza.
Questo processo evolutivo potrebbe avvenire anche altrove? Non lo so, per me non c'è libero arbitrio senza la capacità di disobbedire alle leggi dell’ordine cui apparteniamo, in definitiva anche alle stesse leggi della natura che ci costituiscono, Tutto il contrario dell’addomesticamento della tigre cui accenna Francesco.
La libertà , per me presuppone una separazione, una perdita di identificazione con il tutto da cui abbiamo avuto origine, un peccato originale, un sovversivo esodo da un ventre primordiale a cui, forse, dobbiamo ritornare una volta compiuto il difficile processo di individuazione e di maturazione dell’io autocosciente e libero.
Non riesco, per il momento, a cogliere la possibilità che questo processo avvenga anche negli animali e nelle macchine, cui non so come potremmo conferire, come ipotizza Francesco, qualità tipicamente umane come la libertà.
Già è una cosa difficile sviluppare in noi uomini le facoltà umane latenti (per me, come per Pico Della Mirandola ed Erasmo da Rotterdam uomini non si nasce ma si diventa). Semmai credo, e di nuovo mi rifaccio al pensiero di Biuso, che sia possibile attraverso l’ibridazione" tra uomo e macchina, un ulteriore potenziamento di talune possibilità umane.
Francesco mi attribuisce un inconsapevole materialismo perché collego la coscienza a neuroni e celllule con conseguente estinzione della coscienza con la morte del corpo. Io, però non escluso affatto che ci sia anche un’anima immateriale, o qualcosa di simile, e che questa sopravviva al corpo; so però che, se esiste, intanto ha bisogno di incarnarsi in un corpo umano temporale per evolvere sino all’io autocosciente. Ma giunto ad un punto così difficile del discorso, preferisco fermarmi. Ne parleremo nelle nostre cene a proprosito del libro di Mancuso: l'anima e il suo destino.
Per il resto, mi piace molto l’approccio "sperimentale" di Francesco, il suo continuo richiamarsi alla possibilità di scoprire dimensioni diverse e sorprendenti dell’essere e delle sue allocazioni.
Cerchiamo di condividere la sua apertura mentale e la sua passione per la ricerca spregiudicata.
Pietro Spalla

1 commento:

armando caccamo ha detto...

sono d'accordo con Pietro, soprattutto con la sua conclusione.Secondo me è da biasimare solo colui che, sentendosi nel giusto, non sa ascoltare le idee degli altri, perchè se lo facesse con la mente e il cuore aperti e quindi disponibili al cambiamento, farebbe fatica (perchè di fatica intellettuale si tratta)a ri-considerare tutta la sua vita.Per quanto riguarda il pensiero (umano?) non compatibile senza il corpo (umano?)...beh...parliamone!!!