giovedì 13 marzo 2008

Vita, arbitrio, coscienza: cos’è “naturale”?

Ho trovato molto stimolante la risposta di Pietro Spalla al mio precedente articolo su A.I.
Per me è bellissimo che il blog si animi e si risvegli con questi livelli di confronto. Quando invece le persone tacciono, resto deluso perché non vi è elaborazione comune. Allora sto al gioco. Riporto le sue annotazioni e le mie relative osservazioni.
Il mio punto di partenza è: se noi siamo frutto della Natura, perché siamo portati a pensare che ciò che noi produciamo non sia anch’esso “naturale”?



1) (Pietro) Il vero "pensiero" (creativo, intuitivo ispirato) è legato alla coscienza razionale dell'uomo;
Per me questo è vero, ma non abbiamo prove di averne l’”esclusiva”. Abbiamo solo pregiudizi.


2) (Pietro) Il libero arbitrio mi sembra inscindibile dall'autocoscienza e dalla consapevolezza del bene e del male, come capacità di scegliere tra l'uno e l'altro e di disobbedire ai comandi; dell'autorità ed ai propri istinti;
Quando incontrò Mangiafuoco, o il Gatto e la Volpe, Pinocchio non poteva immaginare dove sarebbe finito. Per questo li ha seguiti, a proprie spese. L’uomo fa delle scelte continuamente, anche se se non è in grado di prevederne le conseguenze. Anche questo fa parte del libero arbitrio. Libero arbitrio perciò, non equivale a coscienza. E’ una possibilità immensa. Quando chiediamo ad un attuale computer di scegliere tra due o più possibilità, in realtà gli diamo anche il criterio di valutazione, quindi la macchina non sceglie, calcola semplicemente. Chi mastica un minimo di programmazione informatica, sa che in questi casi si parla dell’uso di operatori logici (if, then, else…). Usiamo il computer per comodità, solo perché lui è in grado di calcolare molto più velocemente ed efficientemente di quanto non sappiamo fare noi.
Ma se invece, cosa teoricamente possibile ed attuabile, dessimo alla macchina la facoltà di determinare lei i criteri di scelta, e le dessimo la possibilità di autodistruggere sé stessa o di uccidere qualcuno (pensa ad una macchina di un ospedale che tiene in vita una un infartuato od persona in coma) allora le avremmo conferito il libero arbitrio. Il libero arbitrio, come facoltà di scegliere, in sé è banale, ma pochi ce l’hanno (o glielo attribuiamo): in genere gli esseri viventi che conosciamo. Noi umani, in più, possiamo anche darlo. Questo ci distingue.
A volte lo abbiamo dato agli animali. Una tigre addomesticata, o nata in cattività, è posta nelle condizioni di decidere se papparsi un umano o di rispettarlo, ad esempio se si affeziona a lui, e quindi “comunica” con lui. Altrimenti se lo mangia, obbedendo all’istinto naturale. Ma è una scelta parimenti rispettabile, se vista dall’occhio della tigre.
Provare a fare un esperimento del genere, ponendo una macchina (magari molto più avanzata di quelle attuali) nelle condizioni di determinare con propri criteri una cosa così importante come la vita o la morte, ci consentirebbe di esplorare meglio il significato di coscienza e di etica. Ci permetterebbe di cominciare a vedere cioè se queste facoltà sono riproducibili, conferibili, per lo meno ad un livello pari al nostro o superiore. Significherebbe conferire alla macchina una dignità equivalente alla nostra. Ma noi umani siamo troppo presuntuosi da un lato, e troppo timorosi dall’altro ….

3) (Pietro) l'anima, per me, presuppone la vita (almeno quella vegetale);E tuttavia aspetto che mi si convinca che le macchine possono commettere il peccato originale, cogliere il frutto proibito, avere il senso del sacro, avere paura della verità, ospitare la contraddizione, interrogarsi sul senso della vita.
Ma, non siamo forse anche noi “macchine”, prima di aver scoperto di possedere tutte queste belle possibilità che tu dici? Un camionista ad esempio (con tutto il rispetto della categoria, perdonami l’esempio figurativo) ce le ha potenzialmente, eppure non non le usa. Allora noi presupponiamo soltanto che lui ce le abbia, ma in fondo non possiamo esserne certi.
Sul fronte opposto, se oggi siamo in grado di riprodurre la vita artificialmente in laboratorio, chi ci assicura, o meno, che tutto queste capacità non verranno riprodotte anche loro? Da questo punto di vista, che differenza sostanziale può esitere, a parte il “supporto fisico”, lo “chassis”, il “container” tra una macchina biologica imperfetta, ed una metallica o silicea, tecnicamente ed idealmente “perfetta”?
Tu dici “presuppone”. Ma questo presupposto, se si fonda solo dall’osservazione di quanto finora abbiamo visto, potrebbe essere scardinato non appena avremo visto qualcos’altro. Cosa ci può convincere dell’uno o dell’altro se non una “corretta osservazione”? Attenzione però. La corretta osservazione di solito è ostacolata dai presupposti mentali. Ricordiamoci che c’è voluto Galileo, e non il cannocchiale in sé, per far accettare all’uomo che la terra non fosse al centro dell’Universo. Allora oggi, per far accettare all’uomo che non soltanto egli è al centro dello “spirito” o dell’ “anima”, di chi abbiamo bisogno? Tu stai aspettando un tipo del genere, perché ti si possa convincere?
Difficile dire cosa sia la vita, se cioè sia composta solo da aspetti biologici e da un “cuore” centrale che percepisce, valuta, e rielabora i segnali, fantasticando su di essi. Personalmente ritengo che, se fossero solo fantasticherie, non saremmo “vivi”. Tu invece sei tra quelli secondo cui le qualità di cui parliamo sono generate dalle cellule e dai neuroni. Significa che, quando i neuroni scompariranno, non resterà nulla neppure di tutto il resto. Un’ ”anima”, una coscienza, indissolubilmente legate alla materia. In fondo è una concezione materialistica, anche se (forse, non sono certo) non lo vuoi ammettere. Pur tuttavia è una idea teoricamente possibile, certamente da rispettare. Se invece diamo un peso maggiore alla metafisica, e la vogliamo elevare al di sopra delle congetture e delle fantasticherie, dobbiamo poter uscire anche da una serie di gabbie mentali, e cercarne le “prove” proprio nella materia. Le alternative sono queste due, e molto nette.
E’ vero, non vi sono idee che non partano da presupposti. E proprio per questo è difficile accostarsi alla Verità, ammesso che esista.

1 commento:

armando caccamo ha detto...

si ritorna sempre e (a mio parere)per fortuna al concetto "di punto di vista" da me sempre evocato.Possiamo fare tutte le illazioni che vogliamo ma le facciammo da osservatori e pensatori "interni" al sistema. Questo ci mette nelle condizioni di non potere trarre conclusioni sulla realtà (verità) delle cose, possiamo creare solo dei sistemi di relazioni che partono da "assunti" destinati a essere cambiati(gli assunti e i sistemi).Non ci resta che l'irrazionale e l'intuizione per percepire qualcosa di più grande e di unitario: e questo è da sempre il mondo del mito e del pensiero religioso!! altrimenti ogni conclusione a riguardo è solo frutto di antropocentrismo.