giovedì 6 novembre 2008

Dal testo alla vita (titolo redazionale) di Augusto Cavadi

Care amiche, cari amici,
a giudicare dalla quantità e dalla qualità (sotto il profilo non solo tecnico, ma anche dell'autenticità esistenziale) degli interventi di ieri sera, non solo non sono 'pentito' di aver sollevato la questione, ma anzi ritengo che dovremmo aiutarci tutti quanti a fare, almeno una volta ogni inizio di anno sociale, una 'messa a punto' collettiva di ciò che siamo e di ciò che intendiamo perseguire insieme. Poiché so benissimo che in questi ambiti le riflessioni non si chiudono mai, e tutti abbiamo da 'ruminare' certe idee forti per assimilarle e rielaborarle creativamente, mi limito a qualche evidenziazione di ciò che mi è sembrato emergere in maniera unanimamente condivisa. Ciò allo scopo di informare - senza volermi sostituire né all'ottimo Pietro né ai frequentatori assidui del nostro blog - gli assenti e, soprattutto, di verificare con chi c'era se ho capito bene o se mi sto illudendo sull'unanimità di questo consenso. Quando Pietro ed Anna, Francesco Palazzo, Giovanni La Fiura, Adriana ed io abbiamo attivato questi appuntamenti quindicinali - estendendo da subito l'invito ad amiche ed amici interessati - eravamo certamente mossi dal piacere di dare un ritmo alla nostra amicizia: in questo le cenette filosofiche hanno raggiunto splendidamente il loro obiettivo, consentendo a molti di noi di non perdere il filo minimale della relazione (come invece purtroppo capita con altri amici con cui, non avendo scadenze periodiche, si finisce col differire gli incontri e con il vedersi due o tre volte all'anno). L'ingresso (su invito personalizzato) di nuove persone che si sono avvicinate perché attratte dalla denominazione "filosofia" è avvenuto, ovviamente, senza particolari filtri né iniziazioni. Ciascuno è entrato nel giro, e - se è tornato - ci è rimasto, perché ha avvertito un secondo obiettivo (oltre l'aria di accoglienza e di cordiale allegria che per fortuna si è instaurata sin dall'inizio e che non è stata apprezzata solo da alcune personalità un po' troppo seriose e permalose): la crescita intellettuale. Leggere testi filosofici è un alimento culturale prezioso anche per chi non fa il filosofo di mestiere: se poi ciò può avvenire con il soccorso di alcuni professori di filosofia e con la possibilità di confrontare le proprie interpretazioni con altri lettori, che cosa chiedere di più dalla vita (se non un "Amaro Lucano")? Ciò che ho voluto mettere in evidenza è che questo secondo obiettivo non è né l'unico né il principale, almeno secondo la mens di noi promotori. Se così fosse, le cenette sarebbero piuttosto dei "seminari di storia della filosofia" e ognuno di noi dovrebbe decidere se gli interessano (la vita di chi come me insegna queste cose è talmente fitta di impegni lavorativi dello stesso genere che la sera del martedì preferirei davvero stravaccarmi sul divano e vedermi la Tv accarezzando con una mano la mogliettina e con l'altra la gattina: in ordine decrescente di affezione). Qualora mi dovessi sobbarcare a questa prestazione professionale, preferirei rimandarla al 2011 (quando dovrei essere in quiescienza dalla scuola) e, soprattutto, riterrei opportuno prepararmi meglio didatticamente: se nelle mie classi si dovesse verificare un tasso di partecipazione 'percepibile' simile a quello delle nostre cenette, lo riterrei francamente un mio fallimento. Ritengo mio dovere inderogabile portare tutti a esprimersi in pubblico: tutti, "non uno di meno". Ancor meno, sei o sette di meno. Ma allora quale sarebbe il terzo obiettivo (non in alternativa ai primi due: spero sia stato chiaro questo passaggio della mia riflessione)? Per quale scopo ho ritenuto e ritengo che valga la pena vincere la stanchezza e la pigrizia con fedeltà asburgica? La realizzazione di un'esperienza di filosofia-in-pratica. Questa mi interessa, sia professionalmente sia umanamente, al punto che ogni prezzo (persino i due euro e cinquanta centesimi che pago come pizzo al padrone di casa per la cenetta...) mi sembra adeguato. Sarei felice che qualcuno di voi si incuriosisse sull'argomento al punto da leggere uno dei tre testi più adatti a chi voglia introdursi nella tematica (in ordine di crescente approfondimento: "Consulenza filosofica" di Davide Miccione con la Xenia di Milano; "Consulente filosofico cercasi" di Neri Pollastri con l'Apogeo di Milano; "Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni" di vari autori - tra cui io - con la Di Girolamo di Trapani). Ma, nel caso che non siate talmente interessati, vorrei evidenziare due caratteristiche di una 'pratica filosofica': mira a coinvolgere la dimensione esperienziale di chi filosofa e, perciò, può accogliere senza difficoltà anche chi è a digiuno di storia della filosofia. Come ha scritto qualcuno, fare della filosofia un "modo di essere" e, perciò, un'opportunità di saggezza per tutti. Cosa comporta tutto questo sul piano organizzativo, metodologico, effettivo? Le conseguenze sono davvero innumerevoli. Per esempio: il testo che si sceglie è così poco importante in sé che potrebbe anche essere sostituito da un film o dal racconto di un episodio di vita da parte di uno dei partecipanti alla "comunità di ricerca" che chieda di confrontarsi concettualmente (non esclusivamente, o prevalentemente, sul versante psicologico-emotivo) con gli altri membri del gruppo. Un'altra possibile conseguenza, nel caso - per noi abituale e preferito, almeno sino ad ora - che si opti per un libro, è che tutte le spiegazioni esegetiche ed interpretative (storiche, letterarie, stilistiche, contenutistiche etc.), per quanto preziose, non dovrebbero diventare prevalenti (e meno che mai esclusive). Se qualcuno di noi che insegna filosofia (come Alberto Biuso, Gianni Rigamonti o io stesso) le offre all'inizio di un ciclo per introdurre quell'autore e quell'opera, dobbiamo essergliene grati: infatti tali indicazioni sono indispensabili. E' utile, poi, che questo professionista della filosofia continui a dare informazioni 'tecniche' on demand nel corso degli altri incontri (ovviamente curando il tono delle risposte perché è facile che chi sia poco preparato su un settore disciplinare si senta un po' intimorito dall'esperto). Ma né noi professori né gli altri, a mio sommesso parere, dovremmo dimenticare che non è questa la ragione fondamentale del nostro incontrarsi. Infatti, se così fosse, si capirebbe perché capiti ogni tanto che qualcuno si lamenti di non seguire degli interventi troppo 'dotti' (anche se in assoluto non lo sono) o dichiari di essere un po' annoiato di rivedersi per la terza volta a discutere del giardino di Candido secondo Voltaire, Calvino o Sciascia. Per Bacco, chi non lo sarebbe? Se Augusto o Pietro o Gianni o Alberto o Francesco prendono spunto, invece, dal giardino di Candido per confrontarsi, con chi del gruppo desidera farlo, su che cosa è per ciascuno di loro, in prima persona, l'equilibrio fra privato e pubblico, fra contemplazione e azione, fra tempi dedicati a sé e ai propri cari e tempi dedicati alla politica mondiale...allora il livello del discorso si fa così vitale - starei per dire, ma nell'accezione più bella, così elementare - da diventare un terreno basilare (un fondamento!) davvero comune con tutti gli altri. Anche i meno preparati/interessati a disquisire su Voltaire e l'Illuminismo... Certo resta il rischio di non sapersi autocontrollare negli spazi che si occupano, ma questo è un limite tecnico che non si registra frequentemente fra noi e che, in ogni caso, può essere facilmente corretto da chi abbia (o da colui al quale viene riconosciuta dal gruppo) la funzione di moderatore. L'essenziale è altrove: mi reco alla cenetta per Voltaire, per Leopardi, per Spinoza o non invece per co-filosofare insieme ad Adriana, ad Anna, ad Armando, a Mario...? Nella prima ipotesi potrei venire quando l'opera non è troppo futile o troppo angosciante o troppo giornalistica o (mi è stato detto anche questo!) troppo 'politica' e troppo poco 'metafisica'...e restare a casa negli altri casi. Nella seconda ipotesi avrebbe senso partecipare anche se Kierkegaard o Feuerbach mi risultassero due palle enormi: tanto i loro 'testi' sono (scusatemi l'allitterazione sfruttatissima negli ambienti degli addetti ai lavori) solo dei 'pretesti'. Vorrò uscire alle 22,30 del martedì dallo studio Spalla avendo avuto l'occasione di riflettere sull'amore, sulla morte, sulla felicità, sulla giustizia...grazie al confronto anche con Platone e Marx, ma soprattutto con Salvatore ed Elisabetta. Non sono del tutto sprovveduto. Come vi ho detto ieri, la stragrande maggioranza dei miei colleghi insegnanti è in totale disaccordo su questa concezione: tentando di attuarla, mi accusano di non star facendo filosofia (ma chiacchiere da salotto, pseudo-terapia di gruppo, assistenza spirituale mascherata ...). Non ho la pretesa di pensare che questo modo 'pratico' (e meticcio) di filosofare sia l'unico degno di tal nome; tanto meno di imporlo a chi non sia d'accordo. Ho solo un desiderio (e riesporvelo è stato il motivo per cui ho approfittato della serata di 'transizione' di ieri): continuare a sperimentarlo con chi ha capito il senso della proposta e - almeno temporaneamente - vi aderisce. E sono stato felice di cogliere (a meno di non essere stato vittima di illusione acustica dovuta alla stanchezza della giornata) una totale adesione a questo taglio dei nostri appuntamenti. Grazie perciò della speranza che mi rafforzate di non finire povero e matto ed anche dei minuti dedicati alla lettura di questi appunti del "giorno dopo".
Con affetto
Augusto