venerdì 14 marzo 2008

Intelligenze corporali


Un piccolo contributo virtuale all'incontro di oggi promosso da Donatella.
Partiamo dalle ottime domande di Francesco, delle quali lo ringraziamo:

se oggi siamo in grado di riprodurre la vita artificialmente in laboratorio, chi ci assicura, o meno, che tutto queste capacità non verranno riprodotte anche loro? Da questo punto di vista, che differenza sostanziale può esistere, a parte il “supporto fisico”, lo “chassis”, il “container” tra una macchina biologica imperfetta, ed una metallica o silicea, tecnicamente ed idealmente “perfetta”?


In linea di principio nessuno ci assicura che una forma di vita 'artificiale' non verrà un tempo riprodotta. Non ho remore ideali, sentimentali, ideologiche o come volete a questo riguardo; non so se è auspicabile o deprecabile, so che è già avvenuto, con ogni probabilità, da qualche parte nell'universo. Di sicuro, qui e ora, e per il futuro prevedibile della scienza umana e della sua traduzione tecnica, i sogni dell'AI restano tali, a uno stadio non molto più avanzato da quando germinarono per la prima volta nella testa di alcuni scienziati negli anni cinquanta (dopo avere imperversato nella cultura pop e non, e nell'inconscio collettivo, da molto più tempo). Molto probabilmente perché, come diceva l'altra volta Gianni Rigamonti, l'Intelligenza artificiale è troppo cervello e poco corpo. Mentre noi siamo coscienze incarnate in un corpo oltre che nel tempo e in tante altre cose. La nostra coscienza è sensoriale, pulsionale, emotiva, pragmatica, e qualcuno si spinge a dire allucinatoria, prima che intellettiva. E il flusso di coscienza di un essere umano che si muove con il suo corpo nel mondo, per quanto a frequenza ridicolmente bassa (pochi hertz) rispetto a un computer anche da quattro soldi, è incredibilmente complesso nella sua multi-dimensionalità, tra continui input sensoriali, rielaborazioni e retroazioni. Bassa frequenza ma fortissimo parallelismo sarebbe la chiave del cervello umano, e sicuramente c'è dell'altro ancora. Infatti se un tempo si dava al singolo neurone il valore di un transistor (un bit: acceso-spento, 0-1) oggi la valutazione è quella di un microprocessore al completo. Ma le metafore computeristiche restano approssimazioni del tutto insoddisfacenti quando vengono applicate alla natura vivente e pensante. E' invece un particolare modo di 'stare-nel-mondo' che ha dato all'uomo un'articolazione autocosciente superiore (almeno dal punto di vista dell'autoconservazione e del dominio sull'ambiente) rispetto ai suoi diretti concorrenti. Alcuni ricercatori legano questa capacità proprio a un'imperfezione dell'essere uomo, per nulla macchina tecnicamente perfetta, in un mondo pieno di predatori specializzati. L'uomo avrebbe sopperito alla sua non-adeguatezza sviluppando abilità manuali, comunicative, sociali etc, che poi si sono cumulate esponenzialmente. Una storia paradossale, se vogliamo. Ma di questi (folli?) paradossi dovrebbero essere capaci le macchine, per dirsi coscienti, prima che intelligenti.
Andando poi a monte della questione, prima di inseguire le chimere dell'intelligenza artificiale dovremmo disporre di un quadro interpretativo convincente che ci consenta di capire come la mente, e prima ancora l'organismo umano, possano funzionare come un tutto coerente e integrato, e autorappresentarsi come un singolo 'Io' (binding problem), come insomma un ammasso di neuroni collegato a un corpo possa pensarsi e agire come persona. Questa prospettiva è ancora carente, per quanto la pratica multidisciplinare propria delle scienze del cervello, abbia consentito, soprattutto tramite tecniche di imaging non invasive, un parziale accesso 'olistico' allo stato vivente (Mae-Wan Ho, 97). In particolare la tomografia magnetica, facendo seguito agli studi che utilizzavano l'elettroencefalogramma multicanale, ha evidenziato nell'attività del cervello coerenze spazio-temporali su larga scala, che non possono essere spiegate con i meccanismi convenzionali. Il cervello funzionerebbe non come una collezione di cellule specializzate ma allo stesso modo del plasma, in cui gli atomi perdono le caratteristiche individuali in una totalità risonante e concertante.

p.s.
Francesco vede nelle ricerche di di Oscar Bettelli un notevole ottimismo sulle prospettive dell'intelligenza artificiale:

lui sostiene che già adesso si possono creare, e in parte sono già state create attraverso i computers, macchine in grado di riprodurre i processi logici della mente umana la quale, rispetto ai propri funzionamenti contiene in se, è vero, anche una componente imprevedibile ma anche, altrettanto vero, riproducibile
Curiosando nel sito internet di questo studioso ho trovato questa affermazione, che condivido interamente e che non si accorda all'euforia di cui sopra:

Anche supponendo che un computer possa comportarsi in tutto e per tutto come un essere umano potremmo dire che e' esso stesso umano? Esso dovrebbe riprodurre tutta una serie di complesse elaborazioni tipiche della nostra psiche, dovrebbe essere umanizzato non solo a livello di performances, ma ad un profondo livello psicologico. Ora i processi psicologici sono riducibili a processi meramente fisici?

Siamo tempo incarnato

Pur con tutti gli inconvenienti delle sintesi, mi sembra di poter dire che il cuore del pensiero di Francesco Vitale, negli ultimi due contributi, sia che il libero arbitrio ed il pensiero creativo potrebbero appartenere anche ad esseri non umani ad es. animali o, addirittura, a macchine appropriatamente costruite (suppongo dall’uomo): non è detto che ne abbiamo l’esclusiva noi umani.
Quanto agli animali, Francesco fa l’esempio di una tigre addomesticata che è posta nelle condizioni di decidere se papparsi un umano cui è affezionato o di rispettarlo: in quel caso eserciterebbe, per Francesco, il libero arbitrio;
quanto alle macchine, che di solito non "scelgono" ma calcolano soltanto, Francesco sostiene che se conferissimo loro la facoltà di determinare da sola i criteri di scelta allora avremmo conferito anche a loro il libero arbitrio.
Sarò antropocentrista (non è più di moda) ma considero solo il corpo umano capace di ospitare autocoscienza e libero arbitrio: per me non è vero che l’uno può sussistere senza l’altro, come sembra pensare Francesco: chi non sa di se stesso e della sua mortalità, chi non sa di "esserci" non può autodeterminarsi davvero.
Riconosco agli animali un certo tipo di coscienza ma di livello inferiore, che non arriva alla capacità autoriflessiva che ha l’uomo di guardare entro se stesso e demarcarsi dal mondo, specificità che mi sembra propria dell’Io, che evolve a poco a poco nel tempo (nell’uomo individuale e nella specie, essendo la storia dell’individuo una sorta di ricapitolazione della storia della specie).
In ciò condivido le riflessioni di Alberto Biuso (memo il suo bel libro: Cyborgsofia) secondo cui siamo tempo incarnato, immersi nel divenire: la coscienza dev’essere ospitata da un corpo (anzi secondo Alberto "è" il corpo) e solo insieme al corpo umano ha potuto evolversi, attraverso il tempo, sino all’autocoscienza.
Questo processo evolutivo potrebbe avvenire anche altrove? Non lo so, per me non c'è libero arbitrio senza la capacità di disobbedire alle leggi dell’ordine cui apparteniamo, in definitiva anche alle stesse leggi della natura che ci costituiscono, Tutto il contrario dell’addomesticamento della tigre cui accenna Francesco.
La libertà , per me presuppone una separazione, una perdita di identificazione con il tutto da cui abbiamo avuto origine, un peccato originale, un sovversivo esodo da un ventre primordiale a cui, forse, dobbiamo ritornare una volta compiuto il difficile processo di individuazione e di maturazione dell’io autocosciente e libero.
Non riesco, per il momento, a cogliere la possibilità che questo processo avvenga anche negli animali e nelle macchine, cui non so come potremmo conferire, come ipotizza Francesco, qualità tipicamente umane come la libertà.
Già è una cosa difficile sviluppare in noi uomini le facoltà umane latenti (per me, come per Pico Della Mirandola ed Erasmo da Rotterdam uomini non si nasce ma si diventa). Semmai credo, e di nuovo mi rifaccio al pensiero di Biuso, che sia possibile attraverso l’ibridazione" tra uomo e macchina, un ulteriore potenziamento di talune possibilità umane.
Francesco mi attribuisce un inconsapevole materialismo perché collego la coscienza a neuroni e celllule con conseguente estinzione della coscienza con la morte del corpo. Io, però non escluso affatto che ci sia anche un’anima immateriale, o qualcosa di simile, e che questa sopravviva al corpo; so però che, se esiste, intanto ha bisogno di incarnarsi in un corpo umano temporale per evolvere sino all’io autocosciente. Ma giunto ad un punto così difficile del discorso, preferisco fermarmi. Ne parleremo nelle nostre cene a proprosito del libro di Mancuso: l'anima e il suo destino.
Per il resto, mi piace molto l’approccio "sperimentale" di Francesco, il suo continuo richiamarsi alla possibilità di scoprire dimensioni diverse e sorprendenti dell’essere e delle sue allocazioni.
Cerchiamo di condividere la sua apertura mentale e la sua passione per la ricerca spregiudicata.
Pietro Spalla