sabato 1 dicembre 2007

Da Maria Ales

Nel corso delll'ultima cena avevo organizzato una risposta all'interrogativo di Pietro sul pensiero di I. Berlin intorno alla svalutazione dell'incontro del pensiero con il sommerso - l’ inconscio, come lo chiama il suo inventore S. Freud - ma sono stata battuta sul filo di lana da un irresistibile intervento. Anche se continuo a pensare che il confronto abbia senso nell’ immediato e nella diretta, ripiego sulla differita ricorrendo al blog.
La perplessità di Pietro mi trova d’ accordo. Il mio non esser psicoanalista poi mi permette di non usare un linguaggio specifico ma di spaziare in altre semantiche interpretative per es. quella della pragmatica della comunicazione umana dove l’ aspetto analogico del messaggio che solitamente non viene attenzionato, dunque resta al di fuori del pensiero consapevole che usa invece la parola e la scrittura, è spesso veicolato nel sintomo della patologia. Il livello del non detto ma sempre presente in ogni interazione, da senso alla relazione e la qualifica, permette cioè di riconoscere nella comunicazione l'autenticità o no con tutte le forme distorte che vanno dal pensiero entro i limiti al pensiero oltre i limiti della norma. Sto dicendo che ridurre l'espressione comunicativa dell’uomo esclusivamente al pensiero logico priverebbe la mente della parte che è il fornello alimentatore o la cartina di tornasole capaci di testare la sostanza e la autenticità del messaggio, dunque della relazione.
Tornando al grande S. Freud, ci voleva proprio Alberto questa sera: mi sento di dire che una conto è parlare dell’inconscio individuale e un conto è riferirsi alle masse, a quel corpo di un gruppo - folla, dove le dinamiche hanno leggi differenti. Freud ne ha fatto uno studio, credo alla fine della sua maturità culturale e professionale.
Ma tornando all’ individuo penso che il processo evolutivo che parte dalla nascita e va avanti tutta la vita, se non si inceppa, sia costituito di progressive conquiste conoscitive di aspetti anche non razionali del proprio se e di integrazioni sempre più allargate, familiari, sociali, culturali plurimi, dove il soggetto, l’ io pensante, attinge ad energie anche inconsapevoli senza le quali è un io di carta, parafrasando Andreoli
In conclusione non posso fare a meno di professare la mia ammirazione per la lezione di Gianni Rigamonti Fioravanti sul pensiero liberale, difficile ma porta con grande senso di saggezza; dovrei studiare e non ho il tempo per ora.
Ciao Maria Ales

2 commenti:

Donatella Ragusa ha detto...

"C'� qualcosa della Comunicazione Non Verbale che il linguaggio non pu� riuscire a fare altrettanto bene? Vi sono diverse possibilit�.Forse la Comunicazione Non Verbale essendo pi� primitiva e diretta, � pi� carica d'efficacia.Forse � utile poter utilizzare un secondo canale in modo che sia il canale verbale che quello non verbale possano essere usati nello stesso tempo, senza venire confusi l'uno con l'altro. Vi sono forse delle cose che il linguaggio non � ben idoneo ad esprimere. O forse vi sono alcune cose che � meglio non rendere troppo esplicite o a cui � meglio non prestare eccessiva attenzione".
(Argyle, 1975,pag.7)

alberto.spatola ha detto...

Secondo me il problema principale di noi psicologi e parapsicologi è quello di riuscire ad abbandonare gli angusti limiti del nostro linguaggio , per aprirci a semantiche diverse e di altro taglio. In questo lo studio della filosofia può essere utilissimo . La filosofia come apertura verso altre lingue , altre impostazioni.
Borgna in ciò è maestro. Manco pare uno psichiatra !!
Lasciamo perdere Freud e compagnia bella , sistemici e sistemisti vari. Proviamo a giocare su altri campi e ad ascoltare i logici , gli illogici , i sofisti , ed i peripatetici ,gli idealisti . Alla fine torneremo a casa con un sapere più sapido e meno confinato allo stretto campo della cultura dello "psi"cologico et similia.