giovedì 18 ottobre 2007

Incompletezza



Si discuteva l'altra sera sui limiti della conoscenza scientifica e sulla sua capacità o meno di pensarsi senza ricorrere eventualmente a saperi a essa esterni. A me pare che ogni scienza possa riflettere su se stessa con i mezzi che le sono propri, e nel mentre continuare a confrontarsi con la grande tradizione di pensiero che ha contribuito a crearne le basi, quando, lontano nel tempo, il sapere non era spezzato in mille specializzazioni. Questo mi pare il caso di Kurt Gödel e dei suoi teoremi dell'incompletezza. Mentre rimando alle voci di Wiki che ho linkato chi fosse interessato ai particolari della vicenda umana di Gödel e alla dimostrazione e discussione dei suoi teoremi, qui mi limiterò ad argomenti più alla mia portata. La sua, in fondo, è stata una battaglia contro il formalismo e a favore del significato, condotta interamente con gli strumenti rigorosi della logica matematica. Come afferma Roger Penrose
La convinzione che si possa fare a meno del significato di enunciati matematici, considerandoli nient'altro che sequenze di simboli in qualche sistema matematico formale, è il punto di vista matematico del formalismo. Qualche persona ama quest'idea, per cui la matematica diventa una sorta di gioco senza significato. Io non la trovo però affatto gradevole. E' infatti il significato -e non un cieco calcolo algoritmico- a dare alla matematica la sua sostanza. Per fortuna, Gödel inflisse al formalismo un colpo devastante!

L'enunciazione semplificata del primo teorema è la seguente:

In ogni formalizzazione coerente della matematica che sia sufficientemente potente da poter assiomatizzare la teoria elementare dei numeri naturali — vale a dire, sufficientemente potente da definire la struttura dei numeri naturali dotati delle operazioni di somma e prodotto — è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all'interno dello stesso sistema.


In altre parole, scopo del teorema è trovare una proposizione vera che non ha una dimostrazione all'interno di un sistema formale non costruito così male da permettere di dimostrare proposizioni false. Se un sistema matematico è coerente, vi si troveranno proposizioni che non hanno dimostrazione al suo interno. E che quindi rimanderanno a qualcosa che si trova fuori dai confini del sistema stesso. O possiamo dire, con Penrose, che

Qualunque sistema formale (consistente) si usi per l'aritmetica, ci sono enunciati della cui verità possiamo renderci conto chiaramente ma ai quali non viene assegnato il valore-di-verità vero dal procedimento proposto dal formalista

Per esser certi che il sistema faccia in modo corretto ciò che deve fare, abbiamo bisogno di usare percezioni intuitive dall'esterno del sistema, che in quanto tali non possono essere sistematizzate, e anzi devono essere esterne a qualsiasi calcolo. Esse risalgono a un procedimento noto ai logici come principio di riflessione

... così, riflettendo sul significato del sistema di assiomi e delle regole procedurali, e convincendosi che questi forniscono effettivamente motivi validi per pervenire a verità matematiche, si può essere in grado di codificare questa percezione intuitiva in ulteriori enunciati matematici veri, non deducibili da quegli stessi assiomi e regole...la verità matematica è qualcosa che va al di là del mero formalismo (poiché) nel decidere sulle regole da adottare dobbiamo sempre farci guidare dalla comprensione intuitiva di ciò che è evidentemente vero, dati i significati dei simboli del sistema.

Il richiamo a Platone è molto forte e si potrebbe (ri)cominciare a discutere se gli oggetti del pensiero matematico abbiano una qualche forma di esistenza o se sia solo il concetto di verità matematica a essere assoluto. Quello che lo stesso Penrose si sente di affermare è che le macchine calcolanti possono darci solo approssimazioni a una struttura che ha un'esistenza propria più profonda e indipendente dal computer. In realtà il messaggio che viene dal teorema di Gödel non è in negativo: egli non ci dice che ci sono regioni del mondo platonico a noi inaccessibili, quanto che esistono nuovi mezzi di accesso a certe verità matematiche che certe particolari regole formali non sono abbastanza potenti da derivare. L'incompletezza appartiene dunque al formalismo, non al sapere e alla verità che possiamo comunque perseguire.

Le citazioni di Roger Penrose sono tratte da La mente nuova dell'imperatore



7 commenti:

alberto.spatola ha detto...

Molto interessante Godel. "Uscì pazzo " sul finire della sua vita , morendo di inedia e non volendo alimentarsi pensando che i cibi fossero avvelenati. In fondo anche questa è una testimonianza drammatica della veridicità del suo assioma. Non basta la mente razionale a spiegare il tutto dell'uomo. C'è anche il cervello emotivo extralogico ed extra razionale che guida nascostamente il nostro agire.

Francesco Vitale ha detto...

Mi piacciono i tuoi articoli, Giovanni; sono ben curati e si sente che scrivi con passione di ricerca e con coinvolgimento profondo. Anche graficamente sono ben presentati, e questo li impreziosisce.
Questo discorso tra godel e Penrose no l'ho afferrato bene dal punto di vista razionale e lo comprendo meglio con l'intuizione, dopo averlo riletto più volte. Ci sono cose che ancora mi sfunggono.
Forse proprio quello che gli autori, e tu stesso, volevate. LAsciare la razionalità matematica (e maschile) per sconfinare in un campo dove l'intuizione esterna riesce a sostanziare cose la cui perfezione formale non sarebbe in grado di rendere "vere".
Ok.
Per me, che sono un "praticunazzu", la matematica no vale tanto in sè, al suo interno. E' un linguaggio, con delle sue regole proprie, che sono state scoperte e pertanto hanno un loro grado di oggettività, e che servono ad estendere una lettura che noi possiamo fare delmondo che vediamo. Si appoggia molto alla geometria, che possiede più o meno la stssa funzione: astrae, va oltre con un aprevisione, e poi verifica. Quando veifica torna alla realtà osservabile, che non è oggettiva come non lo sono assiomi e postulati, ma viene "oggettivizzata" da una verifica che è la vera dimostrazione. Il problema formale non esiste per me, ma solo per i logici che "giocano" con le logiche e si divertono a cercare paradossi.
Il sapere esterno è l'osservazione cui facevi riferimento all'inizio è l'osservazione, il fondamento delle scienze oggi conosciute. Chi sa descrivere bene ciòche si osserva è un vero scienziato. Chi descrive matematicamente ciòche si osserva è in grado di fare previsioni rispetto a ciò che non è stato ancora osservato o sperimentato da nessuno. Così l'uomo è riuscito ad andare nello spazio.Senza la matematica e la geometria non poteva certo riuscirci. Molti scienziati sono stati coinvolti per realizzare un progetto così ambizioso, ma solo chi è andato nello spazio a potuto vedere ciò che nonsarà mai in rado di raccontare, e che gli altri potrano solo sognare.

Francesco Vitale ha detto...

Mi piacciono i tuoi articoli, Giovanni; sono ben curati e si sente che scrivi con passione di ricerca e con coinvolgimento profondo. Anche graficamente sono ben presentati, e questo li impreziosisce.
Questo discorso tra godel e Penrose no l'ho afferrato bene dal punto di vista razionale e lo comprendo meglio con l'intuizione, dopo averlo riletto più volte. Ci sono cose che ancora mi sfunggono.
Forse proprio quello che gli autori, e tu stesso, volevate. LAsciare la razionalità matematica (e maschile) per sconfinare in un campo dove l'intuizione esterna riesce a sostanziare cose la cui perfezione formale non sarebbe in grado di rendere "vere".
Ok.
Per me, che sono un "praticunazzu", la matematica no vale tanto in sè, al suo interno. E' un linguaggio, con delle sue regole proprie, che sono state scoperte e pertanto hanno un loro grado di oggettività, e che servono ad estendere una lettura che noi possiamo fare delmondo che vediamo. Si appoggia molto alla geometria, che possiede più o meno la stssa funzione: astrae, va oltre con un aprevisione, e poi verifica. Quando veifica torna alla realtà osservabile, che non è oggettiva come non lo sono assiomi e postulati, ma viene "oggettivizzata" da una verifica che è la vera dimostrazione. Il problema formale non esiste per me, ma solo per i logici che "giocano" con le logiche e si divertono a cercare paradossi.
Il sapere esterno è l'osservazione cui facevi riferimento all'inizio è l'osservazione, il fondamento delle scienze oggi conosciute. Chi sa descrivere bene ciòche si osserva è un vero scienziato. Chi descrive matematicamente ciòche si osserva è in grado di fare previsioni rispetto a ciò che non è stato ancora osservato o sperimentato da nessuno. Così l'uomo è riuscito ad andare nello spazio.Senza la matematica e la geometria non poteva certo riuscirci. Molti scienziati sono stati coinvolti per realizzare un progetto così ambizioso, ma solo chi è andato nello spazio a potuto vedere ciò che nonsarà mai in rado di raccontare, e che gli altri potrano solo sognare.

Biuso ha detto...

Complimenti a Giovanni per la chiarezza con cui ha esposto il senso del teorema di Gödel.

Non a caso molte delle ricerche contemporanee nell’ambito della I.A. riguardano il Semantic Web, che dovrebbe costituire la naturale evoluzione del World Wide Web, capace di risolvere il problema di fondo dato dal moltiplicarsi esponenziale delle pagine in Rete: la difficoltà di trovare l’informazione che serve e di farlo in tempi ragionevoli. L’importanza filosofica del Semantic Web è rilevante se si pensa che con esso ci troviamo finalmente di fronte all’ammissione che bisogna andare oltre la sintassi affinché si dia davvero pensiero. Sinora, infatti, il tentativo di migliorare la ricerca delle informazioni in Rete è spesso fallito proprio perché i programmi non riescono ad accedere al significato dei dati che elaborano e quindi non possono coglierne la più o meno grande rilevanza in un ambiente digitale che sia anche semantico e argomentativo.

I significati scaturiscono, in realtà, dall’immersione della mente nello spazio-tempo ed è per questa ragione che l’ostacolo maggiore che frena i progetti dell’I.A. è costituito dalla mancanza di un corpo, inteso non come assemblaggio di pezzi o semplice percezione di suoni, colori, forme ma come esperienza totale e integrata del continuum spazio-temporale nel quale il corpo cosciente vive e si muove. Esistere al modo in cui esistono gli umani e gli altri animali è un processo di assimilazione, retroazione e metabolizzazione dello spazio-tempo che si è rispetto allo spazio-tempo in cui si è collocati. Esistere significa, in altre parole, Esserci. L’esistenza consapevole, qualunque aspetto assuma, non è possibile come semplice formalizzazione di enunciati certi ma è flusso nel tempo di strutture che si immergono nel mondo e per questo lo comprendono, una comprensione che non è solo calcolo, percezione e giudizio ma autoconsapevolezza della complessità di questo insieme. Se ha un senso applicare all’esistenza il Teorema di Gödel, il senso è questo: non è possibile decidere dell’essere spazio-temporale senza esperire spazio-temporalmente il mondo nel quale una mente è immersa come un pesce nella sua acqua.

alberto.spatola ha detto...

Ma Godel si riferiva alla teoria dei numeri naturali!. A me pare che questo sfortunatissimo (per la sua storia di vita ) e fecondissimo scienziato e logico, sia però usato un pò come un condimento per tutti i discorsi possibili ed immaginabili. Siamo sicuri che la teoria dell'incompletezza sia estensibile ad altre branche del sapere, oltre la teoria dei numeri naturali? A me sembra che ciò sia tutto da dimostrare. In particolare una facile (arbitraria?) estensione può riguardare la critica logica di ogni sistema autoreferenziale. In sostanza , per esempio, se estendiamo Godel potremmo arrivare a dire che ogni sapere , in nuce o nei suoi principia, non può essere mai autoreferenziale. Personalmente penso che sia proprio così , ma quando mai Godel ha detto cose del genere? La questione è interessante perchè come per l'etica, in cui spesso si confrontano autonomia ed eteronomia, anche per ogni sapere scientifico e non,stabilire che il principio o i principia non possono che essere eteronimi ha conseguenze interessanti......
alberto spatola

Giovanni La Fiura ha detto...

Alberto si chiede a ragione se il teorema dell'incompletezza può essere esteso sic et simpliciter ad altre branche del sapere. D'altra parte non possiamo nasconderci che Gödel ha segnato un punto di crisi e di frattura proprio nella fortezza del formalismo e dell'illusione autoreferenziale: la logica matematica. La cosa non poteva non avere ricadute filosofiche di carattere generale: se è dimostrato che esiste un limite a quanto può essere calcolato e dedotto all'interno di un sistema formale, cosa dobbiamo pensare delle pretese autofondanti in ambiti meno soggetti al calcolo come le scienze naturali e umane?

alberto.spatola ha detto...

Concordo pienamente con te Giovanni . In particolare l'autoreferenzialità può solo attribuirsi ad un dio se c'è. A tutti gli altri sistemi formali e non del pensiero umano, non sembra proprio potersi attribuire. Del resto i principi , postulati ed assiomi , punti di partenza del pensiero , sono qualcosa di estrinseco al pensare stesso, sono già "dati" o perchè evidenti (almeno pare ) o perchè accettati acriticamente , o perchè "sentiti" ( in particolare mi riferisco in questo caso ad i principi etici )