sabato 31 gennaio 2009

L'anima e il suo destino

Per chi non l'avesse visto, Vito Mancuso a Otto e Mezzo. Cliccare su L'anima e il suo destino.

5 commenti:

alberto.spatola ha detto...

Che vuol dire Francesco ? Forse che c'è Vito Mancuso ad 8 e mezzo ?
Nun se capisce molto (a che ora ? Stasera?). Sto Blog , prima molto vivace sta diventando siderale ed ermetico. Quasi misterico. Forse Pietro potrebbe tentare il massaggio cardiaco con alcune battutaccie delle sue, oppure lo dedichiamo alla espressività poetica. Siccome sono belle le poesie di Maria D'Asaro, potrebbe scriverLe lei........e le leggiamo penso con piacere. Io ne riporterei alcune belle di altri autori, perchè non so scriverle....

Francesco Palazzo ha detto...

Caro Alberto, ho specificato meglio, bisognava comunque cliccare sul titolo del post. Si tratta di una puntata del 2007. A presto.

alberto.spatola ha detto...

Ahhhhhhh! Era più semplice di quanto pensassi ! Ho rivisto tutta la puntata che è stata molto interessante. Ma abbiamo già chiacchierato a lungo su Vito Mancuso. Non riapro la vivace dialettica sul tema, ma in sostanza la penso così: così come non mi ha mai convinto Teilhard de Chardin, tantomeno mi persuade Vito,di cui apprezzo cmq lo stile.

alberto.spatola ha detto...

Ahhhhhhh! Era più semplice di quanto pensassi ! Ho rivisto tutta la puntata che è stata molto interessante. Ma abbiamo già chiacchierato a lungo su Vito Mancuso. Non riapro la vivace dialettica sul tema, ma in sostanza la penso così: così come non mi ha mai convinto Teilhard de Chardin, tantomeno mi persuade Vito,di cui apprezzo cmq lo stile.

Anonimo ha detto...

Nel racconto di Tolstoj, Ivan Il’ ic è un magistrato e poi soltanto un uomo di fronte alla su fine, dilaniato dal dolore fisico e dalla sofferenza determinati e aggravati dal vivere un contesto di inautenticità o di trascuratezza e di cecità sulla sua morte imminente.
Il dolore gli accende l’ attenzione sulla distruzione del corpo e la disfunzione degli organi che quasi visualizza; la sofferenza gli fa aumentare la disperazione per la incomprensione intorno a lui, la pseudoattenzione con la quale parenti, amici, e dottori gli precludono uno spazio dove elaborare il senso della fine altrimenti insignificante. Per i parenti la vita continua, per es. con l’ abbonamento al teatro che fissa impegni inderogabili o l’ introduzione convenzionale dei medici che colludono sull’ omettere la prognosi; sento profondamente il carico di questo dovere non tanto per la competenza necessaria a produrre una diagnosi corretta e una conseguente prognosi quanto peril non dare la possibilità di entrare in quello spazio vuoto che si apre quando rimetti all’ altro una idea di fine, non di un rapporto per quanto sia stato profondo e solido ma per quanto chi lasci ha davanti a sé un non futuro e la disperazione. Mi arriva il senso della liberazione da dolore e sofferenza acquistato da Ivan Il’ ic con il percepire la autenticità del rapporto con il ginnasiale che piange sulla sua mano e della moglie che finalmente si mostra senza la maschera del far finta di niente.
E, puoi dare per certo che dopo ci sia la luce acceccante della libertà dal corpo? Forse devi accontentarti ,come dice Ivan Il’ic, del grido di gioia che saluta l’ arrivo della morte perché l’ arrivo di lei coinciderà con la sua sparizione.
Una rassegnazione per lui e per gli altri è questo il collegamento con Englaro? maria ales