mercoledì 12 novembre 2008

La ragioni della tristezza del pensiero

Cari filosofi pratici
l'ultima cenetta è stata un po' una sorta di "messa a punto" degli scopi e sulla funzione dei nostri cenacoli.
Il dibattito è stato molto utile ed è stato bello giungere ad una conclusione condivisa (che è poi quella proposta da Augusto): il testo scelto è solo un pretesto per mettere in gioco noi e le nostre visioni della vita, per imparare ad esercitare il pensiero critico.
Per questo esercizio di filosofia pratica, ha spiegato opportunamente Augusto, andrebbero forse bene anche un film o un brano musicale, che potrebbero suscitare, allo stesso modo di un testo di filosofia, risonanze e riflessioni personali da condividere con gli altri.
Si tratta, anche (a mio parere) di imparare ad ascoltare e a dare spazio agli altri: ricordo un articolo in cui che Umberto Eco rimproverava agli italiani di non essere abituati ai "turni di conversazione": anche se noi, in questo, siamo messi molto meglio di tanti altri, non è male se ogni tanto anche noi ci ricordiamo che il nostro scopo è mettere in comune le nostre piccole realizzazioni personali senza alcun intento di convincere gli altri.
Per chudere con il testo di Voltaire e collegarci, nello stesso tempo, a queste riflessioni sul senso dei nostri iincontri, secondo me è stata utile la lezione che ci è venuta da Candido, che non era abituato a pensare criticamente ma aveva bisogno di prendere in prestito le idee di altri che considerava maestri. Ha imparato, dopo tante vicissitudini, che quello che conta è che il pensiero sia veramente "proprio" e questo è, a mio avviso, il senso della sua scoperta finale quando conclude che è importante imparare a "coltivare il proprio giardino", dove può - faticosamente - fiorire l'individualità e l'unicità di ciascuno.
Quando Candido parlava, scrive Voltaire, aveva il cuore sulle labbra. Però non sapeva elaborare un pensiero personale e indipendente.
Poi ha imparato anche questo.
E allora: non vi sembra che il cammino compiuto da Candido è stato - in effetti - lo stesso cammino di filosofia pratica che ci propone Augusto e che noi ci ripromettiamo di compiere attraverso le nostre cenette?
Forse Candido avrebbe imparato prima ad armonizzare le componenti affettive e razionali della la propria individualità se avesse ascoltato Augusto quando, martedì scorso, ci ha incoraggiato a superare questa (recente) separazione tra cuore e pensiero che contraddistingue gli uomini del nostro tempo. Che culo: per noi non sarà necessario attraversare tutte le peripezie di Candido per giungere a questo risultato, dato che abbiamo la fortuna di avere la palestra delle nostre insostituibili cenette filosofiche.
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Il prossimo Martedì ci faremo interrogare dalle prime pagine del nuovo testo che abbiamo adottato su proposta di Armando: "Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero", edizioni Garzanti, Autore G. Steiner.
Nonostante il titolo, Armando ci assicura, sotto la propia responsabiilità, che il libro non ci farà cambiare idea su tutto quello che abbiamo appena finito di dire sulla bellezza del pensiero.
Speriamo: ascolteremo con vivo interesse (e un po' di apprensione) la relazione di apertura di Armando, curiosi di capire come può incoraggiarci a pensare un testo che si presenta con questo (filosoficamente raggelante) titolo.
Pietro Spalla

7 commenti:

alberto.spatola ha detto...

Non è facile da leggere il testo di Steiner

armando caccamo ha detto...

Alberto, anche questa considerazione può essere spunto di discussione comunque...........

alberto.spatola ha detto...

scrive cose interessanti ma forse la traduzione dal tedesco è farraginosa

Francesco Palazzo ha detto...

L'introduzione mi pare molto interessante e comprensibile per tutti. La tristezza del pensiero, se ho capito bene, è determinata dal fatto che il pensiero e l'essere non possono mai vivere di vita propria. Del resto il pensiero, se capisco bene da queste prime pagine, è sì il motivo della nostra tristezza, nel senso che è irriducibile all'essere concreto, ma è anche l'ancoraggio, il fondamento, della nostra esistenza, se questa vuole andare oltre la mera contingenza con la quale quasi sempre si presenta l'essere.

armando caccamo ha detto...

sono contento che prima di iniziare ufficialmente la lettura del libro di Steiner sia già in corso il confronto di idee sulle prime percezioni che il testo ha suscitato (il confronto sarebbe più ricco se il blog fosse visitato da più persone!!). Ad Alberto dico che l'autore ha scritto il libro in inglese e a me sembra molto ben tradotto ( non perchè conosca l'inglese ma perchè ho capito, almeno credo, ciò che Steiner (o il traduttore?)vuole dire. Comunque a martedì e nello spirito "augusteo".
Armando

pietro spalla ha detto...

Pure IO trovo il testo di difficle lettura, anche se stimolante. Chi lo digerisce meglio aiuterà gòi altri a non sentirsi a disagio...
Pietro

alberto.spatola ha detto...

Dopo la nostra consueta riunione del martedì devo dire che Steiner è più comprensibile. Anche se la tristezza di cui lui parla sembra una tristezza un pò lontana dal vivere comune. Bisogna ringraziare comunque Armando perchè il testo ci stimola e ci impegna e la scelta mi sembra sia azzeccata. Va considerato il fatto che il libro è scritto da una mente eccelsa che si pone problemi e problematiche non comuni. Chi di noi infatti si direbbe triste di fronte ai limiti del conoscere ? Forse la tristezza popolare è più legata a problemi terra terra: il lavoro che non c'è, la salute, il pane. Diciamo che una tristezza alla Steiner ha qualcosa di Faustiano. Ricorda Faust che vende l'anima al demonio pur di sapere. A questo proposito anche Steiner tocca un tema diffuso e popolare, almeno secondo me, e ciò accade quando accenna alla tristezza dovuta al sentimento di colpa. Qui si che mi sembra più terra terra pure lui. Perchè il senso di colpa sembra davvero diffuso ed ubiquitario in tutte le culture umane, primitive e non. L'Autore usa anche la metafora del rumore di fondo, dell'onda lunga del bing bang. Ma penso che queste siano solo analogie. Come anche è analogico parlare di un "Pensiero" e non del pensare dei singoli esistenti. QUindi Steiner filosofeggia ed indica dei motivi di tristitia che magari a noi, uomini più comuni, non ci fanno intristire tanto. Però questo dire non è inutile anzi è pedagogico, come dire se devi essere triste siilo perchè non sai tutto da cima a fondo e non perchè sei disoccupato, o con la lombosciatalgia, o buschi poco con il tuo lavoro etc. etc. Letta al contrario si può dire anche così: non ti rallegrare se sprizzi di salute e vivi la vita con gioia, ma se sai tutto come un genietto. Certo questa felicità del secchione è da sempre, almeno in età scolastica, oggetto di forti contestazioni e biricchinate,ma forse Steiner sarà stato un primo della classe, secchione sì ma simpatico e rispettato. Chissa..... bisognerebbe chiederglielo. Secondo me studiava moltissimo....