domenica 22 giugno 2008

la tristezza del pensiero


cari cenacolanti, domani ci incontreremo e, oltre che augurarci la "buona estate", decideremo quale testo sarà oggetto di commento dal prossimo autunno. Come sanno coloro che erano presenti all'ultima cenetta, io ho proposto un breve testo di George Steiner sulle "dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero" Garzanti . Indipendentemente dalla scelta che faremo (l'alternativa sembra essere il "Candido" di Voltaire) voglio elencare queste dieci ragioni che mi hanno "intrigato" moltissimo e mi hanno spinto a proporre di commentarle in gruppo:

il pensiero è illimitato
il pensiero è incontrollato
il pensiero è sommamente nostro
il pensiero è ambiguo: non è né vero né falso
il pensiero spreca se stesso
il pensiero spera contro ogni speranza
il pensiero vela almeno quanto rivela
il pensiero ci rende estranei l’un l’altro
il pensiero è poco adattabile agli ideali di giustizia
e di democrazia

il pensiero è straniero a se stesso e all'enormità del mondo

una chiave di lettura?

Il libro di George Steiner tratta del fondo di tristezza ineluttabile che accompagna il passaggio dall'homo all'homo sapiens, di quel velo di malinconia che colora l'esistenza. Quello che si dipana in queste pagine è un pensiero che pensa sé stesso: da un lato porta alle estreme conseguenze il «Penso, dunque sono» di Cartesio, dall'altro è consapevole che il pensiero non potrà mai smettere di pensarsi fino in fondo, che ci è sempre presente e dunque non riusciamo mai ad afferrarlo davvero.

che ne dite?


Grazie e a presto, Armando Caccamo

8 commenti:

alberto.spatola ha detto...

mi pare interessante anche se a "pensiero" si può sostituire la parola " uomo "

alberto.spatola ha detto...

almeno come tendenza . Coè l'uomo che con il pensare pensa di arrivare dappertutto . etc. etc.

Francesco Vitale ha detto...

Per pensiero si intende comunemente la nostra attività interiore, mentale od anche oltre, immaginativa, artistica, ecc.
Il pensiero potrebbe essere molto più di questo, restando in noi come residuo di facoltà perdute (in tutto o in parte) dall'essere umano, nel suo lungo viaggio di esplorazione del cosmo. Un viaggio condotto in quanto essenza pura originaria, e non soltanto come specie fisica. Probabilmente, l'uomo di cui parlano tutte le scacre scritture del mondo non è la scimmia-uomo, ma l'anima-uomo...
Se fosse vero infatti che l'Homo sapiens sia più evoluto rispetto agli altri homo, ormai scomparsi, non vi sarebbe motivo di tristezza, estraneità, e di flusso incontrollato. Saremmo intelligenti, ci percepiremmo in armonia ed in costante scambio con gli altri e la natura intera. Ma siamo bacati, e la stupidità della specie imperversa nel mondo da millenni: è evidente.
Chiediamoci dunque se questo pensiero distorto ha a che fare con la creazione ed il libero arbitrio, oppure se possono essere intervenuti degli incidenti di percorso, che hanno menomato un essere originariamente fatto ad immagine e somiglianza del suo geniale creatore.
Altrimenti dovremmo pensare che il creatore sia stupido come la nostra specie.
Io penso che attualmente i gorilla siano più evoluti di noi: hanno solo meno possibilità di manifestarcelo; anche perché siamo ciechi e sordi. E pure presuntuosi.

pietro spalla ha detto...

Il pensiero, pù che un residuo di faoltà perdute ne è il risultato evolutivo. Per me l'incidente di percorso di cui parla Francesco è proprio la nascita del pensiero (e con esso della libertà e dell'auotoscienza) con tutto il male e tutto il bene che ha prodotto e produrrà. La velocissima evoluzione dell'uomo è stata come un secondo Big Bang dal cui trauma ci stiamo riprendendo a fatica. Mi pare che S.Paolo dicesse che l'uviverso soffre ancora i dolori del parto, secondo me è così anche per l'uomo che fatica a nascere del tutto, che è ancora in gestazione.
Per me il gorilla non è più evoluto dell'Uomo proprio perchè non è capace di fare il male.
Pietro

armando caccamo ha detto...

sono contento che l'argomento da me proposto alle cene filosofiche sta già suscitando riflessioni e confronti (almeno tra i pochi che visitiamo questo blog!!!) Non so quando, perchè e come sia nato il pensiero (con tutto quello che ne consegue: consapevolezza, volontà, libero arbitrio, giustizia, bellezza, desiderio di conoscenza.....di sapere etc...) ma una cosa penso di credere: che il pensiero non può pensare se stesso per cui esso deduce ragionevolmente o sente emotivamente che una realtà esterna (non umana) capace di farlo ci deve essere.........!?!?... e allora..........fate voi!!!!!
Armando Caccamo

Donatella Ragusa ha detto...

L'unica tristezza del pensiero è la strumentalizzazione che se ne fa di esso e di chi ha ancora una disperata voglia di pensare.
E questo, si, è veramente triste.

armando caccamo ha detto...

A Donatella:
Il pensiero cui si riferisce il mio post non è il pensiero razionale che l’ intelligenza organizza partendo da presupposti e arrivando a conclusioni (quello sì che può essere strumentalizzato da noi stessi e dagli altri) ma è il pensiero che ci accompagna per tutta la nostra vita senza smettere mai neanche nel sonno (proprio come il respiro) e di cui non ci si può mai liberare, quel “rumore di fondo” inarrestabile, continuo (ora sublime ora triviale ora banale) che sfugge a ogni controllo, simile al rumore di fondo dell’Universo che ci dice dei primi attimi dopo il big bang e per questo ci inquieta. Quel pensiero che nemmeno i tentativi di santi e di asceti orientali riescono a fermare e che si fermerà come il respiro solo con la nostra morte (almeno così sembra!). Ecco è questo pensiero che intuisce il mistero che lo genera, è questa sensazione di impotenza a capire il come e il perché che lo rende triste o è meglio dire melanconico.
Armando Caccamo

Donatella Ragusa ha detto...

D'accordo per la melanconia, ma non vedo differenze, ..sempre pensiero è e, pur nel rispetto delle specificità da cui possono originare, sempre strumentalizzazioni sono.