Le biografie sono importanti per capire, ma con Leopardi si è sempre esagerato, come se si dovesse per forza "spiegare" in modo deterministico la sua opera (della serie: uno struppiato non può che ragionare così...) per una certa resistenza ad immergersi senz'altro nelle sue struggenti riflessioni sull'esistenza e sul nostro destino.
Armando dice "torniamo ai fatti" ma, senza volere riprendere il dibattito su "fatti e interpretazioni", mai come nel caso della creazione artistica quello che conta sono le risonanze che ci procura l'incontro con l'opera d'arte, quello che evoca in noi. Non sarà che Leopardi richiama in noi interrogativi che preferiamo rimuovere?
Io sospetto che anche noi, pur così bene adattati e realisti, nascondiamo come lui un desiderio immmenso di felicità e di pienezza fatalmente insoddisfatto, solo che noi siamo stati al gioco del demagogo Giove (parlo della prima operetta morale, così cominciamo ad occuparci dei contenuti, come suggeriscono Alberto Biuso e Francesco Vitale e come ci implora lo stesso Leopardi) il quale Giove ci ha dato, per distrarci, tanti problemi più "concreti" e quotidiani da risolvere a cui dedicare tutte le nostre energie, ci ha implicato "in mille negozi e fatiche, ad effetto d'intrattenere gli uomini e distrarli quanto più si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col desiderio di quella loro incognita e vana felicità". Come Nietzsche, anche Leopardi mi sembra un grande psicologo.
Pietro
mercoledì 23 gennaio 2008
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